“Il vero cittadino è quello che ama la sua patria e che desidera tutti i suoi concittadini virtuosi felici e difesi, contribuendo al beneficio degli altri”
Giuseppe Barone
A volte capita di interessarsi di una storia che improvvisamente si fa “ponte” verso altre storie, in un gioco affascinante di intrecci e concatenazioni che portano a scoprire “mondi” inaspettati. Noi di FDS ci stavamo occupando di una vicenda pugliese di fine ‘800 di cui vi parleremo in una prossima occasione, quando la nostra ricerca ci ha portati sulle tracce del molisano Giuseppe Barone (1837-1902), valente architetto nonché figura di uomo eclettico secondo la migliore tradizione erudita ottocentesca.
Seguendo quelle tracce siamo arrivati fino in Molise, a Baranello, un borgo di meno di 2785 abitanti arroccato su un colle a guardia dei valloni fra i quali scorre il fiume Biferno. Ad appena una decina di chilometri da Campobasso, eppure sufficientemente distante dalla frenesia cittadina da offrire un senso di preziosa pace agreste immerso com’è fra colline disposte a semicerchio, piccole alture coltivate e verdeggianti boschetti, in un territorio ricchissimo di acque per via delle numerose sorgenti.
Ad accoglierci è il piccolo e moderno centro residenziale amministrativo, con ampi e funzionali parcheggi, come quello munito di belvedere che offre un ampio e gradevolissimo colpo d’occhio sul borgo e sullo splendido massiccio del Matese in questo periodo ancora tutto innevato. Da qui si diparte il corso principale del paese costeggiato da case e palazzi, nei più antichi dei quali a volte domina un sapiente uso del laterizio non privo di elementi ornamentali in terracotta che sembrano riecheggiare influssi umbri. Scopriamo così che il paese è stato sede di una fornace che fino agli anni successivi al secondo dopoguerra ha impiegato ben 400 operai, alcuni dei quali provenienti da fuori regione. Dall’estremità opposta del corso si sviluppa invece il centro storico, situato nella zona più alta dell’abitato. E’ di origine medievale come testimonia il caratteristico impianto planimetrico, ma conserva ben leggibili anche le tracce dei secoli successivi.
L’aria è leggera e frizzante e già porta con sé i profumi della primavera alle porte. E’ difficile staccare lo sguardo dal luminoso orizzonte, ma un appuntamento con una persona speciale ci attende presso laBiblioteca Comunale. Incontriamo così il dott. Claudio Niro, 89 anni portati benissimo, con la disinvoltura di chi nella vita ha puntato tutto sul valore atemporale della Cultura, di cui continua a farsi strenuo promotore. Ha l’incarico di dirigere la Biblioteca, una realtà alla cui crescita (avvenuta soprattutto attraverso donazioni private) ha contribuito in modo determinante e di cui è giustamente orgoglioso; del resto non è certo cosa consueta trovare un piccolo borgo con una biblioteca di 20 mila volumi, alcuni dei quali vere e proprie rarità.
Niro ci racconta ad es. come qui sia disponibile la prima edizione della Enciclopedia Treccani del 1936e la più ricca collezione di libri sul Molise; ci mostra i documenti manoscritti settecenteschi dell’archivio di Giuseppe Zurlo, nobile e illuminato cittadino di Baranello nonché ministro delle finanze nel borbonico Regno di Napoli e ministro dell’interno durante il periodo francese: materiale rarissimo tutto da catalogare e da studiare; ci segnala la presenza di vari testi del Cinquecento e del Seicento,permettendoci di ammirare una rara edizione a stampa, con integrazione manoscritta, del cinquecentescoAlmanacco Perpetuo dell’astrologo e astronomo calabrese Rutilio Benincasa.
I ragazzi di Baranello hanno la fortuna di avere questa biblioteca proprio sotto la loro scuola e ad accoglierli trovano il direttore o una delle volenterose ragazze che gli danno volentieri una mano a far funzionare questo luogo così prezioso, al cui futuro forse qualcuno dovrebbe cominciare a pensare con altrettanta passione di quella profusa da Niro.
Ma la Biblioteca non è l’unico orgoglio del nostro gentile cicerone. A Baranello c’è anche un altro luogo davvero straordinario che Claudio Niro dirige e la cui presenza basterebbe da sola a rendere il borgo un polo culturale e turistico di eccellenza, se soltanto si riuscisse a farlo meglio conoscere al grande pubblico. Eccoci quindi tornati all’architetto Giuseppe Barone (nella foto) e alla bella eredità lasciata ai suoi concittadini: il Museo Civico a lui intitolato. Si tratta di una collezione di inestimabile valore storico, artistico e archeologico, che insieme a poche altre in Italia – come la “Collezione Caputi” di Banca Intesa al Museo Archeologico di Milano e la “Collezione Jatta” dell’omonimo Museo Nazionale di Ruvo di Puglia – testimonia il colto gusto collezionistico di un’epoca conservando nella sua integrità la raccolta e l’esposizione così come concepite dal proprietario.
La collezione ha sede presso il palazzo in cui un tempo vi era il Municipio, al quale fu donata dal Barone nel 1897. Ristrutturato su progetto dell’architetto con facciata in stile rinascimentale fiorentino su cui campeggia una bella meridiana in marmo bianco, il palazzo ospita – fra primo e secondo piano –testimonianze dell’attività professionale del Barone (numerosi e bellissimi disegni di architetturaoltre ad alcuni grandi plastici di monumenti che gli valsero attestati e diplomi di benemerenza in importanti concorsi di architettura) e la magnifica collezione d’arte. A questa sono riservate due sale del secondo piano dove, nelle originali ed eleganti vetrine ottocentesche, si custodiscono più di 2000 oggetti catalogati con cura dallo stesso Barone nel volume “Il museo civico di Baranello: ordinato, descritto ed illustrato dall’architetto Giuseppe Barone” (Pierro e Veraldi, Napoli).
La raccolta più che ad un’idea moderna di museo è in certa misura ascrivibile alla tradizione delle
Wunderkammer o
Cabinets de curiosités o
Stanze delle Meraviglie che soprattutto fra XVI e XVIII secolo hanno spopolato in Europa fra i nobili e ricchi cultori del Bello, dell’Antico e del Bizzarro [v.
qui degli esempi]. La similitudine però si ferma al dato dello spirito collezionistico, enciclopedico e della libertà espositiva, perché quanto al resto più che inseguire la curiosità o la rarità fine a se stessa,
Barone si è lasciato guidare da una visione etico-civica dell’arte quale strumento per la crescita spirituale dell’Uomo. Come egli stesso scrive nel Catalogo,
“questi musei artistici e industriali hanno lo scopo di diffondere lo studio dei prodotti dei vari periodi storici delle nazioni, di aprire la mente all’invenzione e gli occhi al sentimento del Bello”.
LE COLLEZIONI
Entrare in questo museo è compiere un viaggio attraverso le epoche ammirando testimonianze dell’umano ingegno prodotte nei secoli, cogliendo l’evoluzione del gusto nel suo continuo gioco di rimandi fra tradizione e innovazione, e infine apprezzando la dedizione di un’intera vita dedicata all’arte che animò il collezionista intriso di cultura classica, del quale si conservano in una vetrina anche i libri che lo accompagnarono in questa sua esplorazione dell’universo artistico. Ed ecco allora affacciarsi al vostro sguardo manufatti litici preistorici, vasi egizi (si conservano due canopi con ancora tracce degli organi del defunto) e altri Aegyptiaca, vasi greci (ce ne sono ben 120 fra attici, corinzi e italioti, a coprire un periodo fra il VI e il III sec. a.C.), vasi etruschi, statuette, bronzi, oggetti di vita quotidiana o di prestigio, ceramiche, maioliche, monete, statue antiche di presepi napoletani di finissima fattura,arredi sacri, libri antichi e una raccolta di dipinti fra XVI e XIX secolo.
Tra i quadri (una trentina), esposti a quadreria sulla parete accanto allo scalone d’ingresso della prima sala, spicca in posizione centrale il bellissimo San Paolo Eremita, attribuito a un artista della cerchia di Jusepe de Ribera (Xatìva 1591 – Napoli 1652) detto lo Spagnoletto (il Barone lo attribuiva a Francesco Fracanzano, allievo del Ribera) e un Bosco di Fontainebleu firmato Giuseppe Palizzi (Lanciano 1835 – Passy 1888) e datato 1848, preziosa testimonianza del periodo francese del pittore. Fulgido esempio della pittura che in ambito meridionale si affermò dalla metà del ‘600 sulla scia di quella nordeuropea è invece il Mangiatore di prosciutto, copia perfetta di un’incisione dell’artista olandese Cornelius Bloemaert del 1625. Nella seconda sala non si può che rimanere rapiti dalla ricchezza delle vetrine che espongono una straordinaria raccolta di ceramiche: dalle maioliche di Faenza, alle eleganti porcellane di Sevres o di Meissen, dal biscuit di Capodimonte agli splendidi esemplari di porcellane cinesi e giapponesi. Non mancano infine oggetti provenienti da diverse altre parti del mondo e raccolti secondo il gusto eclettico tipico del collezionismo di fine Ottocento. Ricchissimo il registro delle visite, fra le cui firme spiccano quelle di re Vittorio Emanuele III di Savoia e di suo figlio Umberto II.
Percorrendo le vie del paese abbiamo intravisto altre tracce dell’illustre cittadino (ricordato in una lapide posta sulla sua casa), come la monumentale Fontana a Cerere del 1896 – un vero tripudio di celebrazione del mondo antico e dei suoi miti fra natura e cultura, che reca gli interventi del grande scultore calabrese ottocentesco Francesco Ierace (alcuni altorilievi leonini in bronzo e la grande statua di Cerere, dea delle messi) – e la Chiesa della Confraternita del SS. Rosario progettata nel 1890. Una bella passeggiata in salita verso la sommità del centro storico ci ha infine portati alla neoclassica chiesa di S. Michele Arcangelo in cui è custodito un gruppo di pregevoli tele sei-settecentesche fra cui spiccano una magnifica Pietà di Battistello Caracciolo e una toccante Madonna Addolorata di Francesco De Mura, entrambi napoletani.
Di fronte a tanta Bellezza non ci resta che raccogliere con umiltà l’eredità materia e spirituale di Giuseppe Barone sintetizzata in queste sue parole: “il museo civico di Baranello, di questo mio caro paesello, concorrerà anch’esso a salvare e a custodire i preziosi saggi delle arti e delle industrie dei nostri antichi padri, illustrandoli e divulgandoli a beneficio dell’odierno progresso. E quest’opera di patria carità, ho fede, sarà rimuneratrice nello svolgersi delle industrie e meritoria al cospetto della posterità”.
Per maggiori informazioni vi consigliamo di leggere la pubblicazione “Il Museo Civico di Baranello” sul n. Luglio/Settembre 2012 del periodico
ARCHEOMOLISE – Potete consultarla e scaricarla
QUI