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martedì 26 aprile 2011

Lily Sverner Una città per viverci

Sabato 30 aprile alle ore 18.00 presso la Galleria Limiti inchiusi di Campobasso sarà inaugurata la mostra Una città per viverci della nota fotografa brasiliana di origine belga Lily Sverner. 

Le foto presenti in mostra fanno parte di un saggio realizzato tra maggio e settembre del 2010, commissionato dal Comune di Itatiba per i festeggiamenti dei 153 anni della fondazione di Itatiba. Un libro sul tema verrà pubblicato nell’ottobre del 2011 e sarà presentato in occasione della commemorazione dell’anniversario della città. 

Lily Sverner è nata a Antuerpia (Belgio) nel 1934, emigra in Brasile con la famiglia nel 1941. Si laurea all’Instituto Nacional de Artes” a Rio de Janeiro nel 1954. Nel 1973 e 1974, a São Paulo, segue un corso presso la scuola “Enfoco Escola de Fotografia”. Insieme al fotografo Andrè Boccato fonda la casa editrice Editora Sver&Boccato, specializzata in libri di fotografia (dal 1987 al 1991) e il “Gabinete da Imagem” dal 1991. 

Oggi sviluppa progetti autorali di fotografia. Dal 2006 dirige a Itatiba il “Centro Mandala de Estudos e Meditação” dove peraltro vive. 

Sue opere, tra tante altre, sono nella collezione del Museu de Arte de São Paulo, Fundação Armando Álvares Penteado, Banco do Brasil, Fototeca de Cuba, Kusthaus Zurich, Maison Française NY University e Instituto Moreira Salles,. 

Ha pubblica i libri Fragmentos de uma Paisagem Urbana,1988; Virtudes da Realidade, 1996; Recortes do Olhar, 2009. 

Itatiba:Gli sguardi continui, ogni dettaglio dei frammenti-città si espone e si nasconde al desiderio del fotografo curioso e quasi sempre giocano come con lo sfogliare dei petali della margherita. Chiede Tempo, per essere scoperta man mano con tenerezza. 
Sarà proprio azzurro il cielo di Itatiba? 
Saranno magici i tramonti fino al punto di competere con i colori vivaci delle sue case e della sua gente? 
Ho posato lo sguardo su infinite possibilità di presentare allo spettatore una mia visione che non fosse un ritratto della totalità (esiste?,) ma un omaggio a Itatiba, una città per viverla. (Lily Sverner)

30 aprile/22 maggio 2011
Galleria Limiti Inchiusi, Via Muricchio 1, Campobasso

martedì 19 aprile 2011

Nominato il comitato scientifico della Fondazione Molise Cultura

Nominato il comitato scientifico della Fondazione Molise Cultura composto da Gino Marotta, Mogol, Chiara Gamberale, Pino Mese e Dante Gentile Lorusso. Venerdì 15 aprile 2011 si è riunito il Consiglio di Amministrazione della Fondazione Molise Cultura. Durante la seduta il Consiglio, costituito dal Presidente Iorio e dai Consiglieri Cufari e Messere, ha provveduto alla nomina del Comitato Scientifico che risulta così composto: GINO MAROTTA, GIULIO RAPETTI (MOGOL), CHIARA GAMBERALE, PINO NESE, DANTE GENTILE LORUSSO. Il Consiglio, inoltre, ha provveduto nella stessa occasione a nominare il Maestro Gino Marotta Sovrintendente della Fondazione Molise Cultura. Con tale adempimento, nel pieno rispetto dei tempi dettati dallo Statuto, si è conclusa la fase organizzativa relativa agli organi sociali della Fondazione. (...il resto dell'articolo).

Speriamo bene!!!

Volturnart - 150 artisti per l'unità d'Italia

Luogo: Spazio Cultura – Museo civico del secondo risorgimento d’Italia. Rocchetta al Volturno (IS).
Periodo: 25 Aprile/25 Maggio 2011
Inaugurazione: 25 aprile ore 16:30
Organizzazione: Comune di Rocchetta al Volturno
Progettazione: Cooperativa sociale Ambiente e Natura
Ideazione: Michele Peri
Orario di Apertura: Mercoledì 15:30-19; Venerdì 15:30-19; Sabato e Domenica 10-12/15:30-19
Info e appuntamenti: 347/6983633

“La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni”. Così recita l’art. 12 della nostra Costituzione e nulla più di questa perentoria definizione può sintetizzare quel drappo di stoffa (banda significa appunto striscia dipinta) usato simbolicamente per identificare una nazione. La forza dei simboli sta appunto nella loro sintesi e pertanto sarebbe inutile una disquisizione sui significati dei colori. Tradizionalmente, e forse ingenuamente, si vuol vedere il verde dei prati, il bianco delle nevi, e il rosso del sangue versato ma, seguendo i versi di insigni poeti, da Dall’Ongaro a Carducci, non mancano altre interpretazioni. Il leitmotiv della mostra è appunto la bandiera italiana, o meglio i suoi tre colori intesi come spunti di partenza, o tema di fondo, per il lavoro degli artisti; non quindi una mera raccolta di emblemi visivi ma la realizzazione di un palinsesto che, pur nell’unità dei colori e delle dimensioni delle singole opere, presenti un racconto articolato che descriva la storia, il significato e soprattutto i mali e le distorsioni di un simbolo antico come la bandiera (e per traslato della nazione), con tecniche e materiali diversi. Nell’anno del 150 anniversario dell’Unità d’Italia si intende ripercorrere questa tappa fondamentale della storia nazionale con una mostra d’arte contemporanea internazionale. VOLTURNART intende essere un viaggio che, partendo dal fiume Volturno - che grande importanza rivestì nelle vicende che portarono all’unificazione, e poi alla liberazione dal nazifascismo- fornisca uno spunto di riflessione per osservare , attraverso le suggestioni di artisti e critici, l’Italia presente e quella che vorremmo. 

La mostra prevede l’esposizione delle opere di 150 artisti (sette artisti per ogni regione e 10 artisti internazionali che vivono ed operano in Italia) che rappresenteranno una aggiornata meditazione sul concetto di unità attraverso i colori della bandiera italiana. Grazie alla presenza di artisti stranieri il concetto di Unità si fonderà in una globalità d’intenti artistici in cui l’Unità d’Italia sarà il punto di partenza e l’Unità Globale quello di arrivo. 

Inoltre nell’ambito della mostra è prevista la presenza di venti artisti molisani chiamati a lavorare sul tema della bandiera messo in relazione alle 20 regioni italiane che, sagomate, diventeranno i supporti di altrettante opere al fine di realizzare un’installazione globale. 
A Rocchetta l’arte celebra un numero (150), un’entità di misura temporale (anni), un concetto (l’unità) e un luogo geografico (l’Italia) e lo fa con i colori, il verde, il bianco, il rosso della bandiera nazionale, che diventano il verde, il bianco, il rosso di opere realizzate con tecniche diverse, che vanno dalla fotografia al disegno, dalla pittura all’immagine digitale, intrecciando saperi alti e linguaggi pop, storia e cronaca, fantasia e poesia, critica e celebrazione, in una fitta trama di rimandi e citazioni da apprezzare nell’allestimento inteso come muro continuo e ininterrotto di impressioni. La mostra, tra le più complete della regione e dell’intero meridione sul tema dell’arte contemporanea in relazione alla ricorrenza dell’Unità d’Italia, resterà per circa un mese a Rocchetta per poi essere spostata in altri centri della penisola. 

Tommaso EVANGELISTA 
Critico e storico dell’arte


mercoledì 13 aprile 2011

Paolo Borrelli - Messaggi minatori

Mercoledì 27 aprile 2011 alle ore 18,00 presso lo Studio Arte Fuori Centro di Roma, via Ercole Bombelli 22, si inaugura la personale di Paolo Borrelli, Messaggi minatori a cura di Silvia Valente. L'esposizione rimarrà aperta fino al 13 maggio, secondo il seguente orario: dal martedì al venerdì dalle 17,00 alle 20,00.

di Silvia Valente 

A dispetto della titolazione questa è una mostra il cui intento principale si muove su dati diametralmente opposti al suo appellativo. L’insidia del messaggio artistico si trasla sui toni dell’invito, della riflessione e del libero pensiero, goduto nella quiete e nella lentezza di una ponderazione tutta al personale. 

Con il suo lavoro Paolo Borrelli riapre una questione che, personalmente, ritengo fondamentale se d’arte vogliamo parlare (specialmente in ambito contemporaneo), ovvero il ruolo dell’immaginazione e l’utilizzo che di tale pratica si compie. 

Merito dell’artista non è, evidentemente, il suo personale impiego di essa, bensì l’astuzia con la quale sia riuscito a ricondurre il problema ai destinatari delle sue opere: gli spettatori. 

Compito indiscusso del critico d’arte (ma anche del curatore) è quello di riuscire ad accompagnare il fruitore nella decodificazione delle opere d’arte, fornendo una chiave di lettura che non vada ad influenzare la visione stessa del pubblico cui si rivolge. L’assioma così dettato lo ritengo inattuabile per diverse ragioni, ma non nego la necessità deontologica di tendere verso un atteggiamento che si avvicini il più possibile ad esso. 

I Messaggi Minatori dell’artista non si svelano anticipatamente ma, per via enigmatica, invitano l’osservatore ad una pratica nuova, spingendolo ad uno sguardo libero da archetipi che li guidi verso una direzione più emozionale che celebrale, in una logica interpretativa del tutto autonoma. 

Il “gioco” ha dunque inizio e l’ intento di andare oltre determinate logiche consolidate di critica e decodificazione sembra rafforzarsi andando a confluire in un unico importante obiettivo: godere dell’opera d’arte lontano da depistaggi critici, lasciando libero il fruitore di leggere autonomamente i lavori, viverli in una esperienza “solitaria” dall’inizio alla fine, libero da condizionamenti e dotato dell’unico vero ed efficace mezzo a disposizione: la sua immaginazione. 

In questo gioco a spirale si inserisce in maniera indispensabile una nuova chiave di lettura filtrata dall’immaginario dell’uomo – critico d’arte, svincolata dalle logiche “accademiche” e più vicina al coinvolgimento personale e diretto. 

Sembrano paradossali analisi di questo genere, eppure i prototipi intellettivi di cui siamo provvisti ci hanno condotti verso un sempre maggiore allontanamento da considerazioni puramente emozionali dinanzi alla visione di un’opera d’arte. Fortunatamente il nostro “esperimento” ci è facilitato dall’oggetto in questione e comincerei nel descrivere i lavori dell’artista con la prima definizione che sento di poter dare. 

Bello. 

Credo che una delle principali cause del così scarso impiego di questo termine in materia artistica sia dettata dalla paura. Abbiamo, negli anni, caricato questa parola di significati e responsabilità tali da spaventarci anche solo nella sua enunciazione, e se trasliamo il tutto sul piano artistico, in generale, e contemporaneo, nello specifico, il discorso tende a complicarsi. Interessante, originale, provocatorio, inusuale. Ma bello non lo si sente quasi mai. 

Le opere di Paolo Borrelli sono belle perché procura piacere guardarle: sono raffinate, cariche di equilibrio cromatico e significativo, curate nel dettaglio della rappresentazione, presentate allo spettatore con precisione dei particolari e calibrate nel loro insieme. Le immagini scelte dall’artista e assemblate in collages elegantissimi raccontano storie visionarie di un uomo che non ha fatto altro se non fermarsi a pensare. E nella pratica delle associazioni di pensiero, ogni frame riconduce a qualcosa di diverso, di nuovo, in un vortice fantasioso capace di riqualificare e decontestualizzare schegge di epoche e accadimenti che si spogliano del loro significato di origine per assumerne di nuovi. L’artista ci presenta il suo “Atlante della memoria” (per citare Aby Warburg) e ci invita a guardare a quelle stesse immagini non con gli occhi della storia, né tantomeno con lo sguardo di chi le ha assemblate, ma semplicemente con i nostri occhi e con i nostri rimandi ad esperienze personali. Ogni Elegia si trasla su binari differenti come, di volta in volta, sono differenti le menti che immagazzinano le forme. 

“Io non sono semplicemente quell’essere puntiforme che si orienta rispetto al punto geometrico da dove si coglie la prospettiva. Indubbiamente, in fondo al mio occhio si dipinge l’immagine. Certo, l’immagine è nel mio occhio. Ma io, io sono nell’immagine”. Così diceva Jacques Lacan a proposito dell’accesa questione sullo sguardo, sulla percezione dell’oggetto, artistico o meno che sia, ribaltando completamente i ruoli di soggetto ed oggetto, interscambiandoli e ponendo al centro della diatriba il valore della visione. 

Il tema della visione-punto di vista nelle opere di Borrelli supera le dinamiche rappresentative (seppur affrontate in maniera esaustiva) a approda su piani decisamente politico-sociali. Lo spettatore è naturalmente condotto verso riflessioni di tale carattere perché a suggerirlo sono gli stessi soggetti raffigurati, ma è assente ogni forzatura di genere in quanto l’intento dell’autore non è assolutamente riconducibile alla volontà di fornire una definizione compiuta; al contrario invita a una riflessione della quale accenna il solo incipit. 

Il suo Tentativo di ricordare è una esplicita esortazione a comporre rappresentazioni intellettive, alterandole e approfondendole, commutandole in qualcosa di diverso, emancipandosi da qualsivoglia legge o vincolo che sia, praticando una pura riflessione autosufficiente dei sensi. In una parola: Immaginazione.

lunedì 4 aprile 2011

Storia grafica di una pera. Un artista: Tonino Petrocelli

Ho trovato per caso, nei giorni scorsi, su una vecchia rivista molisana questo breve articolo dedicato all'artista Tonino Petrocelli e scritto nientemeno che da Munari, suo vecchio amico (da Nuovo Oggi Molise del 24 aprile 1998). Munari, tra l'altro, proprio all'istituto d'arte Manuppella di Isernia tenne un ciclo di seminari negli anni '80. Petrocelli realizzò i disegni del testo di Munari Design e comunicazione visiva del 1972.

"Se guardiamo una mappa storica della civiltà, scopriamo che i cinesi sono sempre esistiti, e che sono tra i popoli più antichi del mondo e che nel loro pensiero possiamo trovare delle "verità" che ci fanno capire meglio il mondo nel quale viviamo. Una di queste verità dice "L'unica costante della realtà è la mutazione" (cosa che poi hanno scoperto anche gli altri popoli). Da questa osservazione nascono altri modi di osservare la realtà, uno di questi è il cercare di capire come una cosa si trasforma in un'altra. Conoscere come le cose mutano e si trasformano, permette di capire meglio la natura. Per una persona superficiale, una pera, è un frutto da mangiare e basta. Per un cinese, un bambino cinese educato in quel mondo, una pera, è un momento della trasformazione dell'albero delle pere, da seme a seme per sempre. A proposito un'altra massima cinese dice "L'eternità è adesso". Il lavoro di Tonino Petrocelli, che conosco da tanto tempo, è quello di progettare dei libri per bambini dove una serie, anzi una sequenza di immagini, fa nascere nella mente del bambino pensieri relativi alla mutazione delle cose. La sagome di una pera, riprodotta col bromografo, viene vista sotto aspetti diversi, oppure sezionata e ricomposta in modo da formare altre immagini. Un lavoretto molto semplice, e quindi molto adatto ai bambini. Non quindi una favola sul principe che regala una pera alla principessa, confondendo la pera con la mela, ma una serie di stimoli che contribuiscono a formare nel bambino un pensiero più aperto, senza preconcetti e idee fisse da difendere a tutti i costi".

Bruno Munari
artista, designer, teorico della comunicazione visiva.


Petrocelli, dalla serie Oggetti in Movimento

domenica 3 aprile 2011

Nino Barone allo Spazio Juliet

S'inaugura, giovedì 14 aprile 2011, alle ore 18.30, presso lo Spazio Juliet (via Madonna del Mare 6, a Trieste, II piano) una mostra dedicata al lavoro di Nino Barone, pittore molisano formatosi alla scuola del pittore Achille Pace.
Si comprende perciò la doppia componente di questi lavori: da un lato quella vitalistica e irrazionale, e dall'altro quella attenta a evitare i rischi della confusione attraverso la precisa consapevolezza dei complicati giochi del linguaggio, quella della rapporto fra elementi in primo piano e sfondo, quella dell'evocazione del soggetto rappresentato, quella tra massa di un corpo e segno dettagliato.
Per Nino Barone la campitura dell'intera superficie, in un acceso dualismo di figura/sfondo, ha sicuramente una sua vita indipendente, che però deve in qualche modo essere domata e portata all'evidenza iconica, liberandola dall'impasto caotico e informe, dilatandola nello spazio bidimensionale, pur sempre affascinante e magico, in termini di chiara evidenza sul piano dell'immaginario estetico. 
Come scrive l'autore: "I miei segni sono linee rizomatiche che si muovono su un piano sicuro. Il fondo è la verità urbana così come l'ho trovata alla nascita, in età di percezione, è la condizione che ho ereditato dalle generazioni che mi hanno preceduto e che mi hanno richiesto di venire al mondo. I segni che si sovrappongono a questo piano sono i vari vettori della contemporaneità che si produce e si sviluppa sulla mia memoria dagli anni Sessanta fino a qui, all'inizio del nuovo millennio".
La mostra, composta da dodici tavole e curata da Roberto Vidali, in collaborazione con Hotel Mistral, Officina Solare e Azienda Agricola Skerk, chiuderà il 25 maggio; orario di visita: ogni martedì dalle 18 alle 20,00 oppure su appuntamento telefonando al numero 040-313425.
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