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lunedì 18 novembre 2013

Molise - Un'altra storia - Settimana di eventi a Roma

Dal 22 novembre al 1 dicembre
oltre una ventina di iniziative in Garbatella

ROMA - Una settimana di eventi disseminati in diversi luoghi della Capitale – concentrati soprattutto nel quartiere Garbatella - per avvicinarsi alla più sconosciuta regione del Mezzogiorno. Oggi un po’ più conosciuta grazie alle location dell’ultimo film di Checco Zalone, “Sole a catinelle”.

E’ la missione di “Molise, un’altra Storia”, 26 iniziative riunite in un unico evento, che avranno luogo tra venerdì 22 novembre e domenica 1 dicembre con la regia del Formez PA, ente che attua progetti delle pubbliche amministrazioni, e il supporto di Regioni Lazio e Molise, Comune di Roma, VIII Municipio, Cna, Camera di Commercio, Millepiani (spazio condiviso di professionisti orientati all’innovazione) e associazione Forche Caudine (storico circolo dei molisani a Roma). L'evento gode del patrocinio di Expo 2015.

Ricco il programma che comprende otto mostre distribuite in altrettanti siti (dall’omaggio al disegnatore molisano Jacovitti a quelle su musei, castelli, folklore, agricoltura, emigrazione e memoria storica), spettacoli tradizionali, presentazioni librarie, esposizioni enogastronomiche ed artigianali (originale l’incontro tra gli artigiani molisani – creatori di zampogne, campane, coltelli e oggetti in pietra e rame - con il movimento romano dei makers, cioè gli artigiani digitali globalizzati).

“Molise, un’altra Storia”, con un logo in caratteri oschi che ne rimarca la prevalenza culturale, include anche un seminario sul Molise rivolto agli studenti delle scuole “creative” della Capitale (Accademia di belle arti, Istituto europeo di design, Istituto Rossellini cinetv, Quasar, Magica e Rufa), appuntamenti sulla mobilità sostenibile (con associazioni di trekking, biciclette e treni) e sull’integrazione degli immigrati (a cura di Arci Solidarietà ed Opera Nomadi), un incontro sull’apporto dei circa cinquemila operatori commerciali d’origine molisana che lavorano nella Capitale, per lo più ristoratori, profumieri. sarti e tassisti. 

Molta attesa per lo sbarco delle tante prelibatezze molisane presso il Mercato Garbatella di via Passino. Il periodo è quello del tartufo bianco, di cui il Molise è il maggior produttore europeo. Ma spazio anche ai celebri formaggi (tra cui la “stracciata”, prodotto a metà strada tra ricotta e mozzarella), al salume “ventricina”, allo straordinario vitigno autoctono Tintilia. Previsti laboratori del gusto e abbinamenti tra prodotto e territorio.

Nel corso della manifestazione l’VIII Municipio metterà a disposizione guide turistiche per visite guidate della Garbatella e animazione per i bambini.

Programma: www.moliseunaltrastoria.it - Informazioni: info@forchecaudine.it.

domenica 17 novembre 2013

Achille Pace su carta

Domenica 17 novembre alle ore 18.30 presso la Feltrinelli di Latina nuovo appuntamento con Mad on paper - La Feltrinelli - Maestri su “la scala rossa”, per questa occasione l’evento prevede l’inaugurazione della mostra personale del Maestro Achille Pace dal titolo “Achille Pace su carta”, a cura di Fabio D’Achille.

Come scrive il Maestro Achille Pace: “Il 1960 chiude un’epoca che aveva dimostrato che la razionalità non era stata una soluzione valida per evitare il grande conflitto. Ho attraversato l’informale con tutta la precarietà esistenziale, il senso di smarrimento e di disorientamento che la guerra aveva lasciato. Ho subito avvertito la necessità di uscire da una condizione esistenziale senza certezze e di trovare uno sbocco verso una mia identità. Ho quindi lottato con me stesso per riuscire finalmente ad individuare un mezzo che mi consentisse di esprimermi in termini di maggior ordine e maggior rigore, pur conservando il concetto di formatività del segno , affidato ad un procedimento in azione, momento per momento, non a un progetto predefinito. La mia pittura non è la classica metafora del reale. Essa è affidata all’idea di ‘concetto’, che sostituisce la rappresentazione fisica degli oggetti con una proposta di coinvolgimento mentale del fruitore. La povertà del mezzo usato e la ristrettezza dell’intervento segnico sulla superficie della tela, consistente in un campo neutro, di solito monocromo , di un tono variabile dal grigio al nero fumo, inserisce la tipologia delle mie opere nel filone dell’arte minimal e dell’arte povera, anche se quest’ultimo aspetto viene poco evidenziato dalla critica militante attuale che preferisce attribuirmi il ruolo di ‘poeta del filo’ pur riconoscendo il valore di liricità e di esistenzialità come messaggio fondamentale che le mie opere trasmettono”.

“Il mio lavoro richiede materiali che ho usato dalla fine degli anni ’50 ad oggi - prosegue il Maestro Pace -. Il filo di cotone, la stoffa e la terra sono tre elementi che predominano nelle mie composizioni ed è opportuno ch’io spieghi cosa essi significano per me. La mia poetica, cioè la mia scelta operativa mi ha portato a scegliere materiali che per se stessi siano i più naturali possibile. Sono materiali che, presi a se sono non espressivi, come appunto un filo o un pezzo di stoffa, la terra, la sabbia o un pezzo di legno. Sono inespressivi. Il riscatto della materia avviene attraverso la creatività. Il filo è un altro materiale povero, così anche la terra, ma sia l’uno che l’altra possono diventare linguaggio, possono esprimersi attraverso l’azione dell’artista. Il filo ha un valore anche simbolico, come anche la terra. D’altra parte, l’arte è sempre simbolica, procede sempre dal tipo all’archetipo e dunque, un filo diventa discorso logico, diventa psiche, diventa pensiero e, naturalmente, tutto questo diventa azione. Quello che è importante è che l’operazione o il concetto operativo parta sempre dall’idea quando si vuole creare. Il concetto deve essere abbinato alla materia creativa, perché esso, da solo, non è sufficiente; deve essere valido, deve contenere in sè la creatività”.

“Col materiale che adopero - spiega inoltre Achille Pace - le possibilità creative sono molto maggiori di quelle che avrei da un altro materiale che io poi, tra l’altro, sento meno... Questi due o tre materiali io li porto avanti da trentacinque anni e li trovo affini al mio modo di pensare ma quello che maggiormente mi rappresenta e nel quale mi identifico totalmente è il filo di cotone. Il motivo per cui ho assunto questo materiale è stato di ordine creativo, cioè, mi sono chiesto che cos’è la creatività. Ricordando un po’ il principio della Genesi, che è già descritta nel primo capitolo dell’Antico Testamento, ho verificato che la genesi è interpretata in tanti modi che, comunque, vogliono dire creatività, creazione. Ora, la creazione deve avere un principio e nell’arte specialmente deve avere un sistema, un metodo, quello che si dice una poetica, per la quale, nel mio caso,il filo procede dal punto, quel punto che trova nel suo procedere,momento per momento, quindi nel tempo e nello spazio esecutivo, la formatività di un’immagine. Esso, nel suo distendersi diventa forma, la forma in fieri, forma-formante, forma che è in formazione. Ecco, in questo senso il filo mi risponde molto bene a quello che era il mio interesse per ciò che è la creatività. È un concetto che si esprime attraverso la creatività, e il filo è per me l’elemento più idoneo, essenziale e concettuale per esprimere appunto un’immagine che non ha riferimenti né con la terminologia naturale né con altre, ma solo col processo creativo”.

La mostra sarà aperta al pubblico fino al 14 dicembre il lunedì dalle 16 alle 20 e dal martedì alla domenica orario continuato 9-20. Lo rende noto MAD - Museo d’Arte Diffusa.

mercoledì 13 novembre 2013

L'officina di San Vincenzo


Ed(ipovisione)


ED(IPOVISIONE)
da Edipo Re di Sofocle

Regia, scene e luci NICOLA MACOLINO

TEATRO SAVOIA CAMPOBASSO
19 NOVEMBRE 2013 H. 21.00


Produzione ABRAXAS LAB 
con Giulio Maroncelli, Barbara Petti, Michele Mariano e con Gloria Di Biase, Antonio, D’onofrio, Letizia Iammarino, Antonio Iantomasi, Renzo Iantomasi, Antonella Macolino, Gennaro Santarelli, Mariaconcetta Santoianni, Antonio Soprano, Emanuela Vitulli, costumi Marina Miozza, regia, scene e luci Nicola Macolino.


NOTE DI REGIA

A cosa servono gli occhi se non ci permettono di vedere il male che commettiamo?

Cosa fa di un essere umano un “diverso”?

I temi della vista e della percezione sono centrali in Ed-Ipovisione: Edipo è colui che, non sapendolo, commette del male, poiché è incapace di leggere con chiarezza tutti gli accadimenti della sua esistenza, è colui che si acceca con la convinzione che gli occhi siano solo ingannevoli strumenti attraverso i quali l'uomo crede di acquisire una conoscenza della realtà, senza mai riuscirci, poiché l'essenziale è invisibile allo sguardo.

Se vivere in società significa dover accettare l'autorità dominante, condividere le regole che questa ha stabilito e sottomettersi al potere, anche se si è il potere, Edipo, contravvenendo a queste norme, si trasforma in un fattore di rottura dell'ordine, di sovvertimento dei codici condivisi dalla collettività ed assorbe su di sé lo stigma, il marchio, di una devianza fisica e morale, a causa dell'incapacità del potere di sopportare la diversità.

In questa "mia" tragedia, la Sfinge, come fosse un'attrazione circense, si reca quotidianamente sul suo “luogo di lavoro” per consumare i resti delle sue vittime, pazientemente catalogati e disinfettati dalla sua fedele assistente Anubi, accompagnatrice delle anime dei morti. Tiresia, pseudoscienziato transessuale, fa dei suoi escrementi strumenti di divinazione. Creonte, in canottiera e pistola, si ostina nella sua rude ars retorica, nel tentativo di trovare un capro espiatorio da punire ed allontanare. Edipo si prepara a combattere, scrutando il mondo attraverso una lente che distorce la sua percezione. Giocasta, immobile sul trono di Laio, in preda a deliri di identità, cerca di soddisfare il suo istinto materno attraverso oggetti perturbanti che minacciano di ucciderla. Una presenza inquietante si insinua tra la folla per disinfettare l'ambiente dalle impurità. Mentre un coro di "moderni medici della peste", figure in perenne lutto, ignare del senso di quanto accade, li osserva, li accompagna, ride, piange, gioca, decifra enigmi.

I personaggi di Ed-Ipovisione, inseriti in una dimensione atemporale ed asettica, vagano confusamente nello spazio scenico, quasi senza percepire la presenza dell'altro, ognuno racchiuso nella propria dimensione solipsistica e incomunicabile. Tra flash, visite oculistiche, funerali, rumori assordanti, urla, troni e macchinari, questa tragedia, totalmente riscritta, è concepita e costruita rielaborando codici e linguaggi che riflettono sulla complessità contemporanea.


Prevendita su Campobasso: 
presso Associazione Musicale Thelonious Monk (Ex-ONMI) 
Via Muricchio 1, dal lunedì al venerdì 16,00 20,00 Tel. 087498805

Info e prenotazioni:
Abraxas Lab 338 3183197

lunedì 11 novembre 2013

Oasi della natura artificiale - L'opera aperta di Gino Marotta

Di seguito il testo critico di Lorenzo Canova, curatore della mostra di Gino Marotta all'Ex-Gil di Campobasso. Maggiori informazioni e materiale (foto e testi) si possono trovare sul sito della Fondazione Molise Cultura.


OASI DELLA NATURA ARTIFICIALE
L’opera aperta di Gino Marotta

Lorenzo Canova

Palme, siepi e querce che sorgono dal pavimento, foreste di menta che inquadrano lo spazio in un modulo cubico, rinoceronti, giraffe e tigri che in un cono temporale riportano fino al paleolitico, cicloni e alberi elettrici che seguono il tracciato del laser in pulsanti vibrazioni di led luminosi: Gino Marotta, a un anno dalla sua scomparsa, torna a Campobasso con sessanta opere negli splendidi spazi di quella Ex GIL al cui recupero aveva dedicato una grandissima e costante attenzione. 

Questa grande mostra nella sua regione e città di origine, a cui Gino Marotta comprensibilmente teneva in modo speciale, non rappresenta solo un omaggio a un grande protagonista della cultura italiana e internazionale, ma una prova tangibile della vitalità creativa e della grande forza costruttiva di un uomo che ha sempre saputo rinnovarsi e mettersi in gioco fino agli ultimi giorni, cercando sempre nuove soluzioni tecniche, formali e concettuali e senza temere relazioni e confronti affascinanti e pericolosi, come nella sua mostra alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma dello scorso anno. 

Il risultato di questa mostra rispecchia dunque pienamente il suo progetto, nell’idea di apertura e sconfinamento che ha segnato costantemente il suo lavoro, seguendo la visione di sviluppo del futurismo elaborata nel fecondo clima della Roma degli anni sessanta di cui Marotta è stato uno degli assoluti protagonisti, elaborando tra i primissimi i codici fondanti dell’environment, di quell’opera-ambiente i cui spazi immersivi devono assorbire e coinvolgere totalmente lo spettatore in modo multisensoriale, come accade nella sua Foresta di Menta del 1968. Questo capolavoro, esposto nel Teatro delle mostre a Roma proprio nel 1968 e che per fortuna ha rivisto recentemente la luce dopo anni di oblio, apre non a caso la mostra di Campobasso per fare entrare gli spettatori nel mondo magico dell’artista, assorbendoli nel suo avvolgente abbraccio fatto di liane artificiali, di profumi e sapori, fondendo l’elemento visivo, tattile, olfattivo e gustativo come se si sprofondasse tra le alghe di un lago di menta e realizzando in modo geniale le intuizioni dell’arte polisensoriale teorizzata da Marinetti. L’unicità della Foresta di Menta è tuttavia anche quella di legare tutte le ricerche di Marotta coniugando la sua ironia e il suo sguardo ludico al rigore progettuale che lo ha sempre visto dialogare col design e l’architettura, in un modulo cubico che, nella sua raffinata sintesi polimaterica, dialoga in modo paritario con le ricerche poveriste e con il minimalismo, a cui aggiunge una qualità tutta italiana della scansione prospettica e della concezione cromatica, dove le strisce di plastica fremono di vibrazioni di verde nella stasi o nel movimento generato dall’attraversamento dei visitatori. 

Non casualmente la stessa idea di inglobamento dello spettatore nello spazio, nell’architettura, nella luce e nel colore dell’opera, che provoca un sottile e raffinato senso di disorientamento, si ritrova anche nel solenne Cronotopo virtuale del 2011, altra opera-ambiente che conclude l’arco temporale dei lavori esposti. Qui l’artista, incidendole col laser percorso dalla luce artificiale, ripercorre alcune immagini portanti della sua carriera, costruendo un piccolo labirinto traslucido dove la scatola prospettica si scompone e si sovrappone in una simultaneità iconica di punti di vista e di intrecci spazio-temporali incastrati in un luogo apparentemente accogliente ma che ha il potere di ribaltare e mettere in crisi le nostre certezze percettive. 

Seguendo dunque la seconda matrice della sua opera, derivata dalla Metafisica di Giorgio de Chirico, che tra l’altro lo aiutò in occasione del suo primo arrivo a Roma da ragazzo, Marotta struttura le sue opere sul modello di una geometria in cui i punti prospettici si sincronizzano in un gioco di chiusure e di vuoti, di volumi architettonici e di rivelazioni matematiche, dosando in modo sapiente anche la dialettica di contrasti e armonie delle luci e delle ombre. Marotta accende così i colori pop che lo stesso de Chirico aveva anticipato nei suoi quadri ricevendo l’omaggio dei suoi ammirati e più giovani continuatori, rischia cromatismi acidi e si immerge in tenebre splendenti di magnifici riflessi sintetici e industriali che ci regalano tutta la sua sfarzosa e rigorosissima intensità della sua visione cromatico-pittorica. 

La mostra di Campobasso, nei suoi spazi aperti dove le opere conversano liberamente, evidenzia ancora una volta come Marotta sia stato uno dei veri artisti totali del secondo novecento, prosecutore della visione dell’artista polimorfico rinascimentale e barocco, capace di fondere pittura, scultura e architettura, di raggiungere il design e di contribuire all’apertura verso l’opera ambientale e la dimensione dello spettacolo, in una declinazione anche elettronica, con l’uso del neon prima e poi con i led delle sue ultime opere che pulsano nel buio come costellazioni artificiali nate dal suo pensiero costruttivo. 

L’interesse di Marotta per l’elemento artificiale rimodellato dal pensiero e dalla mano dell’artista, in dialogo attivo e propositivo con il mondo della produzione e dell’industria è del resto evidente sin dal Bandone del 1958, in cui la suggestione informale dialoga con il contesto internazionale del nouveau réalisme e del new dada nel riutilizzo dei materiali di recupero a cui l’artista imprime tuttavia una direzione architettonico-costruttiva del tutto personale che lo porta presto alle pitture-oggetto dei primissimi anni sessanta e al successivo uso di quel metacrilato che diventa il suo materiale di elezione. 

Sono gli anni in cui l’artista entra in rapporto diretto con quel contesto internazionale che ha portato alla pop art, a cui Marotta dà un originale contributo proprio con i suoi metacrilati, dove fonde le sue esperienze progettuali di designer alla sua sintesi iconica e strutturale che ha dato un senso nuovo al concetto stesso di scultura. 

Marotta, infatti, non ha rinnegato il rapporto con la produzione industriale, ma lo ha posto al centro delle sue opere nate dalla sua azione disegnativa e progettuale. Così è stata la materia plastica la protagonista di questo intenso dialogo che Marotta ha intrapreso seguendo quell’idea costruttiva che negli anni Cinquanta e Sessanta ha reso l’Italia un esempio per moltissime ricerche internazionali. 

Attraverso il metacrilato, l’artista ha superato l’idea statica della scultura spostandosi, parallelamente ad alcuni compagni di strada, proprio verso l’esito (già intuito dai futuristi) dell’arte ambientale, di nuovo quell’environment in cui l’opera si apre per fare entrare lo spettatore al centro del suo nucleo strutturale. Quest’idea di spalancare l’arte alla dimensione della vita conduce così a installazioni dove è diventato centrale l’interesse di Marotta per la dialettica e il confronto tra naturale e artificiale. 

In queste opere degli anni sessanta e primissimi settanta, difatti, gli alberi, i boschi, le palme, gli animali, il mare e la pioggia sono di metacrilato, spesso con inserimenti di neon, per annunciare le metamorfosi della modernità di un’arte che trasforma e modella il paesaggio, ma anche per celebrare industrialmente il sentimento elegiaco della perdita, la nostalgia per un mondo rurale in via di estinzione, come quello del suo Molise. 

Nell’età dell’oro della Roma degli anni sessanta, Marotta approda allora alla dimensione aperta e collettiva dello spettacolo, come territorio di dialogo e interazione per le arti sulla linea inaugurata proprio dal futurismo. Muovendo da questi presupposti, e soprattutto nel suo lungo sodalizio con Carmelo Bene, dal film Salomè fino agli spettacoli teatrali Nostra Signora dei Turchi e Hommelette for Hamlet, Marotta sposta in modo quasi naturale la sua attenzione verso una dimensione legata al teatro e al cinema, intesi come forme espressive che immergono e coinvolgono lo spettatore nello spazio dell’opera. 

Marotta, con le sue Veneri artificiali che citano l’immagine della Venere e Amore di Lucas Cranach ma usando comunque materiali extrapittorici e metacrilato, ha poi anticipato il contesto di recupero della storia dell’arte degli anni ottanta, nel cui contesto si collocano la grande installazione in pietra Le rovine dell’Isola di Altilia della Biennale di Venezia del 1984 (un omaggio all’area archeologica dell’antica città romana di Sepino, i cui resti sorgono non lontano da Campobasso e a cui l’artista era molto legato) e la straordinaria scenografia di Hommelette for Hamlet (1987) che vale a Marotta il Premio Ubu nel 1988, in una nuova stagione degli anni ottanta che mostra un artista allo stesso tempo differente e coerente rispetto alle esperienze precedenti. 

Tuttavia, mai appagato dai risultati raggiunti, Marotta, dalla fine degli anni novanta in poi, rinnova i suoi metacrilati, facendone quadri, sculture e installazioni con inserti digitali e di led luminosi come il citato Cronotopo virtuale .

In questa e nuova e felice stagione, l’artista si è concesso anche il lusso elegante di una pittura in cui, come de Chirico con la sua Neo-Metafisica, Marotta gioca con il suo mondo iconografico componendo opere di misteriosa sospensione in cui tutto viene preso da un vento enigmatico di leggerezza che fa volare le cose nel turbine leggero e fremente di una stesura lieve e raffinatissima formata su una visione composita e impalpabile, allo stesso antica nel suo rigore e futuribile nel suo immaginario. 

In questo senso si comprende di nuovo come una mostra di Gino Marotta non sia fatta da una serie di opere in successione, ma come formi al contrario una sola grande opera ambientale che gli spettatori potranno percorrere come una splendida avventura in un mondo fantastico, composto dall’integrazione totale di installazioni, scultura e pittura, in una dimensione aperta e spettacolare che si dona alla vita per abbattere i confini tradizionali formando nuovi codici spaziali e costruttivi. 

Nella fusione di tutti questi elementi di questa opera unica e aperta, i diversi capitoli tracciati da Marotta si stagliano con energia nelle prospettive tese e rilucenti delle sale rinnovate della Ex GIL, dialogano con lo spazio e formano nuove relazioni tra le loro modulazioni e il loro impianto costruttivo, i colori acidi e squillanti si armonizzano con le oscure trasparenze dell’Oasi d’ombra che si distende verso la Foresta di Menta e il Corteo di dromedari, i Fenicotteri artificiali sembrano essere volati via dall’Oasi coloratissima e rispecchiata nelle vetrate dell’Hortus conclusus con il suo serpente blu e la sua giraffa rosa che mangia un fiore, lirica anticipazione della Ninfea blu che sboccia nel buio con le sue onde azzurre riflesse nelle sculture di luce, vibrazioni ininterrotte del genio elettrico di Gino Marotta che continua ancora a regalare nuove visioni e nuove splendenti rivelazioni.






Gino Marotta all'Ex-Gil




GINO MAROTTA
a cura di Lorenzo Canova

Palazzo EX GIL
Fondazione Molise Cultura
Via Milano 15/ Via Gorizia 86100 Campobasso

conferenza stampa sabato 16 novembre 2013 ore 11

inaugurazione sabato 16 novembre 2013 ore 18

Una grande mostra di Gino Marotta (Campobasso 1935- Roma 2012) inaugurerà sabato 16 novembre le splendide sale espositive della Fondazione Molise Cultura nel restaurato palazzo della Ex GIL di Campobasso progettato dall’architetto Domenico Filippone. 

La mostra (curata da Lorenzo Canova, docente di storia dell’arte contemporanea dell’Università del Molise e Sovrintendente della Fondazione Molise Cultura) nasce come un grande omaggio a Gino Marotta nella sua regione e nella sua città di nascita, a un anno esatto di distanza dalla sua scomparsa, e sviluppa un progetto, al quale ha lavorato fino ai suoi ultimi giorni, pensato proprio per gli spazi del palazzo della Ex GIL a cui l’artista era particolarmente legato. 

Raccolte intorno a otto grandi installazioni, saranno dunque esposte sessanta grandi opere pittoriche e scultoree di Marotta che coprono più di cinquanta anni di lavoro, dal Bandone del 1958 fino al Cronotopo virtuale del 2011, in un percorso che non rappresenta solo un dovuto tributo a un grande protagonista della cultura italiana e internazionale, ma una dimostrazione tangibile della vitalità creativa e della grande forza costruttiva di un uomo che ha sempre saputo rinnovarsi e mettersi in gioco, cercando sempre nuove soluzioni tecniche, formali e concettuali

Sarà possibile dunque ammirare una splendida selezione dei metacrilati di Marotta: palme, siepi e querce che sorgono dal pavimento, foreste di menta che inquadrano lo spazio in un modulo cubico, rinoceronti, giraffe e tigri che in un cono temporale riportano fino al paleolitico, cicloni e alberi elettrici che seguono il tracciato del laser in pulsanti vibrazioni di led luminosi. 

Il risultato di questa mostra rispecchia dunque pienamente l’idea di apertura e sconfinamento che ha sempre segnato il lavoro di Marotta, seguendo la visione di sviluppo del futurismo elaborata nel fecondo clima della Roma degli anni sessanta di cui l’artista è stato uno degli assoluti protagonisti, elaborando tra i primissimi i codici fondanti dell’environment, di quell’opera-ambiente i cui spazi immersivi devono assorbire e coinvolgere totalmente lo spettatore in modo multisensoriale, come accade nella sua Foresta di Menta del 1968. Questo capolavoro apre non a caso la mostra di Campobasso per fare entrare gli spettatori nel mondo magico dell’artista, assorbendoli nel suo avvolgente abbraccio fatto di liane artificiali, di profumi e sapori, fondendo l’elemento visivo, tattile, olfattivo e gustativo. 

L’esposizione, nei suoi spazi aperti dove le opere conversano liberamente tra loro, dimostra ancora una volta come Marotta sia stato uno dei veri artisti totali del secondo novecento, prosecutore della visione dell’artista polimorfico rinascimentale e barocco, capace di fondere pittura, scultura e architettura, di raggiungere il design e di contribuire all’apertura verso l’opera ambientale e la dimensione dello spettacolo, in una declinazione anche elettronica, con l’uso del neon prima e poi con i led delle sue ultime opere che pulsano nel buio come costellazioni artificiali nate dal suo pensiero costruttivo. 

Si potranno ammirare anche i grandi quadri degli ultimi anni in cui Marotta gioca con il suo mondo iconografico componendo opere di misteriosa sospensione dove tutto viene preso da un vento enigmatico di leggerezza che fa volare le cose nel turbine leggero e fremente di una stesura lieve e raffinatissima formata su una visione composita e impalpabile, allo stesso antica nel suo rigore e futuribile nella sua visionarietà iconica. 

Nella fusione di tutti questi elementi di questa opera unica e aperta, i diversi capitoli tracciati da Marotta si stagliano con energia nelle prospettive tese e rilucenti delle sale rinnovate della Ex GIL, dialogano con lo spazio e formano nuove relazioni tra le loro modulazioni e il loro impianto costruttivo, i colori acidi e squillanti si armonizzano con le oscure trasparenze dell’Oasi d’ombra che si distende verso la Foresta di Menta e il Corteo di dromedari, i Fenicotteri artificiali sembrano essere volati via dall’Oasi coloratissima e rispecchiata nelle vetrate dell’Hortus conclusus con il suo serpente blu e la sua giraffa rosa che mangia un fiore, lirica anticipazione della Ninfea blu che sboccia nel buio con le sue onde azzurre riflesse nelle sculture di luce, vibrazioni ininterrotte del genio elettrico di Gino Marotta che continua ancora a regalare nuove visioni e nuove splendenti rivelazioni. 

Per l’occasione sarà stampato un catalogo pubblicato da Maretti Editore dove saranno pubblicate le immagini delle opere di Marotta già installate negli spazi della Ex GIL. 

Conferenza stampa sabato 16 novembre 2013 ore 11 

Interventi: 
Paolo di Laura Frattura 
Presidente Regione Molise
Fondazione Molise Cultura
Sandro Arco
Direttore Fondazione Molise Cultura
Lorenzo Canova
Università del Molise- Sovrintendente Fondazione Molise Cultura - Curatore della mostra

Seguirà visita guidata alla mostra per la stampa 

Nel pomeriggio
Inaugurazione e apertura al pubblico sabato 16 novembre 2013 ore 18
Alle 19 cocktail dinner in collaborazione con 
Cantine D’Uva; Pastificio La Molisana; Onav sezione di Campobasso

GINO MAROTTA
Palazzo EX GIL
Fondazione Molise Cultura
Via Milano 15/ Via Gorizia 86100 Campobasso
16 Novembre 2013 – 28 febbraio 2014
Orari: Lun - Ven. 10,00/ 13,00 - Lun. e Merc. 15,30/ 18,00
Info e Prenotazioni Tel. 0874/314383 Fax 0874/437388 Cell. 3891018993 www.fondazionecultura.it
mostra organizzata con la collaborazione scientifica dell’ARATRO, Archivio delle Arti Elettroniche – Laboratorio per l’Arte Contemporanea dell’Università del Molise
Catalogo: Maretti Editore

Nicola Continelli


sabato 9 novembre 2013

Street Gallery 2 - Tag Experience - Collettiva di street art a Termoli




STREET GALLERY II – TAG EXPERIENCE
Artisti

DES - SMAKE - NORH - SMOH - MOE – MESS TOO - KUNOS - KENO -XEROX –CARTO – ICKS – POP – ZIGO – VOLPE - LUVI


9 / 21 novembre
Inaugurazione 9 novembre 18.30

Apertura
Tutti i giorni 18.30 / 20.30
Ingresso Libero

Officina Solare Gallery
Via Marconi 2, Termoli (CB)

A cura di Kunos e Tommaso Evangelista

[...] La comunicazione visiva di un messaggio avviene attraverso dei segni, delle lettere e delle immagini. La scrittura è uno dei primi sistemi di interazione, per elaborare e produrre un significato, ma è anche, se letta come semplice segno grafico, una forma espressiva indipendente dotata di una propria bellezza, regola e riproducibilità. La doppia valenza comunicativa della scrittura per il writer, estetica e nominale, permette l’intensificazione del significato attraverso la ricerca sul significante. Se è vero che tutte le scritture sono grafiche, è parimenti esatto dire che tutte le grafiche sono scritture. Un “pezzo” quindi non è mai né una semplice opera figurativa né tantomeno un testo, bensì una forma complessa e organica di comunicazione da leggere in una prospettiva diacronica. Le esperienze testimoniate nella collettiva, seconda edizione della rassegna sulla street art ospitata all’Officina Solare, sono diverse: si va dalla semplice tag a scritture più elaborate, dai disegni su supporti differenti a composizioni di lettere e parole fino ad installazioni concettuali, affrontando un discorso espositivo e visuale tutto incentrato sulla scrittura (e sull’azione dello scrivere) come elemento immediato di comunicazione e come settore fondante della street art. Tag, poesia visiva, lettering, decorazione, sono i campi di ricerca con l’idea di voler saturare l’ambiente attraverso l’ossessione della grafica e della compilazione, della vertigine della lista e dell’horror vacui. Se il segno (punto, linea e superficie), che diventerà disegno o parola, è il primo elemento grafico col quale abbiamo a che fare quando siamo bambini, la parola che diventa segno è un momento parimenti significativo, nel sistema contemporaneo dell’arte, per riflettere sulla durata e sulla fruibilità, sulla centralità del messaggio-comunicazione e sull’odierna iconoclastia. Come ci racconta Moe infatti «Sempre più spesso si apprezza l'effetto di un "murales" o di un fumetto/illustrazione fatto con gli spray, non considerando cosa c'è dietro: le basi per la diffusione del fenomeno "aerosol art" sono state poste da chi disegnava lettering. Senza i precursori che hanno generato questa fotta, oggi il 95% degli street artist non saprebbero cosa fare».

Tommaso Evangelista

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