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lunedì 9 maggio 2016

Die Hamletmaschine - Nicola Macolino e la casa circondariale di Larino


TEATRO

DIE HAMLETMASCHINE
Di Heiner Muller

Con i Detenuti del Carcere di Larino

Con Barbara Petti (Ofelia)
Regia, scene e costumi di Nicola Macolino

Venerdì 10 Giugno ore 21
Sabato 11 Giugno ore 21
Domenica 12 Giugno ore 21
(Eventuale replica lunedì 13 giugno ore 21)

Casa Circondariale e Reclusione di Larino (CB)
Contrada Monte Arcano, 2

[spettacoli a numero limitato, posti 80]

Info prenotazioni
338 3183197 Nicola Macolino
338 9771081 Petronilla Di Giacobbe
338 6014272 Rosamaria Ricciardi

Progetto Scuola/Teatro/Carcere

Regione Molise
Progetto Integrato Molise Arte e Cultura
Abraxas Lab
Associazione Muse

Coordinazione Progetto e Laboratorio
Petronilla Di Giacobbe, Angela Pietroniro, Rosamaria Ricciardi

Direttore Penitenziario
Rosa La Ginestra

Detenuti coinvolti nel progetto (attori)
Giovanni Accietto, Emanuele Argenti, Fabio Battinelli, Chotorno Ebraim, Francesco Dell’Andro, Maurizio Fasano, Alì Kaspi, Marcello Morganti, Pasquale Mostacciuolo, Vincenzo Presutto, Carmelo pugliara, Karim Mohamed Suleiman, Rubin Talaban, Silvester Uyi.
Loris Fabrizio, Angelo Giunta (falegnameria), Giuseppe Prussiano (fonica), Gianluca Saulino (sartoria)

Fisarmonicista Alessio Paradiso

Sartoria
Rosa Miniello, Rita Palladino, Giuseppina Pellegrino, Amalia Silveri, Suor Winni

Staff Abraxas Lab
Antonio D’Onofrio, Letizia Iammarino, Antonio Iantomasi, Renzo Iantomasi, Antonella Macolino, Michele Mariano.


APPUNTI DI REGIA
Nella mia rilettura dell’opera di Heiner Muller “Die HamletMaschine”, ho puntato al prosciugamento della storia da tutti gli orpelli e i simbolismi che echeggiano ambientazioni e contesti storici.
Penso che il carcere fisicamente e nella sua struttura fondante sia il luogo migliore dove indagare il concetto amletico di essere e non essere.
Gli attori sono i detenuti della casa circondariale e reclusione di Larino che incarnano perfettamente questa dicotomia.
Non recitano forse un ruolo all’interno del carcere e vivono quasi una dimensione di para-teatralità coi loro gesti e rituali quotidiani? Quanti Amleti e quante Ofelie sono presenti in quei corpi?
Penso comunque che i detenuti possano trovare solo nel teatro (in quella finzione che il teatro sa offrire) una nuova identità necessaria per superare questa scissione che vivono giornalmente.
I personaggi del dramma, quindi, sono inseriti in una dimensione atemporale e asettica, vagano confusi, tra rumori e suoni assordanti, nello spazio scenico, fatto di corridoi, celle e “aree passeggio” senza riconoscersi l’un l’altro, rinchiusi nelle proprie dimensioni solipsistiche e incomunicabili che non impediscono la possibilità che ognuno sia l’altro e viceversa.
Amleto e Ofelia sembrano tornare dal mondo dei morti o forse no, ma sicuramente si pongono le stesse domande dell’uomo contemporaneo che ha una qualche missione da compiere. Cercano le proprie identità, ricordano le proprie passioni umane, si scoprano fragili in questo continuo dilemma amletico.
Si presentano al pubblico goffamente, portano in scena valigie e oggetti/attrezzeria di scena, necessari per ri-vivere nelle loro fissazioni/ricordi.
Io sono Ofelia, quella che il fiume non ha voluto, dice Ofelia, un Ex-voto che entra in scena portando uno stendardo su cui è scritto H2O, un secchio d’acqua, una valigia con dei costumi (i cambi di scena) e una pompa irroratrice a spalla con cui cerca continuamente di annaffiare o benedire qualcuno o qualcosa, sempre in nome dell’acqua.
Amleto entra in scena, accompagnandosi con un passeggino riempito di cenere e terriccio, la sepoltura del padre, e con una valigia piena di croci. Sparge cenere a mucchi, ovunque si muove perché vuole marcare il territorio in modo da proteggersi.
Ho pensato sulla scena un coro, quasi greco nella prima parte dello spettacolo, che si presenta in tenuta da guerriglia mentre nella seconda parte si trasforma in una sorta di gruppo di replicanti di Amleto che diventano speakers e echi del Principe. Il coro si ritrova a essere quindi la ferita e il coltello, la polizia e i manifestanti, i rivoluzionari e i reazionari.
I detenuti così diventano corpi speciali di un esercito già pensato e in parte creato da Yukio Mishima.
La scena è meta-teatrale soprattutto nel terzo quadro, quando lo striptease di Ofelia unito alle danze grottesche delle “Ofelie morte” sono ambientati nel teatrino del carcere come se fossero un spettacolo di guerra per militari in missione.
L’idea di portare in un luogo prettamente “maschile” come un carcere, un testo dove la componente femminile ha un ruolo fondamentale e predominante se non conturbante, mi poneva la possibilità di creare una sorta di corto circuito.
Ho scelto quindi per la figura di Ofelia un’attrice esterna al carcere perché voglio rompere e irrompere in quel mondo codificato al maschile.
Ofelia disturba perché cerca la libertà e non sta più al gioco della sottomissione invita gli spettatori, sotto il nome di Elettra, a fare lo stesso, consapevole del fatto che il risveglio della coscienza deve passare attraverso la sofferenza e la conquista del proprio spazio, di tutto lo spazio, teatralmente e metaforicamente.
Ofelia è un punto interrogativo che mina le certezze.
Essendo il dramma attraversato esplicitamente dal concetto di travestimento (mistificazione di ruoli, dell’essere e dell’identità) ho pensato di condurre il pubblico in un percorso fisico e mentale interno al carcere dove l’essere si sgretola, travolto dal flusso d’acqua che caratterizza l’inizio del mio allestimento.
Vorrei che gli spettatori si abbandonassero e diventassero contemporaneamente fruitori curiosi ma anche attori delle vicende di Amleto e Ofelia, delle loro domande sulla vita, l’essere e l’identità. Divenendo così, spettatori privilegiati a distanza ravvicinata con gli attori e la scena, che seguono, assistono, giudicano, condannano, assolvono, si spaventano e partecipano attivamente contribuendo ad annullare completamente la quarta parete.




Trailer_Hamletmaschine from nicola macolino on Vimeo.

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