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venerdì 19 agosto 2011

Macchi'Art XXX edizione

“MACCHI’ART”
XXX EDIZIONE DELLA RASSEGNA D’ARTE CONTEMPORANEA
Organizzata dal comune di Macchia d’Isernia

Luogo: Edificio Scolastico di Macchia d’Isernia (IS)
Data: 20/28 agosto 2011
Apertura tutti i giorni dalle ore 17.00 alle 20.00
Inaugurazione: 20 agosto 2011 ore 18.00
Finissage e premiazione: 28 agosto 2011 ore 18
A cura di: Tommaso Evangelista
Info macchiart2011@gmail.com 3384735549
Sito web: www.macchiart.altervista.org

Sostenitori e sponsor: Pro Loco Macchia, Associazione Culturale Macchia Domani, ASCA Associazione Culturale Cultura Anziani, Melfi Solare, BCC Banca Credito Coperativo, Edil Cerasuolo, Caffè Tabacchi Risorgimento, Tre M Immobiliare Srl, Mirkolor, Gabetty Agency

La lunga storia del Premio Macchia, poi Rassegna d’Arte Contemporanea, è un importante patrimonio per la storia dell’arte della provincia di Isernia. Istituito ben trent’anni orsono, e portato avanti con sacrifici e difficoltà durante i decenni grazie alla lungimiranza delle varie giunte comunali e alla passione dell’artista locale Arturo Beltrante, si colloca tra gli eventi d’arte più antichi e significativi della Regione, secondo solamente al ben più prestigioso Premio Termoli giunto alla cinquantaseiesima edizione. La presenza del Premio, quest’anno reintrodotto, ha permesso inoltre la formazione di una significativa pinacoteca che conta circa una sessantina di opere degli artisti più importanti della zona. L’idea della rassegna per celebrare il trentennale è stata quella, dopo le sperimentazioni degli anni precedenti, di tornare alla vecchia e gloriosa formula della collettiva che presenti opere esplicative della poetica di ogni artista, pur in assenza di una traccia ben precisa che vada oltre la personale rielaborazione di impressioni nate dalla “Terra di Molise” e, più in particolare, dal territorio di Macchia d’Isernia. Con una scelta emblematica si è tentato inoltre di valorizzare la collezione del Comune facendo dialogare le opere storiche con i lavori degli artisti invitati convinti che da questo dialogo a giovarne sia soprattutto il fruitore inserito in una fitta rete di rimandi e spunti. Gli artisti “storici”, alcuni presenti sia in collezione che nella rassegna, diventano allora maestri delle nuove leve che a loro volta portano in mostra linguaggi nuovi e dinamici rinnovando magicamente un piccolo “sistema” che si è mantenuto integro per tutti questi anni. Trattandosi di una ricorrenza si è preferito realizzare una ricognizione dell’arte in Regione, pertanto, il tema di fondo, inteso solamente come engramma e pertanto non vincolante, vuol essere il Territorio e le sue bellezze paesaggistiche, storiche e naturalistico-ambientali e il legame degli artisti con esso. L’idea è quella di esporre singole opere che rispecchino e sintetizzino la poetica e lo stile dell’artista. La mostra sarà allestita nei locali dell’Edificio Scolastico insieme all’esposizione del patrimonio artistico del comune. L’obiettivo dell’Amministrazione nell’organizzazione di tale evento è quello di dare nuovo impulso alla rassegna affinché si affermi sempre di più tra gli eventi artistici regionali e nazionali senza disdegnare l’intento di accrescere la collezione comunale di opere d’arte per poterne fare una vera e propria Pinacoteca con una fruibilità permanente.

lunedì 15 agosto 2011

"La bellezza in Molise è ancora possibile, non uccidiamola"

Parola di Antonio Picariello, critico d’arte più noto e apprezzato della regione. Che in questa chiacchierata affronta i temi dello sviluppo urbano e delle trasformazioni del paesaggio in una chiave “estetica”. E avverte: “Anche i parchi eolici vanno progettati in base al territorio, non in base al progettista. Diamo queste torri eoliche a degli artisti e facciamone delle opere d’arte integrate”. E annuncia: “La biennale di Venezia quest’anno vedrà la presenza di 6 artisti molisani, dei quali 3 scoperti e seguiti da me in questi anni”.

di Michele Mignogna su Primonumero

Si terrà il 19 e il 20 maggio prossimi la settima edizione di TrackerArt, il convegno sulla critica d’arte in Italia, che si terrà al liceo artistico Jacovitti di Termoli. L’evento curato, organizzato, ma soprattutto inventato dal professoreAntonio Picariello, critico d’arte e project manager del settore, in collaborazione con l’artista Nino Barone e il movimento Archetyp’Art, nonché del filosofo moderno Geppino Siano di Salerno conosciuto oltre un decennio prima ad un convegno all’università “Carlo Bo” di Urbino. Primonumero.it, ha incontrato Picariello per discutere di arte e di critica. Ma soprattutto dello stato dell’arte in Molise, oggi.

Quando si parla di parla di arte di parla di uomini. E di contesti. Cominciamo da qui, da quello che abbiamo creato attorno a noi. 
«Appunto. Prendiamo l’edilizia urbanistica, la costruzione di case insomma. E’ possibile che vada a distruggere una archeologia industriale, cancellando in questo modo centinaia di anni di storia dello sviluppo delle popolazioni, facendo un danno incommensurabile all’umanità, e tutto questo perché in quel momento il progettista deve, per commissione, fare quel lavoro. Senza nemmeno intuire le conseguenze che questo gesto creativo avrà». 

Qual è allora il compito della critica in tutto questo? 
«Quello che ho cercato di fare io, e voglio precisare che in Molise la storia dell’arte inizia da me, è far capire che ci sono altri modi per affrontare questo tema. Nelle università si insegna la storia della critica d’arte, che nasce di pari passo con la storia dell’arte, e nasce a Parigi dagli stessi autori della enciclopedia universale che ha fatto storia, e quindi la critica d’arte è fondamentale alla storia dell’arte, e non viceversa. La storia della critica d’arte significa la storia delle società, dell’urbanistica, dell’architettura e delle idee che gli uomini hanno realizzato e realizzano. Ecco in Molise è questo che dobbiamo capire: cosa è avvenuto? Come è avvenuto? Ma soprattutto se c’è consapevolezza del prodotto, bellissimo, che il Molise ha da questo punto di vista, e che potrebbe essere venduto all’esterno.
Il Molise offre ancora tantissimo, solo che ha avviato una linea che la critica d’arte ha il dovere quanto meno di segnalare, perché potrebbe essere fallimentare e soprattutto senza possibilità di tornare indietro. A meno che la critica d’arte non intervenga, con gli strumenti a sua disposizione, per chiarire le “prese di coscienza”». 

Professore, che intende esattamente? 
«Molto semplicemente, mentre le città e le metropoli sono ormai al collasso, anche nel rincorrere la bellezza dell’arte, in Molise c’è ancora questa possibilità, e quindi tutti ne devono “prendere coscienza”. Significa capire come le parti sociali si rapportano al territorio, che deve essere un rapporto di collaborazione e non in competizione tra loro, e l’obiettivo deve essere comune, e cioè la crescita culturale sia del territorio che delle popolazioni che lo abitano. E questa politica deve necessariamente partir da gruppi, chiamiamoli intellettuali, che assolvano a questa funzione sociale ma anche spirituale. Insomma: dire agli amministratori guardate che questa strada ha finalità di benessere se c’è concertazione sul territorio, altrimenti rischia di diventare benessere solo per un gruppo ristretto di personaggi, il che non va bene, perché il ritorno in quel caso non è collettivo, non è per tutti». 

A proposito di questo, una riflessione: il territorio molisano è continuamente oggetto di cambiamenti, che a volte significano pure disastri. 
«Noi abbiano il dovere di pensare alle generazioni future. Se questo territorio ha resistito agli attacchi inconsapevoli della distruzione e si è mantenuto fino alla contemporaneità, significa che questo territorio, prendendo coscienza di se, può e deve essere difeso oggi per le generazioni future che hanno tutto il diritto di vedere, capire e studiare quello che oggi vediamo, capiamo e studiamo noi. L’arte deve essere goduta da tutti. Ed è qui che entra la concertazione, mettere cioè insieme idee ed interessi che però non deturpino i paesaggi, e questo è dato anche dalla qualità di un popolo e della società che ha costruito».

Faccia un esempio 
«Eccolo: a Larino nessuno si sognerebbe di andare a scrivere sulla Cattedrale, perché il valore, non solo di bellezza architettonica o il simbolo dato dalla festa del Patrono, viene trasferito di padre in figlio, ed è proprio questo che dobbiamo salvaguardare. Ma questo vale anche per i restauri che a volte possono trasformare irrimediabilmente un monumento, in base alla visione di un progettista al quale viene dato credito. Ebbene il progetto non può essere solo un mero calcolo matematico ma deve essere anche progettazione sacra ed etno-antropologica del luogo, supporto che la critica d’arte può dare. E questo vale per tutte le arti: dalla scultura alla pittura passando per la gastronomia e all’artigianato». 

Uno dei ruoli del critico d’arte oggi è anche quello di scoprire e promuovere nuovi artisti. Ma alla luce della endemica mancanza di fondi degli ultimi anni, quali sono le difficoltà che incontrate? Ma soprattutto quali potrebbero essere le vostre proposte? 
«Il critico d’arte non lavora solo su un giudizio di cosa è buono e cosa no nell’arte, ma lavora anche alla costruzione del valore, quindi deve necessariamente lavorare insieme all’artista, e questo lo sanno bene i francesi che sono degli ottimi organizzatori, se lei va in un museo francese trova tutte le eccellenze che vuole, perché hanno la cultura. Per intenderci Napoleone dopo essere stato in Italia ha inventato i musei in Francia. In Italia siamo ancora ad un livello ottocentesco, nel senso che dobbiamo ancora capire la funzione dei musei, dobbiamo ancora capire la differenza che esiste tra una galleria d’arte contemporanea, moderna ottocentesca e via dicendo, il che determina che nelle scuole non vengano date le giuste informazioni, partendo proprio dalla distinzione tra i vari periodi, storici ed artisti. Oggi io non trovo nessuno in un museo artistico che mi dica la differenza tra diverse scuole di pensiero che hanno fatto grandi i pittori che tutti conosciamo. Cosi come dobbiamo ancora far capire che l’architettura è una forma d’arte, le nostre città ad esempio, mentre una scultura ci giri intorno, la città la vivi da dentro, la vedi e la vivi, e questa è una condizione di autoformazione della coscienza eccezionale». 

E come si valuta un’opera d’arte? 
«le condizioni per valutare un’opera d’arte nascono sicuramente dalla raffigurazione del capolavoro, ma anche dalla spiritualità, dalla cultura, dal modo di vedere il mondo dell’artista, cose che concorrono a far crescere, in valutazione, un’opera. Non solo quindi un valore meramente economico, ma anche personale dell’artista. Non a caso i grandi artisti sono diventati famosi dopo la loro morte, e quando un critico d’arte ha tradotto, in chiave sociologica, la sua opera». 

Quindi anche l’intimità dell’autore… 
«Esattamente, perché l’autore per arrivare a quel risultato deve fare auto ricerca, un lavoro di introspezione che servirà poi nella raffigurazione dell’opera. Prenda ad esempio Guernica di Picasso, in quel quadro lui rappresenta nel modo più crudele la guerra, una città devastata, persone ed animali morti e via dicendo, tutto ciò che oggi sta vivendo il Nord Africa a pochi passi da noi.
 Picasso ha raccontato, dal suo punto di vista, quello più intimo, la storia della guerra di Spagna. Ma questo è dato anche dal fatto che Picasso ha seguito la scuola africana, che di per se è pregna di spiritualismo. Vede, gli orientali hanno un modo di vedere le cose che è sferico, rispetto al nostro ancora geometricamente definito, noi vediamo gli angoli e le rette, loro vedono le sfere, per questo risalta lo spiritualismo, anche nelle arti, in oriente e quindi anche in Africa». 

Tracker Art dunque si inserisce in questo contesto. 
«Certo, Tracker Art, questo convegno arrivato ormai alla sua settima edizione e che si sta tentando di sottrarmelo, deve fare proprio questo, analizzare cioè le criticità del settore artistico e cercare le soluzioni. Soluzioni che tra l’altro abbiamo iniziato a dare già dai primi anni, basta andarsi a leggere gli atti del convegno che sono pubblicati, atti che diventano un piano di intervento se solo si volessero ascoltare chi di arte e cultura ci capisce. Ma è anche la prima volta che a Termoli, in Molise, si facciano dei convegni sulla critica d’arte, raccogliendo i pareri dei critici di tutte le regioni italiane che hanno partecipato ai convegni. Da qui bisogna che i project manager dell’arte ripartano, per collocare il prodotto “arte” sui mercati. Questo fa l’arte, non altro». 

Professore, parliamo un po’ del paesaggio, degli interventi che modificano la visuale di un luogo, che ne cambiano il profilo e via dicendo: cosa sta accadendo in Molise? Come si pone un critico d’arte rispetto alle trasformazioni del territorio attuale? 
«Intanto c’è un discorso di energia e quindi di sopravvivenza dei cittadini, per fare questo bisogna compromettersi qualche valore. Ad esempio il paesaggismo è ciò che offre il luogo, è ciò che io vedo dalle colline di Larino è una percezione visiva che qui ancora esiste. Prenda le grandi città, per vedere il cielo lei dovrà mettere la testa a 90 gradi, mentre in questo luogo dove l’inquinamento visivo non sappiamo ancora cos’è, ho una visione d’insieme tenendo la testa in posizione normale, posso vedere le stelle la strada le case, tutte insieme, quindi è questo che va salvaguardato, ed è questo che dobbiamo salvaguardare, non possiamo portare in questo territorio strutture o palazzi progettati per altre città. Detto questo, il concetto di paesaggio è complesso, pensiamo a cosa era il Molise nell’ottocento con i suoi mulini per la farina, anche loro avevano delle torri abbastanza grandi, ma erano integrati non solo nel territorio, ma anche nella cultura delle popolazioni, anzi, intorno ai mulini c’erano delle vere e proprie filiere che partivano dal produttore del grano per arrivare al consumatore. Io direi che in Molise queste cose, i parchi per la produzione di energia vanno studiati meglio, nel senso che se un parco eolico, lo inserisci in un ambiente dal quale oltre a produrre energia, salvaguardi anche il paesaggio, potremo fare anche un conto sul benessere che ne deriva, ma per tutti però e non per pochi. In conclusione vanno progettati in base al territorio non in base al progettista. Diamo queste torri eoliche a degli artisti e facciamone delle opere d’arte integrate al territorio, perché non pensarci?» 

Parliamo della Biennale di Venezia 
«La biennale nella sezione Italia e Molise, visto che è diventato patrimonio delle regioni italiane, quest’anno vedrà la presenza di numerosi artisti molisani. Sono tutti artisti che potranno dare quel valore aggiunto, all’arte di questo posto, e parlo di Giuseppe Capitani, Cleto di Giustino, Elio Franceschelli, Ettore Frani, Ernesto Liccardi, Vincenzo Mascia, Manovella Helena Manzan, Michele Mariano, Andrea Nicodemo, Caterina Notte, Giacinto Occhionero, Igor Verrilli»

Marchen: il Molise si mette in mostra



di Marilena Rodi su L'INDRO

Intervista con il curatore Tommaso Evangelista. "La nostra regione, un laboratorio trascurato"

“Märchen è il racconto fantastico e irreale, la fiaba, tratta dal ricco patrimonio orale e scritto della fiaba popolare tedesca che pone le basi della fioritura del Märchen quale genere letterario, prediletto, del Romanticismo”. È quello che si legge nel catalogo della mostra’Märchen’ dal Molise a cura di Tommaso Evangelista, conclusa da poco a Termoli, una cittadina della ’periferia molisana’ con la serena ambizione di offrire una proposta culturale che si collochi nei principali itinerari da praticare. Quelli della rivoluzione concettuale. Infatti si legge ancora: “Cercarono il riscatto dei popoli oppressi, la funzione formativa della storia, l’eterna irrequietezza, la vera poesia che viene dal popolo il quale ignorava estetiche e letterature. Il nostro Märchen vuole essere questo, riproposto in chiave di Arti figurative con tutti i limiti e la necessaria modestia, nel rispetto delle predisposizioni di ciascun operatore delle arti visive”.

A mostra conclusa, abbiamo approfondito la proposta-sfida con il curatore, Tommaso Evangelista (le opere esposte sono di Cristina Valerio e Nazzareno Serricchio).

Il Molise è una regione tutta da scoprire. Che tipo di realtà affronta l’arte contemporanea? 
L’ambiente artistico molisano è incredibilmente vario e sfaccettato anche se pochissimo conosciuto; molti valenti giovani si stanno affermando a livello nazionale mentre continuano a operare gli artisti “storici” che tanto si sono battuti, dagli anni Sessanta, per svecchiare un’arte legata ancora ai ’pittori della domenica’. Pesa la mancanza di gallerie d’arte (e galleristi) e centri per l’arte contemporanea che spingano sulle riviste specializzate e sulla stampa di settore, pertanto la regione si colloca alla periferia di un sistema, quello italiano, che è già periferia del sistema anglo-americano. Questa è stata la risposta di Politi a una mia mail nella quale mi offrivo come collaboratore dal Molise per Flashart: “Riteniamo che nella tua regione non ci siano eventi che possano rientrare nel nostro interesse”. Ma naturalmente è una risposta che ci può stare in quanto l’arte contemporanea punta quasi esclusivamente sul mercato e non sulle declinazioni regionali. Pesa naturalmente l’endemica mancanza di fondi per la cultura, l’assenza di politiche culturali che vadano oltre le sagre e le fiere e lo scarso riconoscimento professionale della figura del critico. L’evento più significativo è il Premio Termoli, giunto quest’anno alla 56° edizione, ma ci sono altre piccole realtà di indubbio spessore: il museo diffuso diCasacalenda, le collettive Fuoriluogo nello spazio Limiti Inchiusi di Campobasso, le attività dell’Aratro, un piccolo spazio ricavato nella Facoltà di Lettere dell’Università del Molise e gestito dal prof. LorenzoCanova insieme agli studenti del suo corso di arte contemporanea, le attività dell’Officina Solare, una galleria gestita da un’associazione che, senza alcun finanziamento pubblico, è attiva sul territorio con un ricco programma di eventi, e poi le tante collettive e personali organizzate nei vari paesi dove si cerca, con quattro soldi, di restituire un minimo di serietà all’evento. Detto questo vedo delle grandi potenzialità e margini di sviluppo anche per la presenza, sul territorio, di tanti giovani studiosi.

Prolifera in Italia la produzione di opere ’site specific’: è un po’ un modo per riportare alla territorialità della conoscenza anche l’investimento intellettuale dei giovani artisti (e non), in sostanza, per non disperdere il patrimonio culturale di un luogo?
Una delle caratteristiche dell’arte contemporanea in Molise è che gli artisti ’storici’ sono sempre stati legati al territorio e ciò lo si intuisce dalle loro opere, opere realizzate con materiali poveri, della “terra”, legate a un inconscio collettivo magico e rurale, con una forte carica di denuncia sociale o documentazione. Oggi va molto di moda il termine glocale e a riguardo si sono realizzati in regione eventi che andavano in questa direzione, verso un recupero delle origini e del passato con un occhio al mondo; è una tendenza che ritrovo, tra l’altro, in molti settori della cultura dove, dopo l’ubriacatura per una globalizzazione cieca e spietata, si cerca di correre al riparo ritornando al locale e preservando le specificità dei luoghi. Questa tendenza, in arte, è più sfaccettata perché i linguaggi sono molteplici e non sempre comprensibili a una prima lettura. Le opere ’site specific’ non dovrebbero essere realizzate per il territorio ma in accordo con esso altrimenti si corre il rischio di cadere nella maniera e nel fraintendimento. Del resto l’autenticità che trovo nelle opere degli artisti ’storici’ non riesco a trovarla nei giovani, come se si fosse persa quella sincera voglia di seguire la propria ’ingenuità’; ma la colpa non è certo loro quanto di un sistema che non ha saputo investire su di loro costringendoli a scappare e a rinnegare le proprie origini.

Parliamo della mostra Märchen dal Molise inaugurata il 23 luglio. Il märchen, un genere letterario tradotto in proposta figurativa. Perché? 
L’idea nasce dal maestro Nazzareno Serricchio e dal suo amore per la letteratura; nasce in particolare da un testo, una raccolta di racconti romantici tedeschi. In queste pagine viene rielaborata, da scrittori del calibro di Hoffmann e Schlegel, la lunga tradizione delle favole germaniche tanto legata al fantastico e all’irrazionale. Nella letteratura cominciano a entrare i temi del sogno, dell’inconscio, del mistero, della donna come figura seducente e fatale. Si è tentato allora di tradurre questi stimoli in arte lavorando quasi esclusivamente sul segno. Le opere, più che raccontare, trasferiscono in figura delle impressioni che prendono forza e consistenza grazie al rigoroso lavoro del maestro capace di creare oggetti materici e tridimensionali. Tali enigmatiche forme, che debbono molto all’architettura della modernità, decostruiscono le parole per ricomporle in tracce. Come i romantici hanno ripudiato la fredda ragione degli illuministi cercando la genuina poesia del popolo e il riscatto degli oppressi con autentica irrequietezza e voglia di ribellione, così l’artista, avendo in mente il Molise e le sue vicissitudini, anche attuali, ha cercato di rendere il malessere e il disagio di una terra sottoforma di racconto, non smarrendo i valori etici e morali comuni a molta arte del passato. Per contrasto nella mostra trovano una loro dimensione anche i lavori di Cristina Valerio pieni di poeticità, romanticismo, umanità in cerca di desiderio e liberazione.

Ritiene che l’arte contemporanea oggi sia contaminata da una volontà egemonica in qualche modo di parte? Oppure semplicemente non ha gli spazi giusti per poter esprimere l’indagine sociale, e che quindi cerca di imporsi scavalcando i ’riti consueti’? 
Con la fine delle avanguardie l’arte ha ceduto buona parte dello spazio culturale che si era andata cercando. Tutte le teorie dell’arte, prodotte dalla fine dell’Ottocento fino a oggi, hanno reclamato il diritto sacrosanto dell’artista di autodeterminarsi; tale libertà, però, è stata fagocitata dal mercato sempre pronto ad appoggiare linguaggi settoriali che non aprono orizzonti di senso ma giocano su “trovate” più o meno efficaci. L’idea che l’arte debba attuare un’azione di indagine sociale, poi, è un falso mito che risale al romanticismo; l’arte deve veicolare il bello attraverso l’utile e in questo modo agire sull’individuo. Il sistema della cosiddetta “produzione culturale” è incapace di creare valori che non siano meramente economici pertanto si avverte la mancanza non tanto degli spazi giusti quanto dell’onestà intellettuale di cercare la qualità e non il mercato, di lavorare in accordo con gli artisti e non con i galleristi, di puntare alla Storia e non al presente. In regione, poi, mancano anche gli spazi e ogni manifestazione diventa ancor più difficile in quanto è come se ogni volta si dovesse ripartire da zero.

Assistiamo un po’ al tutto e contrario di tutto, come è la nostra società attuale del resto. Lei cita ’Lo spirito del mondo’ di Hegel: come si relaziona al nostro mondo contingente? 
Non a caso Danto parla di “fine dell’arte” collocando questa fine nel momento in cui l’arte cessa di essere qualcosa di definito, inserito in una cornice narrativa e storica, per diventare un fenomeno “liquido” e non classificabile. Oggi infatti, nell’assenza di ogni riferimento e struttura, tutti i linguaggi sono uguali e pertanto tutti sono relativi e consumabili all’infinito e non c’è più differenza tra sostanza e idea. Hegel parla di “spirito del mondo” nell’ambito della filosofia della storia ma è già inserito nella modernità, ovvero nell’esaltare lo Spirito non fa che celebrare la coscienza di sé che si esprime nella libertà. In quest’ottica lo Spirito del mondo diviene Spirito del popolo con tutte le conseguenze viste nel Novecento. Anche l’arte che si trasforma in coscienza di sé diventa filosofia in quanto non più rivolta alla realtà ma all’indagine dei suoi meccanismi eall’autodefinizione. Proprio da Hegel, infatti, nascono molte teorie critiche del Novecento che tentano di definire cosa sia oggi l’arte o se alcune opere siano o meno arte. Il ’tutto e contrario di tutto’ deriva appunto dalla tale relativizzazione che, se vogliamo, rispecchia pianamente le dinamiche di una società ’orizzontale’.

L’artista è un po’ la sonda intelligente della società. Lei scrive nella presentazione: “Tocca agli artisti farsi promotori di un ritorno all’uomo, pur con le dovute difficoltà. D’altronde la vista è per i romantici l’organo più facile da illudere”.. 
La figura dell’artista è stata per secoli una figura essenziale nella società in quanto si faceva garante della diffusione, attraverso la bellezza delle immagini, dei suoi valori. Naturalmente non agiva da solo ma aveva alle spalle uomini di cultura (i committenti) capaci di riflettere per il bene della società (polis o comune). Oggi, mi pare, tutto questo si sia perso nell’eccessiva ed egoistica voglia dell’artista di apparire attraverso la novità o la sensazione, attuando quindi sempre più violente azioni di rottura e non ponendosi mai in continuità con la Storia e la tradizione. A riguardo vorrei consigliare ai lettori una rubrica che il prof. Rodolfo Papa tiene su ’Zenit’ e che si intitola ’Riflessioni sull’arte’, dove vengono sviscerate molte dinamiche dell’arte contemporanea. Basti del resto prendere il caso delle Archistars che non lavorano più sul contesto ma realizzano spazi totalmente alieni alle città e che non sono altro che l’esaltazione smisurata del loro ego. Appunto perché la vista è l’organo principale della fruizione, e quindi il più facile da illudere, bisognerebbe cercare di coltivarlo e nondistruggerlo. La perdita dell’ingenuità (visiva) e della possibilità di essere sorpresi è del resto tra gli eventi più gravi della società del consumo. 

giovedì 11 agosto 2011

Nasce a Termoli la TemporaryGallery

Il concetto di tempo è relativo. 
Un elemento che sospende, dilata, rende intersoggettivo il tempo è l’arte contemporanea. E per agire le basta un istante.

Per un mese a Termoli la TEMPORARY GALLERY – GALLERIA D'ARTE (CON)TEMPORANEA propone opere che cambino il nostro senso del tempo, per un attimo, per pochi giorni, o per un mese. Affascinando i nostri sensi e i nostri animi.

L'inaugurazione avrà luogo il 12 Agosto, alle ore 21, nella sede della galleria in corso Umberto n. 81. 

In mostra, opere d’arte eterogenee: 
i dipinti di EMANUELA DE NOTARIIS e di LUIGI MASTRANGELO, due artisti molisani affermati al livello nazionale ed internazionale;
i dipinti di BARBARA MASTROBERARDINO, artista emergente scelta tra i giovani talenti termolesi;
gli oggetti d’arredo e d’arte di BAKU, ditta fondata da Luca Mastrangelo a Santa Croce di Magliano che ha tra i suoi artisti i succitati De Notariis e Mastrangelo, Nicola Corona, Nicola Macolino, Cesare Pacitti, Fabrizio Passarella, Gianni Pedullà, Gianluigi Venturini.

Durante la serata inaugurale si potranno degustare gli spumanti della CANTINA CATABBO, di recente produzione e presentati con successo durante l'ultimo Vinitaly. 

La TEMPORARY GALLERY si propone a Termoli come elemento innovativo e poetico, elisir di benessere interiore.

TEMPORARY GALLERY
Galleria d'arte (con)temporanea
Termoli
Corso Umberto I, n.79

12 Agosto - 13 Settembre
h 19-23


mercoledì 10 agosto 2011

Premio Termoli 2011

Nato su iniziativa di Achille Pace, il Premio Termoli è giunto alla sua 56esima edizione. Grazie alla tenacia del maestro e alla costante attenzione delle autorità amministrative succedutesi alla guida della città molisana, la raccolta civica si è arricchita nei decenni di pregiate opere d’arte contemporanea, testimonianze preziose della vivacità culturale di Termoli e, più in generale, dell’intera regione. Lo spazio che ospita le opere è quello della ex-chiesa di Sant’Antonio, con un allestimento su due livelli che abbraccia l’intera superficie, compresa la zona absidale.Sono 31 le opere esposte, 15 delle quali fanno parte della raccolta civica, selezionate come le più rappresentative delle diverse stagioni dell’arte contemporanea italiana. Da Carla Accardi a Piero Dorazio, da Tano Festa a Luigi Ontani, da Mario Schifano a Giulio Turcato e lo stesso Achille Pace si ritrovano, in una sorta di collettiva allargata e corale, a dialogare con 16 protagonisti dell’arte italiana degli ultimi decenni. Una scelta, quella del curatore Lorenzo Canova, docente di Arte contemporanea all’Università del Molise e recentemente nominato Sovrintendente della Fondazione Molise Cultura, mirata a far luce su un dialogo ininterrotto tra artisti, che annulla le distanze anagrafiche ed espressive.



Gli artisti contemporanei chiamati a confrontarsi con i loro celebri colleghi comunicano attraverso linguaggi differenti. L’invito è a tessere e ad intrecciare dei fili (come quelli delle opere di Pace) in uno scambio che possa essere al tempo stesso stimolo e narrazione.

Il risultato fa percepire un’armonia simile a una prova d’orchestra dove la cifra stilistica di ciascuno, sia essa legata all’immagine o al più puro astrattismo, non sottintende alcun contrasto generazionale o di scuole. Si avverte, viceversa, una condivisione nel rispetto delle specifiche individualità.

Paolo Angelosanto propone la bandiera come specchio delle contraddizioni del Paese, una chiave di lettura che è denuncia, come quella di Angelo Bellobono che accosta l’orrore della guerra all’opulenza vacanziera; Francesco Cervelli ci porta nelle sue atmosfere liquide e sospese, che inquadrano ambienti simili a set cinematografici; ci sono anche le scomposizioni geometriche e cromatiche di Marco Colazzo, l’Amarcord disincantato e struggente di Mauro Di Silvestre, l’intenso vigore pittorico dei personaggi senza tempo di Stefania Fabrizi, i simboli dei quattro Evangelisti di David Fagioli che diventano punti cardinali nei suoi segnali stradali; in mostra anche Francesco Impellizzeri, che impagina la sua attività di performer definendone ironicamente dettagli e contorni; le fragilità dei sottili lacerti di carta, che, attraverso le mani di Susanne Kessler si impadroniscono di volumi definiti, facendosi scultura; la raffinata ricerca pittorica di Federico Lombardo negli acquarelli e nelle rigorosissime pennellate digitali dei suoi ritratti, le giovani intuizioni di Manovella (Luciano Sozio) che assimila e restituisce le lezioni dei suoi più diretti maestri; è presente anche Ernesto Morales, con i suoi paesaggi che parlano di antiche rotte di migrazione e della dolce malinconia della lontananza; la ricercatezza tecnica che si mescola al glamour allusivo e pop di Adriano Nardi; il filo della narrazione, scandito con tratto meticoloso da Andrea Nicodemo; l’aria nitida e immobile del sole africano, che Luca Pace vede con occhio sensibile e onirico, mentre Marco Verrelli traduce in termini poetici e meditativi le inquadrature alienanti metropolitane.

La mostra resterà aperta fino al 24 settembre (con orario: luglio-agosto: 17-24; settembre 10-12 / 17-20); al termine, la giuria decreterà tra i 16 artisti partecipanti il vincitore del Premio.

Va infine segnalato che l’amministrazione cittadina, attraverso l’Assessore alla cultura Cocomazzi e contestualmente all’inaugurazione del Premio Termoli, ha aperto al pubblico un nuovo spazio museale da poco ristrutturato (in Corso Fratelli Brigida ) dove, in un allestimento sperimentale, sono stati esposti una ventina circa di lavori di Gualtiero Nativi, Remo Brindisi, Turi Sottile, Lia Drei, Marisa Busanel, Paolo Borrelli ed altri artisti; sono previsti orari di visita nel weekend nell’arco dei prossimi sei mesi, in seguito le opere esposte verranno sostituite da altre tra le ben 400 della raccolta civica.

Si resta quindi in attesa di scoprire il nome del vincitore del premio Termoli, ma, nel valutare l’atmosfera che si è percepita all’inaugurazione, il vero trofeo se l’è già aggiudicato la coralità, il clima tutt’altro che competitivo tra gli artisti presenti che frequentano amichevolmente gli studi e le mostre gli uni degli altri; l’immagine è quella di un’allegra foto di gruppo, sorprendente ed impensabile per chi vede troppo spesso nel mondo dell’arte il riflesso di una società astiosa poco incline alla leggerezza di un confronto sereno.

Maria Arcidiacono su Artapartofculture

domenica 7 agosto 2011

MatriceArte 2011

“Immaginari Grafici” 
MatriceArte,
Dal 7 al 16 Agosto 2011 Santa Maria della Strada, Matrice, Campobasso.
A cura di Antonella Morrone

Inaugurazione 7 Agosto 2011 ore 19 00

Immaginari Grafici intende proporre al pubblico uno sguardo sulle diverse interpretazioni possibili e sui molteplici percorsi conducibili all'interno della grafica, l'illustrazione e l'animazione. I dodici artisti invitati porteranno in mostra i loro "mondi" e presenteranno i loro approcci, esemplificando e testimoniando diversi linguaggi, percorsi, attitudini possibili. Al di là delle differenze, ciò che questi condividono è una consapevolezza critica nei confronti delle possibilità della grafica e della propria posizione all'interno della comunicazione visiva in questa epoca in cui siamo bombardati in continuazione da immagini e messaggi.

Andrea Moresco
Cosimo Paiano
Daniele Giantomaso
Erica Calardo
Flavio Boretti
Giulia Magagnini
Luca POP
Mariagrazia Colasanto
Michele Tomasini
Niko Vitiello
Stefania Giunchi
Vincenzo Cianciullo

venerdì 5 agosto 2011

Sepino, ovvero l'Italia

Tomaso Montanari
Il Fatto quotidiano 15/7/2011
Solo Galan può fermare il cantiere


Immaginatevi Piazza San Pietro con sedici pale eoliche piantate nel Colonnato berniniano: sedici pale alte centotrenta metri, cioè esattamente quanto la Cupola. O immaginatevi questi mostri sulla collina di Fiesole, sopra Firenze. O torreggianti sull'isola di San Giorgio, di fronte a Piazza San Marco, a Venezia. Bene, grazie a una sentenza del Consiglio di Stato di pochi giorni fa qualcosa del genere sta davvero per accadere: quelle sedici, gigantesche pale eoliche stanno per essere installate sulla città romana di Sepino, in Molise. E qui immagino le alzate di sopracciglio: «Ma non vorrai paragonare questa Sepino con Piazza San Pietro, o col Bacino di San Marco?». E invece è proprio quello che voglio fare. Sepino è uno dei luoghi più belli ed emozionanti che abbia visto nella mia vita. Una città romana non meno commovente di Pompei: una città vera, non uno scavo leggibile solo dagli specialisti. Una città con le mura in piedi, con il teatro agibile, con le strade, le botteghe, gli archi, le iscrizioni. Una città in cui le piccole basiliche si sono trasformate in masserie settecentesche, in parte ancora abitate e circondate da animali. Una città che, a differenza di Pompei, è ancora immersa in una natura intatta: la meravigliosa valle del Tammaro, chiusa da colline dolcissime su cui corrono i tratturi nati sui tracciati, e a volte sui selciati, delle strade romane. Camminando per Sepino hai la sensazione di camminare nel tempo, sembra di essere nel Campo Vaccino, cioè nel Foro Romano quand'era un pascolo: fino all'età di Goethe. Ma, soprattutto, a Sepino capisci cos'è, davvero, l'Italia: o meglio cos'era, e cosa potrebbe continuare a essere. Un paese irriducibile al campionario di pochi luoghi simbolo, e che consiste invece nella capillare diffusione di siti meravigliosi, nel tessuto continuo di storia e natura ormai fuse in un paesaggio culturale unico al mondo. Qualcosa di incompatibile con la dimensione "televisiva" della comunicazione contemporanea, che ha bisogno di nomi celeberrimi e di continua, alienante celebrazione dell'ovvio. Né aiutano i giornali, maniacalmente interessati al singolo "capolavoro" inedito: solo nelle ultime settimane, quanto spazio è stato dedicato allo pseudo-Caravaggio spagnolo, all'improbabile Leonardo americano, e ora all'ennesimo finto-Michelangelo dell'instancabile Antonio Forcellino! Come se, dimentichi del mare e della sua salvezza, ci lanciassimo in una inutile, frivola e per giunta fallace ricerca delle conchiglie rare, riducendo la storia dell'arte a un'enigmistica da ombrellone. Se l'opinione pubblica nazionale, almeno quella più colta e avvertita, sapesse cos'è Sepino, devastarla con le torri eoliche sarebbe impensabile come lo è per Piazza San Pietro, o per Venezia. E invece sta succedendo. Il tratturo-strada romana è stato trasformato in una strada di cantiere (!), e i mezzi meccanici hanno cominciato ad agire. A quel punto è scoppiata una battaglia: per ora solo legale, anche se non è difficile immaginare un esito tipo "No Tav". Essa riguarda tutto il Molise: su una regione di 4000 chilometri quadrati si vorrebbero installare 3500 pale, per un business (con molti lati oscuri) calcolato in 60 miliardi di euro. Contro questo Golia, lotta un coraggioso, ammirevole David composto da 136 associazioni culturali, comitati spontanei e organizzazioni varie. E lo Stato, da che parte sta? II nuovo direttore regionale del Ministero dei Beni culturali, Gino Famiglietti, ha invertito la linea lassista dei predecessori (quella che è all'origine dell'attuale sentenza del Consiglio di Stato), ed è ora il più forte difensore di Sepino. Il presidente della Regione sta invece con le pale, anche se la pressione crescente della cittadinanza attiva molisana sta cominciando a fare breccia. Ora la palla è a Roma, nelle mani del ministro Galan. C'è infatti solo un modo per salvare Sepino: approvare, e in fretta, una legge speciale che scavalchi tutti i cavilli e vada al cuore del problema. In attesa che una seria manutenzione del recente Codice Urbani renda efficace una rete di protezione che salvi l'Italia. Che non è "Roma più Firenze più Venezia": quella è Las Vegas.

mercoledì 3 agosto 2011

Il padiglione molisano della Biennale - recensione

Lunedì 11 luglio si è inaugurato a Isernia, presso l’Officina della Cultura, il Padiglione molisano per la 54° edizione della Biennale di Venezia, padiglione che rientra in un più complesso sistema di sedi espositive curate dal critico Vittorio Sgarbi. Le discussioni non sono certo mancate, anche se l’idea di far partecipare tutte le regioni alla prestigiosa manifestazione è stata forse la proposta più interessante della rassegna, per la volontà di censire e recensire l’intero territorio dando modo anche agli artisti locali di partecipare alla prestigiosa kermesse. In Molise tale manifestazione artistica è di sicuro la più importante dai tempi della Biennale del Sud, ospitata nel 1988 al castello di Gambatesa, ma è stata recepita poco dagli organi di informazione pronti ad elogiare la “politica” ma poco propensi, o adatti, a riflettere sul merito delle opere e della selezione. Premetto subito che il padiglione funziona e lo stesso Sgarbi ha elogiato i locali dell’ex capannone ferroviario che, anche visivamente, sembra una propaggine dei padiglioni veneziani; l’allestimento minimale da il giusto spazio e peso alle opere perfettamente a loro agio nella struttura. Forse proprio la limitatezza della selezione ha permesso una maggior fruibilità dei lavori, cosa per esempio non avvenuta nel padiglione italiano. A parte qualche eccezione i lavori sono interessanti in quanto la visita non risulta noiosa, anzi permette il confronto con una grande varietà di linguaggi, e anche la presenza di diversi giovani (molti però residenti fuori regione) è un buon segnale di vivacità e rinnovamento dell’ambiente artistico. Qualche perplessità, oltre all’assenza di una linea curatoriale e ad una commissione inviti rimasta nel vago, deriva dalla mancanza di diversi artisti storici e storicizzati poiché si è persa l’occasione di dar il giusto riconoscimento a figure che hanno sempre lottato per e con l’arte contemporanea, in tempi nei quali il territorio era chiuso alle avanguardie. Anche se una Biennale non deve essere il luogo della memoria a mio avviso l’occasione era la più adatta, se non altro per l’ampio richiamo mediatico, per presentare al grande pubblico una completa? selezione dell’arte molisana che tra l’altro mostra proprie peculiarità poco recepite dalle nuove leve che, vuoi per vuoto istituzionale o desiderio di evasione, sono costrette a lavorare fuori regione interrompendo quel legame con le proprie origini e recependo così altri stimoli. Come premesso vorrei offrire ai lettori di Zenit brevi recensioni delle opere, per dare il giusto spazio sopratutto agli artisti, con la speranza che questa significativa e riuscita iniziativa possa portare in regione un rinnovato interesse per l’arte contemporanea che si risolva con la programmazione di nuovi eventi che possano colmare il vuoto lasciato dalla selezione. Giacinto Occhionero presenta un dipinto su plexiglas, Membra Collant, che raffigura, con surreale commistione, un incrocio tra uno squalo e una gamba femminile; “l’animalizzazione” dell’arto veicola sensazioni di velocità e rapacità che si traducono in un’esplosione di forme e colori. Michele Sottile con Il suono è il primo movimento dell’immobile (omaggio a Giacinto Scelsi) unisce pittura e video: mentre gli inchiostri su carta diventano essenziali pentagrammi immaginifici con linee e segmenti che formano moduli e scansioni ritmiche (in riferimento alla musica microtonale di Scelsi), nel video un rumore di fondo distorto commenta immagini di stanze alterate cromaticamente o onde marine. Dante Gentile Lorusso, in Lettera d’amore, crea una composizione di segni, ovvero attraverso l’uso di un linguaggio perduto/inventato gioca tra senso e spaesamento dove il senso è dato dalla riconoscibilità scritturale delle forme, lo spaesamento dalla loro incomprensibilità. Ernesto Liccardo con L’urlo e Fukushima lavora su tele che si piegano all’essenza delle impressioni, veicolando con distacchi spaziali e colori disfatti un malessere interiore; ecco allora che le opere diventano come cellule cancerogene della società moderna. Michele Mariano in My Time-Personale Time riflette con lo spazio (dell’installazione) e col tempo (del video e della sua performance): nella differenza tra tempo e durata, postulata da Bergson a fine ‘800, si gioca gran parte dell’arte contemporanea, mentre nell’inconciliabile scissione tra il mondo e la coscienza individuale deriva l’abbandono ad un eterno presente. Luigi Mastrangelo espone Lo stagno e Il Bosco; in queste tele figure oniriche, a metà strada tra cartoni animati e divinità pagane, sono raccontate e descritte col linguaggio pop dei colori primari e della bidimensionalità che annulla la loro individualità. Vincenzo Mascia riflette sulla struttura interna/esterna delle forme; in Quadrato-struttura, Onda-struttura e Tondo-struttura la configurazione delle sagome diventa una poetica del ritmo, della distanza, dello spazio con la geometria che supera l’espressione. Giuseppe Capitano espone Artigli, un’installazione surreale che presenta due zampe di gallina ingigantite e sospese; l’ingrandimento del particolare annulla il legame delle forme con la natura giocando sulla sorpresa e l’eccesso. Giulia De Filippi in + e – e Brian Map gioca con le parole e con dualismi (positivo/negativo, forme/colore, destra/sinistra, sapere/non sapere) veicolando le contraddizioni delle forme e dei concetti trasmessi dalle conformazioni e dai sistemi. Paolo Borrelli porta in Biennale delle tavole che formano un ideale polittico (Una rotta parola, Revolutionand Repetition, La dolce menzogna, Non pena, non febbre, non ombra): all’interno dei profili della testa dell’artista sono inserite delle immagini che raccontano, attraverso il montaggio visivo, le contraddizioni della Storia intesa come accumulo di documenti difficilmente decifrabili e ricomponibili in maniera univoca. Caterina Notte presenta due foto dalla serie Arm Candy e un video: la femminilità, con modalità voyeuristiche, è esibita senza limitazioni e si apre ad una sessualità esplicita che gioca col tema del doppio, della sensazione e della simulazione. Umberto Petrocelli in Rejoicel lavora sulla specularità delle forme (animali, oniriche, fantastiche, lontanamente pop) organizzate in un’apparente simmetria visiva, e presenta anche il videoclip del singolo dei Lapingra, This is not a test, per il quale ha curato regia e costumi; video surreale e barocco, elaborato e sfuggente nel raccontare la fantasiosa cacciata di un dittatore. Manovella ne La Notte e il Santo e L’ultimo Beethoven, col suo peculiare stile minimale e poetico, dispone sulla tela tutti quegli elementi capaci di ricreare una storia, da decifrare come fosse un rebus o immaginare con fosse un sogno. Esplosione cosmica e Risonanza magnetica di Helena Manzan sono due grandi tele dove colore e sostanza deflagrano in intensi cangiantismi e grumi materici; pur nel disordine derivato da una pittura d’azione violenta e vigorosa si percepisce una studiata elaborazione della superficie che diventa anche luogo della memoria (l’uso della pelle di serpente richiama le sue origini brasiliane). Elio Franceschelli col Suicidio del caciocavallo (già raccontato nel numero precedente) realizza un’opera dal chiaro intento polemico nello smontare le velleità del curatore Sgarbi che avrebbe voluto esporre come opera addirittura il culatello di Parma; il gesto del caciocavallo, allora, diventa metafora del naufragio del sistema dell’arte. Valentino Robbio con le sue installazioni, The Trip e O.G.M. (organi geneticamente modificati), lavora sullo spazio nel realizzare scenografici allestimenti di oggetti incongruenti che attraverso una genuina ironia e un’intelligente sarcasmo spiazzano il fruitore. Igor Verrilli, con la sua pittura iperrealista, presenta tre tele che raffigurano altrettante copertine di riviste (Il grande bluff - Flash art, Sdoganamento - Famiglia Cristiana, Che Bella Italia - Bell’Italia) “rivisitate” con l’inserimento di notizie inventate ma desunte dall’attualità nazionale e regionale; la veridicità delle composizioni si scontra con la satira disorientando il fruitore/lettore. Andrea Nicodemo per You don’t under stand that i love you realizza una composizione polimaterica e minimale giocata sull’esibizione e sfoggio dell’organo dell’amore, con una domanda: cuore o pene? 

Tommaso Evangelista

Su Zenitmagazine di Agosto

martedì 2 agosto 2011

Ferhat Ozgur e il Molise

"Un'Espressione Geografica" è una mostra prodotta dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e curata da Bonami. La formula, per i 150 anni della nazione, è quella di inviare un artista internazionale in ogni regione, sotto la guida di un curatore locale, e poi esporre i lavori frutto di quell'esperienza. Al Molise è toccato il turco Ferhat Ozgur e questi sono i suoi lavori ispirati ai Misteri.




ITALIA 2011

arte e paesaggi Frammenti di presente, pezzi di passato. Venti artisti raccontano anarchicamente il nostro paese, regione per regione. Risultato? Una grande mostra di opere personalissime, instabili e irriverenti (dal 19 maggio a Torino) 
Foto courtesy degli artisti
Ricordate la cartina politica dello stivale divisa in quelle forme colorate in rosa, verdino, giallo, azzurro, sempre appesa dietro le foto di classe? Era un'Italia bidimensionale e semplice, divisa in venti regioni, una vicina all'altra, separate da una sottile linea tratteggiata e perfettamente coincidenti come le tessere di un puzzle: è così che ce l'hanno insegnata a scuola e noi davamo per scontato che sarebbe sempre stata così, piana e comprensibile. Eppure oggi che l'identità italiana è tornata a essere una questione spinosa, ci ricordiamo che lo è sempre stata: forse perché dall'altra parte della mappa tutte quelle montagne, fiumi, vallate, isole e penisole, quelle coste frastagliate e scoscese hanno reso il nostro paese poco incline alla semplicità. Il primo a sottolinearlo fu il ministro austriaco Metternich, che nel 1847 definì l'Italia "un'espressione geografica": a dire che per fare un nazione ci vuole ben altro che un collage di pezzi di terra e qualche poeta sparso qua e là. Se la presero in molti, a quei tempi: tanto che la frase incriminata divenne uno degli slogan delle rivoluzioni del '48. Oggi invece, a dribblare nazionalismi, idelogismi e federalismi un po' cialtroni, ma anche quelle celebrazioni centocinquantenarie sbiadite come il compleanno di una vecchia zia, ci pensa un curatore fiorentino globalizzato nel museo di una signora torinese che al posto dello zerbino usa il tappeto di Cattelan a forma di Formaggio Bel Paese: Francesco Bonami porta infatti alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, una mostra intitolata proprio come la famosa e vituperata frase di Metternich, "Un'Espressione Geografica". "Sono partito dall'idea che la disunità e la diversità, quella linguistica e quella culturale, quella territoriale e quella umana, sono la nostra principale ricchezza", dice mentre si sposta tra New York, Firenze e chissà dove. "Anche sulle monete americane, in fondo, c'è scritto E Pluribus Unum, dalla moltitudine una cosa unica. Così ho invitato venti artisti che vivono e lavorano in Europa a fare un viaggio alla scoperta dell'Italia che non esportiamo all'estero: più sconosciuta, meno modaiola ma più interessante. E loro, senza pregiudizi e senza snobismi intellettuali, sono andati a scovare uno zoccolo duro dell'Italia regionale fatto di persone, usi, tradizioni, dettagli che noi per primi non conosciamo o che abbiamo incautamente dimenticato. Per poi magari andare fino in America a cercare il mito dell'on the road". Concepita come una specie di lotteria - a ciascun artista è stata assegnata, a sorteggio, una delle venti regioni d'Italia - ma anche come un viaggio goethiano contemporaneo, questo progetto iniziato quasi un anno fa ha portato i nostri venti in giro per l'Italia con l'autorizzazione a uscire dalle rotte e a perdere tempo, a soffermarsi sui dettagli anziché sul disegno d'insieme, a seguire le tracce del territorio, del proprio immaginario, di quella parte di sé che si ritrova quando si vedono cose nuove e inaspettate. E loro hanno eseguito il compito con anarchica determinazione, riportando frammenti di presente e pezzi di passato, dettagli nascosti o meraviglie sotto gli occhi di tutti, trasformati in opere personalissime, instabili, irriverenti. I graffiti sui muri dell'università occupata e i vecchi banchi di una scuola romana degli anni Quaranta; l'ultimo ristorante dove Pasolini cenò e i segni misteriosi della civiltà camuna; una villa palladiana e il gradino del santuario di Loreto dove i pellegrini hanno lasciato traccia del loro passato; i tetti di paglia delle case altoatesine e gli occhi scavati nella pietra che guardano dai muri di un palazzo torinese; il giardino botanico di Napoli e le lavagnette con i numeri della smorfia: i lampi di visioni dei venti viaggiatori che hanno prima immaginato, poi guardato, poi raccontato l'Italia non si incastreranno mai nel puzzle rassicurante di una cartina geografica. Piuttosto in un mosaico fatto di innumerevoli tessere dove l'Italia è al tempo stesso più locale e più globale di come siamo abituati a figurarcela, uno stratificarsi di storie, di passaggi, di fili rossi intrecciati con l'Europa e col mondo: un affascinante, quasi illeggibile enigma che gli artisti sintetitizzano in simboli e immagini potenti. Ferhat Ozgur arriva dalla Turchia: e non si aspettava che Campobasso somigliasse così tanto ad Ankara. Ma soprattutto che in Molise esistessero viadotti come quelli di una megalopoli americana che portano a villaggi sperduti di pastori e stradine che si inerpicano su per i monti, che le pale eoliche futuristiche potessero convivere con le celebrazioni di misteri religiosi ancora medioevali: e porterà a Torino un coltello lungo 9 metri preso a prestito da un museo locale, simbolo di un geniale artigianato che sta per scomparire. Poi c'è la Campania vista con gli occhi di chi, come Gabriel Kuri, la trova più caotica di Città del Messico (la sua città d'origine): e pensa che "l'ossessione per la lotteria, i codici linguistici della smorfia e quelli della camorra nascano dal desiderio di controllare il caos". Un caos che domina tutto: la storia, le istituzioni, il linguaggio, e che lui sintetizza in foto di numeri scritti ossessivamente e di piante classificate con certosina dedizione nel giardino botanico di Napoli. Della Valle d'Aosta la fotografa coreana Sunah Choi non guarda le strepitose montagne: bensì l'invisibile lavoro per rette e orizzontali che l'uomo ha messo nel costruire muri di case che potessero opporre con la loro simmetria il senso di un'ordine come contraltare all'incombenza di una natura estrema. Mentre l'inviato in Lombardia Ibon Aranberri ignora felicemente città, industrie e design. E va alla ricerca delle tracce preistoriche dei graffiti della Val Camonica: per scoprire che la rosa camuna è stato il primo segno grafico lombardo, diventato poi quello della Regione grazie alla mente geniale di Munari e soci. Johanna Billing, dalla Svezia, descrive un'Italia inintelleggibile come una macchia di Rorshack. Quando sbarca a Fiumicino le cose che la colpiscono sono "la scarsità di bambini e il fatto che i docenti universitari non vengono pagati". Perciò si chiede cosa significa da noi educare e lo fa in un percorso a ritroso nella storia dei quartieri popolari di Roma attraverso gli occhi di cinque bambini: da una vecchia scuola degli anni Quaranta fino a una rete da calcio abbandonata sulla spiaggia dove Pasolini morì. È lui - con buona pace di Garibaldi e Mazzini - l'unico vero eroe nazionale per molti di questi artisti, che ancora oggi lo interrogano per capire qualcosa di noi e di se stessi: Nathaniel Mellors, inglese, sceglie per il suo lavoro Villa Pisani a Padova, dove Pasolini gira nel 1968 Porcile, inquietante metafora in cui il cannibalismo faceva rima con il capitalismo vorace che stava trasformando il paese. Le cartoline dall'Italia che costituiscono questa mostra non le troverete negli uffici del turismo: e infatti arrivano dai territori dell'arte, ambigui e inaspettati quanto basta per provare a dare tante soluzioni possibili, di cui nessuna definitiva, a questo nostro amato e odiato enigma italiano. - "Un'Espressione Geografica" è prodotta dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e da Banca Fideuram e sarà aperta dal 19 maggio al 27 novembre 2011 in via Modane 16 a Torino. www.fsrr.org









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