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venerdì 24 maggio 2013

L'immagine-Cristo



Cos’hanno in comune un giovane sindonico dai tratti mediterranei, un hippy dagli occhi azzurri e i capelli lunghi biondi, un affascinante nevrotico in continuo stato estatico ed un uomo bello e muscoloso? Quella di rappresentare/essere il Cristo a cinema.

A partire dalla sua nascita, la settima arte ha da sempre affermato la propria fascinazione nei confronti dell’immagine cristologica. Sostanzialmente la vita di questo contadino della Galilea, confluita all’interno della cornice filmica, è servita, inizialmente, al cinema delle origini per creare nello spettatore un’immediata affezione nei confronti di una nuova forma d’arte, per divenire poi, nel corso del Novecento, terreno d’indagine, a volte sfociante nella pura ossessione, della macchina da presa di affermati cineasti. Tra questi Pier Paolo Pasolini, con Il Vangelo secondo Matteo, Norman Jewison, con Jesus Christ Superstar, Martin Scorsese, con The last Temptation of Christ e Mel Gibson, con The Passion. Obiettivo di questo studio iconologico circoscritto è quello di, mediante l’utilizzo delle metodologie di analisi filmica applicate a quattro diverse pellicole, far emergere differenti variazioni sul tema, individuando nell’immagine cristologica una vera e propria testualità capace di significare le interazioni del cinema con la religione, la filosofia e la teologia; Le analisi di alcune sequenze, fotogramma per fotogramma, oscilleranno continuamente tra volontà autoriale, esigenze produttive, ricerca storica, Sacre Scritture ed Ebraismo.

Giammario Di Risio (1985) è giornalista e blogger molisano. Ha lavorato presso la “Fondazione Cinema per Roma” e all’Ufficio Stampa dell’Ambasciata italiana in Israele. Ha collaborato, come critico cinematografico, con il quotidiano “Il Riformista” e il mensile di arte e cultura “Il bene comune”. Direttore editoriale del blog di cinema “cineFRAMMENTI.com”, attualmente recensisce film e serie tv per “Close – up” e “Cinespettacolo.it”. Ha pubblicato recentemente una raccolta di interviste dal titolo “Fotogrammi. Frammenti di cinema e dintorni”(ISBN Edizioni).

Recensione di Alessandro Izzi su Close-up

Libertà e costrizione - La mostra dell'Istituto d'arte Manuppella

Presso la sede di Isernia dell'Università del Molise dal 27 al 30 maggio l'Istituto d'arte e liceo artistico Manuppella inaugurerà la mostra "Libertà e costrizione" e una selezione di lavori ed elaborati dei vari laboratori artistici. A conclusione una performance dell'artista brasiliana Helena Manzan.




Incanto nei Musei


Nell’ambito delle iniziative organizzate dalla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Molise, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici del Molise e i Cori Jubilate, Quod libet, Coro dell’Università del Molise con i rispettivi direttori Antonio Colasurdo, Vincenzo Lombardi, Gennaro Continillo, si comunica il calendario dei concerti in programma presso i seguenti siti museali del Molise:

Campobasso, Museo di Palazzo Pistilli

26 maggio, ore 20.30 Le Passioni di Zeus - Coro Quod Libet

9 giugno, ore 19.00 Coro e fisarmonica -Coro dell’Università del Molise

Civitacampomarano, Castello di Sangro

9 giugno, ore 19.00 Viva l’Italia – Coro Polifonico Jubilate

16 giugno, ore 19.00 Coro e fisarmonica – Coro dell’Università del Molise

Gambatesa, Castello di Capua

16 giugno, ore 19.00 Viva L’Italia – Coro Polifonico Jubilate

23 giugno, ore 19.00 Coro e fisarmonica-Coro dell’Università del Molise

Venafro, Museo Nazionale del Molise in Castello Pandone

9 giugno, ore 19.00 Le Passioni di Zeus – Coro Quod Libet

23 giugno, ore 19.00 Viva l’Italia – Coro Polifonico Jubilate

L’ingresso ai concerti è gratuito.

Info :

SBSAE Molise sbsae-mol@beniculturali.it tel. 0874/431350 www.molise.beniculturali.it – www.beniculturali.it

venerdì 17 maggio 2013

Forma e urbanistica della colonia latina di Aesernia


I segni innocenti



Leonardo PAPPONE, in arte “LEOPAPP”

Nasce nel 1958 a Montefalcone Val Fortore, piccolo paese di montagna in provincia di Benevento. Laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Napoli nel 1983, avvocato, revisore dei conti e giornalista pubblicista, si avvicina alla pittura in gioventù partecipando a mostre estemporanee e concorsi nei paesi limitrofi, in modo del tutto istintivo, spontaneo e con una formazione autodidatta.

Usa in particolare modo i colori acrilici unitamente ad altre misture come mezzo, propaggine espressiva di stati d’animo, immagini interiori, rappresentazioni fantastiche, ricostruzioni cromatiche e plastiche allo stesso modo. Dalla fantasia creativa all’immaginazione e alla trasparenza nel tentativo di riempire ogni spazio vuoto, attraversando pianeti, cavalcando frammenti e meteoriti espressivi superando la divisione tra corporeo e psichico .

Svolge, nella vita reale, una professione distante dai concetti artistici e forse questa “assenza”, l’estraneità dalla vita pittorica, lo induce sempre più ad inventarsi pittore per caso, con funzione terapeutica, alla continua ricerca di piacere espressivo, cogliendo tracce di vita reale o fantastica che sia.

Artes contemporanea, viale Elena n. 60 - Campobasso
Sabato 18 maggio a partire dalle 18:00. Ingresso libero.

giovedì 16 maggio 2013

Marco Fioramanti - Trattista o del primitivismo astratto all'Officina Solare


"TRATTISTA O DEL PRIMITIVISMO ASTRATTO"
ROMA-BERLINO OVEST-MONACO DI BAVIERA
1982-1986

Mostra personale di
MARCO FIORAMANTI

A cura di
Giuseppe Siano
18 / 30 maggio 2013
Inaugurazione della mostra sabato 18 MAGGIO 2013 alle ore 19.00

Officina Solare Gallery
Termoli, Via Marconi 2

Informazioni: 329.4217383, www.officinasolaregallery.com.


Il Manifesto Trattista
Roma, 4 gennaio 1982

Nel "Tratto" noi esprimiamo il gesto più semplice, alla portata di tutti, primitivo, perciò antintellettuale. La rozzezza e l'espressività esasperata indicano su quali punti si arrocca il nostro dialogo col mondo insonnolito dell'arte e con la società. Aborriamo qualsiasi forma di gerarchia ed è perciò difficile pensare a degli adepti seri e coscienziosi, ricercatori coerenti e raffinati.
Tale è il nostro linguaggio: arcaico, così, in modo semplice, crediamo di esaltare i colori. Nelle opere non ha alcun significato la competizione, la loro struttura compositiva si rivela estremamente popolare ed esaltante.
Il "Tratto" è il nostro rifiuto ad affiancarci al mondo della cultura ufficiale. E’ l'antidoto alla ubriacatura del pubblico comune, che è vittima della sottocultura alimentata dalla mancanza di informazione e dall'ostruzionismo culturale
perpetrato dai burocrati dell'arte per accumulare potere, o soprattutto per la loro incapacità di riallacciare le teorie dell'arte al mondo del lavoro e alla vita sociale, facendo degli artisti, che a loro si assoggettano, degli antisociali nella vita e del pubblico una massa di emarginati nell'arte.
Questa è l'evoluzione dialettica che domina tutta la storiografia dell'arte, che ricorda lo sviluppo degli eventi umani, dove le nuove teorie vengono approvate e legalizzate solo quando, svuotate del loro contenuto innovativo, restano soltanto forma, o entrano nel costume non più come novità, messaggio, spinta, ma come bisogno elementare insopprimibile. Con il "Tratto" semplice, immediato, "privo di cultura", vogliamo cancellare "l'arte colta e sofisticata, il professionista geniale, il Maestro", e con lui cancellare quell'aura magica e irreale di cui è circondato.
Vogliamo che il Trattismo divenga l'arte di chi non ha mai compreso l'arte, divenga l'arte degli emarginati, dei vagabondi, degli alienati, e di tutti quelli ai quali è stato insegnato che non potevano dipingere perché non sapevano
disegnare, perché non erano abbastanza acculturati da poter fare quello che una élite scaltra professa ormai da un secolo.
Divenga l'arte di tutti questi. Vogliamo che chi ha rapinato il gusto lo restituisca alla gente, e soprattutto a quella porzione d'umanità emarginata, più fantasiosa e feconda, che ha dato in passato uomini della mole di Caravaggio, Vermeer, Van Gogh, Gauguin, Modigliani, Pollock, che i critici loro contemporanei hanno ritenuto opportuno ignorare.
Vogliamo che l'arte, lo spettacolo, la satira, la commedia, il costume, coincidano in un unico lacerante grido di rivolta, nel quale la miseria affondi le proprie radici e trovi la propria espressività in un rituale primitivo e inconscio, che sconfina nella magia. Nasce così l'amore per ciò che è primitivo, pagano, nomade. Nasce così la nostra solidarietà per i gruppi umani, per le società primitive, di cui la moderna tecnologia ha sancito la degradazione e l'estinzione.
Prima di noi sono stati Trattisti: gli Indiani d'America, i popoli africani, gli aborigeni australiani, i popoli della protostoria andina.

Firmatari:
Claudio Bianchi, Luciano Cialente, Marco Fioramanti, Adalberto Magrini, Ubaldo Marciani, Sergio Salvatori (pittori); Marco Luci (videomaker)

Marco Fioramanti è nato a Roma l’11 febbraio 1954, è un artista italiano. La sua opera è caratterizzata dall'uso di differenti materiali verso un'idea totale dell'arte che mira al recupero dei segni, dei gesti, dei comportamenti e dei riti d'iniziazione delle culture extra-europee. « Ho sempre pensato che Fioramanti svelasse l'alone metafisico che avvolge ogni gesto quotidiano, anche quello più consueto; lui ci rivela lo stupore di scoprire pregnanti di significato tutte le azioni della nostra vita senza eccezioni. » (Gastone Bonsembiante da Marco Fioramanti 1983-2003 - Edizioni Jouvence)

ANNI ’70 Inizia l’attività artistica a metà degli anni ’70 con una grafica figurativa e l’elaborazione di tecniche incisorie. Nel 1979 si laurea in Ingegneria civile alla Università La Sapienza di Roma sotto la guida di Giorgio Croci con una tesi sperimentale sul consolidamento relativo ai dissesti statico-dinamici nei centri storici. Prosegue con studi di Estetica sulla percezione visiva con Pietro Montani ed Emilio Garroni e Antropologia culturale con Alberto Mario Cirese.

ANNI ’80 Co-redattore del Manifesto Trattista (o del primitivismo astratto), nel gennaio 1982 dà vita al Movimento omonimo. Lascia la professione per dedicarsi completamente alla pittura. Si trasferisce a Berlino Ovest dove apre al pubblico il suo atelier/galleria (TRATTISTAMBIENTE - Ansbacher Strasse 58). Nel 1985 realizza l'installazione con la Volkswagen contro il Muro. Stringe un sodalizio con Bruno Zevi il quale, interessato al trattismo nell'architettura, lo mette in contatto con Frei Otto a Stoccarda. Fonda il Gruppo Multimediale Trattista Berlin e, con il patrocinio del Senato alla Cultura di Berlino, realizza una tournée in Gran Bretagna che si conclude al Fringe Festival di Edimburgo. Prende inoltre parte al Theaterfestival di Monaco di Baviera. Nel 1986 crea il "Laboratorio Olduval" del Gruppo Trattista con una mostra itinerante e performativa (Stoccolma, Berlino Ovest, Roma, Napoli, Salerno e Algeri/I Biennale Internazionale di Arti Visive). Si trasferisce per un anno a Barcellona. Viene selezionato per la prima sessione dei "Giovani Artisti a Roma" all’Ex Borsa in Campo Boario (in commissione V.Apuleo, U.Attardi, F.D'Amico, G.Napoleone, S.Orienti, G.Porzano, G.Proietti, T.Scialoja, L.Trucchi, M.Volpi Orlandini). Nel 1988 soggiorna a New York dove elabora il rapporto totem/grattacielo e dove stringe amicizia con Anton Perich e col poeta tamil Indran Amirthanayagam.

ANNI ’90 In Thailandia avviene il primo contatto con l'Oriente. Inizia la pratica del Taijiquan e sottopone il suo corpo a una severa disciplina. Viaggia in Cina e in Tibet e comincia a lavorare la ceramica apprendendo l'alchimia degli smalti. Realizza un ciclo di lavori con l'intenzione di far dialogare culture e simbologie di matrice differente: il rosso ossido dei Nuer del Sudan e il bianco orientale dei giardini zen (graniglia di marmo di Carrara). Partecipa a una missione di ricerca sullo sciamanismo in Nepal, condotta da Romano Mastromattei (Università di Roma “Tor Vergata”). Soggiorna alcuni anni a Parigi, dove partecipa alla formazione del gruppo Cyber-Dada. Nel 1999-2000 sposta il suo studio in Portogallo, invitato dal Sindaco di Celorico da Beira a coordinare una serie di attività culturali.

Anni 2000 Dal 2001 si stabilisce definitivamente a Roma pur continuando a viaggiare e collaborare con artisti internazionali. Apre al pubblico il suo atelier di Monteverde e collabora con il Movimento di Pittura Clandestina. È invitato a esporre con una personale a Lisbona e Oporto (ciclo degli Acheropiti). Nel 2007 è nominato artista-curatore del Padiglione Italiano della XXIV Biennale Internazionale d'Arte Contemporanea di Alessandria D'Egitto. Nel 2010 collabora a un film-documentario sulla storia di Anton Perich e The Factory di Andy Warhol. A New York stringe un sodalizio con Tony Vaccaro.

Nel 2007 crea e dirige NIGHT ITALIA, libro/rivista periodico, costola indipendente dell'omonima rivista newyorkese NIGHT, fondata nel 1978 da Anton Perich, pittore, video artista e fotografo per la rivista “Interview magazine” di Andy Warhol. NIGHT ITALIA nasce come progetto di comunicazione e informazione no profit, realizzato in forma volontaria da una serie di artisti e operatori i quali, dopo esperienze in varie discipline, hanno deciso di unirsi per contribuire a colmare il vuoto critico lacerante che si è andato formando nel sempre più diffuso conformismo culturale.


martedì 14 maggio 2013

Antonio Pettinicchi, lui è il Molise. Omaggio all'artista

A conclusione della personale di Pettinicchi alla galleria Artes di Campobasso un interessante articolo del giornalista Paolo Giordano.

E’ oramai prossima alla conclusione (11/05/2013) la mostra “Antonio Pettinicchi – lui è il Molise” allestita nella Galleria Artes di Campobasso; curatori Silvia Valente e Tommaso Evangelista.
L’evento, che ha riscosso notevole successo di pubblico e critica, è un doveroso omaggio ad un indiscusso genio creativo rivelatosi fondamentale per la città di Campobasso, avendo tracciato una strada maestra percorsa dalla maggior parte delle successive generazioni di artisti. Come insegnate, poi, ha coinvolto ed appassionato centinaia di studenti e discepoli. Infine (con Marotta e Pace) ha per lungo tempo assolto il compito di accreditare “all’esterno” l’esistenza di una cultura artistica regionale.
Negli spazi di viale Elena sono state esposte sia incisioni (in un’affascinante retrospettiva) che dipinti (gli ultimi anni fino al “conclusivo” 2009). Le prime, selezionate da una produzione incisoria tra le più prolifiche della seconda metà del novecento (circa 600 lastre), abbracciano il vasto periodo dal 1949, anno dell’esordio, al 1995.
Pettinicchi, allievo di Lino Bianchi Barriviera, uno dei più grandi maestri del secolo, con questa tecnica ha ottenuto le maggiori soddisfazioni professionali, partecipando ad importanti manifestazioni sia nazionali che europee.
Temi ricorrenti sono la sua terra, quindi il mondo dei contadini contraddistinto dal proprio bagaglio di miseria, sofferenza, fatica… e dignità. Anche nella produzione pittorica si ritrovano gli stessi argomenti a lui tanto cari, ma è possibile ammirare addirittura una “crocifissione”.
Autentica rarità essendo pochissime le opere di arte sacra, di cui è estremamente geloso e tutt’altro che incline a condividere con il pubblico.
La sua complessa formazione di pittore cominciò quale allievo di Amedeo Trivisonno che, avendolo alunno al Magistrale, ne scoprì le doti incoraggiandolo: “tu in questa scuola non ci devi stare, devi fare l’artista!”Dopo l’esordio come “figurativo” sviluppò in maniera precisa e marcata il suo “segno” per merito di Emilio Notte (di formazione futurista), il più importante artista napoletano del dopoguerra). In seguito pur rimanendo nell’ambito della figurazione, con il tempo, riuscì a “trasformare la figura umana”. E’ questa la sua caratteristica principale: grazie al pennello ed ai colori mostrare contemporaneamente l’esterno (sembianze fisiche) e l’interno (realtà interiore) dei soggetti raffigurati. Necessarie ovviamente una valida conoscenza dell’anatomia nonché una sconvolgente capacità di scavare nel profondo dell’Animo.
La storia artistica ed umana di Antonio Pettinicchi, che sarà possibile “indagare” con una monografia di prossima pubblicazione (Regia Edizioni), permette di scoprire un Molise culturalmente vivo, attraversato e scosso da accesi dibattiti artistici, oggi impensabili nel guardare l’attuale sonnacchiosa realtà. All’epoca si era al passo con l’andamento dell’Arte in quegli anni: sperimentazione e ricerca erano le stesse sia in provincia che nel resto della nazione. Non emulazione, bensì un’empatia che permise alla nostra Terra di essere “trasportata” sulle tele con uno stile inconfutabilmente “contemporaneo”. A testimonianza di quei fermenti, all’interno della mostra, un asterisco dedicato al celebre “Gruppo 70” (Pettinicchi, Massa, Mastropaolo e Genua).
Vasta ed incontenibile, insomma, risulta la personalità del Maestro. L’unico ad essere riuscito nell’impossibile sintesi della sua Arte è stato Armando De Stefano, compagno d’accademia ed amico personale: “Pettinicchi ha la sua terra nel sangue, nel pennello, nel colore e, cosa più vera, esprime il dolore del suo popolo con un disegno forte e netto, da pittore autentico che si identifica col prossimo. Lui è una natura via, lui è il Molise”.

lunedì 13 maggio 2013

Molise - Notte dei Musei 2013


Un ricordo del fotografo Lefra


Leonardo Remo Tartaglia, noto come Lefra, era nato a Ripalimosani il 27 ottobre 1933, è deceduto ieri dopo una carriera durata circa quarant’anni. Anni durante i quali ha fotoraccontato il Molise, facendo della fotografia la sua maniera di vivere. Come affermava Nadar: “Non esiste la fotografia artistica. Nella fotografia esistono, come in tutte le cose, delle persone che sanno vedere e altre che non sanno nemmeno guardare”. Lefra vedeva lontano. Capisce che la società molisana si sta avviando verso una fase di transizione, c’è la necessita di informare e c’è la necessita di fissare sulla pellicola un mondo che potrebbe scomparire da un momento all’altro. Appesantito dalle sue macchine fotografiche, in motoretta, in macchina o con altri mezzi di trasporto, percorre in lungo e in largo la regione. Racconta gli avvenimenti e i fatti di cronaca attraverso il suo obiettivo: dalla politica alla giudiziaria, dallo sport agli eventi festivi. Già dal 1960 inizia a collaborare con i quotidiani “Momento Sera” e il “Messaggero”, una collaborazione che con gli anni si accresce e si estende alle agenzie giornalistiche (l’ANSA tra le più importanti) e ad altri giornali: “Il Tempo”, “Molise Oggi” e “Nuovo Molise”.
All’attività di fotoreporter e di fotografo di cerimonie unisce quella di ricercatore cominciando a raccogliere ed acquisire centinaia di immagini storiche del Molise conservate in archivi privati o nei cassetti domestici delle famiglie dei paesi che instancabilmente visita. Da questa raccolta in costruzione nascerà l’idea delle Mostre itineranti denominate: “Ieri, Oggi e Domani”. Partecipa a concorsi fotografici in Italia e all'estero, ottenendo numerosi riconoscimenti e inizia a viaggiare nei paesi stranieri nei quali è forte la presenza di molisani, chiamato da Associazioni di emigrati che gli chiedono di allestire mostre il cui unico denominatore è il Molise.
Alla fine degli anni Settanta pubblica quattro concise monografie sui comuni di Castropignano, Ripalimosani, Torella e Vinchiaturo, il cui sottotitolo, “storia, arte, turismo, notizie di ieri e di oggi”, è esplicativo del contenuto ma la parte più consistente è rappresentata dalla originale documentazione fotografica.
Della sua attività fotografica e di ricercatore oggi rimane il consistente Archivio fotografico e documentario acquistato dalla Provincia di Campobasso nel 2004.

dalla NEWSLETTER MENSILE DELLA BIBLIOTECA PROVINCIALE PASQUALE ALBINO



L'archivio fotografico Lefra
L'archivio fotografico LEFRA comprende una vasta rassegna di negativi, positivi e diapositive. Nel vasto archivio troviamo di tutto: dal paesaggio all'archeologia, Cattedrali, Parrocchiali, Chiese, Conventi, Arte Sacra, sculture, affreschi, dipinti su tela, su tavola, feste popolari, tradizioni popolari processioni.
Vi è il reparto per l'agricoltura, l'industria, i castelli, i fiumi molisani, le case rustiche, la gastronomia, la politica, la sanità, lo sport e la paleontologia.
Esso è dotato anche di una grande collezione di circa 5.000 fotografie dell'Ottocento ed inizio Novecento, di fotografi molisani.
Tutta questa ricchezza fotografica è il frutto di 35 anni di esperienza professionale. Si può constatare che studenti prossimi alla laurea, ricercatori, studiosi, editori, ricorrono all'archivio LEFRA, come valido aiuto nei loro lavori intellettuali.
Ad oggi l'intero archivio, oggetto di desiderio di alcune società a livello nazionale, è riuscito a rimanere nel Molise con l'acquisto da parte della Provincia di Campobasso.

domenica 12 maggio 2013

Il cielo sopra Oratino


Telesforo Altobello (Oratino 1823 - Campobasso 1884), "Poche parole dette dal Canonico Telesforo Altobello per l'apertura di un'accademia tenuta nel comune di Oratino nel giorno 12 gennaio 1850 genetliaco di S. M. (D. G.) Ferdinando II Re del Regno delle Due Sicilie", Campobasso, Dalla Tipografia del Sannio, 1850. (dettaglio della p. 7). Altobello, che per circa 29 anni fu docente di italiano e latino presso il Liceo Ginnasio "Mario Pagano" di Campobasso, nella conferenza che tiene a Oratino il 12 gennaio 1850, esprime apprezzamenti per il buon livello culturale presente tra i giovani del paese, questo grazie al lavoro che svolge l'Arciprete D. Felice Imperore, il quale ha aperto una scuola privata, e all'azione del Sindaco Federico Giordano Duca di Oratino, che "segue le orme dei suoi avi".
Il mecenatismo di Gennaro e Giuseppe Giordano fu fondamentale per lo sviluppo delle arti a Oratino. Un caso unico nel Molise, in cui gli altri feudatari pensavano solamente a sfruttare e succhiare il sangue della povera gente

Piccolo asterisco per ricordare la pagina facebook Il cielo sopra Oratino portata avanti dall'artista e studioso Dante Gentile Lorusso che, in quasi un anno, ha pubblicato qualcosa come più di mille immagini che testimoniano l'incredibile vitalità artistica del piccolo centro molisano, caso più unico che raro nel meridione.

Itinerari - Volturnia Edizioni


È in distribuzione nelle edicole e librerie della regione Molise il numero 23 del trimestrale altri Itinerari che in questo numero prosegue con la serie di inserti monografici che tanto consenso hanno riscosso presso i nostri affezionati lettori. La rivista, già caratterizzata come prodotto editoriale che viveva oltre la sua naturale uscita periodica nelle edicole, va dunque qualificandosi come vero e proprio strumento di conoscenza antropologica del territorio, pertanto i suoi contenuti sono sempre di più ad uso e consumo di studiosi e di quanti siano alla ricerca di notizie inedite e di particolari inusuali della nostra Regione.
Merito di questa evoluzione va attribuito in primo luogo alla capacità divulgativa che il “nostro” Edilio Petrocelli, esimio ricercatore e studioso di provata valenza, ha saputo conferire alle sue indagini storiche e antropologiche.
Passiamo dunque a descrivere brevemente gli articoli presenti in questo numero.
L’architetto Davide Monaco, sulla base di disegni appartenuti alla famiglia nobiliare dei d’Alessandro di Pescolanciano, ha restituito - nella loro ipotesi ricostruttiva - i palazzi baronali che tale famiglia possedeva a Carovilli così che, per la prima volta, aiutati dalla computer grafica, è possibile “goderli” nella struttura originale.
I disegni tridimensionali sono a corredo del testo di E. Petrocelli, che rappresenta un vero e proprio excursus delle vicissitudini occorse agli immobili e alla Casata che per prima li abitò e che, col trascorrere dei secoli e per alterne vicende, sono passati ad altre famiglie della borghesia benestante del paese alto-molisano e che ne hanno per sempre mutato l’aspetto.
Da Carovilli, lungo una virtuale direttrice tratturale, scavalcando la Montagna di Frosolone, ci spostiamo a Sant’Angelo in Grotte, dove la studiosa Valentina Marino indaga l’ interessante ciclo pittorico della Cripta grazie ad un saggio intitolato “Sant’Angelo in Grotte e la carità cristiana: Gli affreschi della chiesa di San Pietro in Vincoli”. Qui gli stessi affreschi sono messi a confronto con altri cicli pittorici che si possono ammirare nella nostra Regione o in quelle limitrofe.
Precedono questi due corposi saggi l’articolo di Ida Di Ianni sul Cenacolo Culturale della Baronessa OIimpia Frangipane a Castelbottaccio e quello sui Calanchi di Montenero di Bisaccia. Nel primo articolo sono descritte la vita e la vicenda aggregativa-culturale della Frangipane, oltre alle odierne vicissitudini di questo minuscolo e grazioso paese molisano, mentre si apre con i Calanchi un suggestivo percorso attraverso i fenomeni geomorfologici originati dall’azione combinata dell’acqua e della gravità. Quelli di Montenero di Bisaccia sono infatti tra i meglio conservati del Molise, anche perché da alcuni anni il luogo è stato proclamato “S.I.C.”, ovvero Sito di Interesse Comunitario, ed è tutelato da apposita legge della Comunità Europea, così come riportato dall’autore dell’articolo, lo studioso Marcello Di Stefano.
Quattro buone ragioni, sono sembrate queste, per percorrere ancora i nostri “altri ITINERARI”, che continuano a conoscere e a far conoscere “pezzi” inediti di Molise.

Volturnia Edizioni

Max Papeschi all'AxA - Learning to cheat/Sound true


LEARNING TO CHEAT / SOUND TRUE (imparare a barare / sembrare veri)
a cura di Roberta D'Intinosante
17-30 maggio 2013 presso AxA Palladino Company

Max Papeschi arriva alla Digital-Art dopo l’esperienza da autore e regista in ambito teatrale, televisivo e cinematografico. Come artista figurativo il suo approccio con l’Art-World è stato subito d’immediato successo sia di pubblico che di critica. Il suo lavoro Politically-Scorrect, mostra una società globalizzata e consumista ironica e realista. Dal Topolino Nazista al Ronald McDonald Macellaio le icone cult perdono il loro effetto tranquillizzante per trasformarsi in un incubo collettivo. Ha esposto i suoi lavori in molte gallerie in giro per il mondo.

www.maxpapeschi.com



Artisti molisani negli USA


Elio Franceschelli espone alla collettiva Flow Follow Flow presso Rupert Ravens Nexxt
Inaugural Exhibition
May 25 - July 28, 2013
Opening reception: Saturday May 25 | 7PM - 9PM


Si inaugura venerdì 3 maggio alle ore 17.30 presso il Museum of Geometric and MADI Art di Dallas (USA), una selezione curata di opere MADI della collezione permanente del Museo.
La selezione comprende opere degli anni ’40 degli artisti storici del MADI e opere più recenti degli artisti più giovani aderenti al Movimento fondato nel 1946 da Carmelo Arden Quin.
La mostra si conclude il 14 luglio 2013. Nella rassegna presente anche il molisano Vincenzo Mascia, tra i massimi esponenti in Italia del MADI.

mercoledì 8 maggio 2013

Ricordi in libertà - La collezione d’arte di Michele Praitano



Ricordi in libertà 
La collezione d’arte di Michele Praitano 

Mercoledì 15 maggio 2013 ore 16.00 
Campobasso, Auditorium di Palazzo Japoce 
Salita San Bartolomeo, 10 


Mercoledì 15 maggio, alle ore 16.00, presso l’auditorium di Palazzo Japoce si presenta al pubblico il volume Ricordi in libertà. La collezione d’arte di Michele Praitano. 

Il volume espone la collezione d’arte che Michele Praitano ha formato in oltre cinquant’anni di ricerca in Italia e all’estero. E’ Praitano stesso che ne descrive con vivacità lo sviluppo, narrando con fluidità le storie di molte delle opere illustrate, descrivendo i personaggi incontrati, i successi e le delusioni, le sue principali scelte artistiche sulla pittura otto-novecentesca ispirata dal realismo, dall’impressionismo e dalla classicità. 

Segue un inquadramento critico della collezione proposto da Olga Scotto dal punto di osservazione di Napoli, il contesto storico-artistico e di mercato maggiormente esplorato da Praitano, da lui preferito anche per poter ritrovare quei fili di collegamento degli autori molisani con una città che apriva anche alle esperienze internazionali. 

La catalogazione delle opere è stata svolta da Marianna Cicoira, che alla collezione ha dedicato la tesi specialistica discussa presso l’Università degli Studi del Molise, e i cui risultati e i numerosi spunti di indagine vengono offerti in maniera sistematica all’attenzione degli studiosi e degli appassionati. 

Da parte della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Molise e della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Molise sono state svolte le attività di tutela e di valorizzazione della collezione, che hanno visto la stretta collaborazione con Praitano e hanno permesso, grazie anche alla cooperazione dell’Amministrazione Provinciale, di esporre in Palazzo Pistilli a Campobasso (da maggio 2012) opere della collezione accanto ad altre della raccolta Eliseo nella mostra I Colori delle Emozioni. Il Collezionismo di Giuseppe Ottavio Eliseo e Michele Praitano per Campobasso e il Molise. 

Per contatti: 
Soprintendenza BSAE del Molise 
Salita San Bartolomeo, 10 Campobasso 
Tel.0874.431350 – Fax 0874.431351 
vittoria.dicera@beniculturali.it

Guardando il mare in una notte estiva - Giannantonio



Guardando il mare in una notte estiva 
Fabio Giannantonio


inaugurazione
sabato 11 maggio 2013 – h. 20.00
11 maggio / 9 giugno 2013

dal giovedì al lunedì
10.30 – 13.30 / 16.30 – 21.00
“Giannantonio disegna il proprio profilo di artista mediante il lavoro più recente di scultore e poi di pittore, o meglio, di “compositore”. Nei suoi ultimi lavori pittorici su tavola utilizza materiali come il ferro e la pietra, ma anche riposanti stesure di colore, che costituiscono il naturale approdo dove far confluire il bisogno di interagire con gli elementi e la necessità di rivelare la luce. La sua naturale predisposizione al racconto è utile per produrre testimonianze, tracce e documenti che traducano in modo inequivocabile l’urgenza di sedimentare il paesaggio e la complessità dell'uomo.”



Traker Art 2013 - Ottavo convegno della nuova critica d'arte italiana




PROGRAMMA

TRACKER ART 
OTTAVO CONVEGNO DELLA NUOVA CTITICA D’ARTE ITALIANA

Sabato 11 maggio 2013 ore 9.30
Aula Magna del Liceo Artistico Statale “B. Jacovitti” Termoli

Ore 9.30 Saluto delle Autorità

Ore 9.45 Presentazione del Convegno
Antonio Franzese, Nino Barone

Ore 10.00
“L’arte negli anni ottanta a Roma: il trionfo postmoderno della Transavangurdia e della Nuova Maniera verso la Modernità” 
Antonio Gasbarrini

Ore 10.30
“Il movimento Trattista 1982-1986” 
Giuseppe Siano

11.00 Break

Ore 11.15
“Testimonianza di artista” 
con visita dell’opera trattista di 6m X 1,20m.
Marco Fioramanti

Ore 11.45
“Il Gruppo Solare a Termoli 1976-1980” 
Tommaso Evangelista

Ore 12,15
Presentazione della rivista d’arte “Night Italia” 
Marco Fioramanti, Antonio Gasbarrini, Giuseppe Siano

Ore 12.45 Conclusioni


lunedì 6 maggio 2013

Carlo Parente - Appunti per l'ascesa di nuova crudeltà

"LOVE SHIT-ART piccolo shit-artist col suo piccolo muro. (bank-me da bimbo)" olio e acrilico su mdf,33x23cm, 2013



CARLO PARENTE APPUNTI PER L’ASCESA DI NUOVA CRUDELTA’ 


A cura di: Helena Rusikova
Dal 7/ 5/ 2013 al 31/ 05 / 2013

Inaugurazione: Martedì 7 MaggioOre 19,30
KOMA’ ArtGallery Corso Umberto I° n°52 86023 Montagano (CB) 


Uno dei motti che meglio riassume e mantiene (per l'appunto) viva la memoria del Punk, è "Punk'snot dead", ovvero il punk non è morto. 

A dirla tutta il punk non è morto semplicemente perchè non è in grado di farlo, trattandosi, al di là della omonima moda, musica, periodo storico, innanzitutto di un'attitudine. 

Infatti gli atteggiamenti "punk" esistevano da quando si abbattevano bisonti a clavate fino ai giorni nostri in cui succede che un piccolo paese montano del Molise - Montagano nella fattispecie - decide di ospitare questa piccola mostra di Carlo Parente. 

Bisognava aspettare che l'iniziativa arrivasse da un luogo ignorato dal mondo e che orgogliosamente ricambia il mondo ignorandolo a sua volta. 

Il Punk non tradisce la sua vocazione, anzi ne esce ulteriormente arricchito proprio attraverso l'ignorare, l'ignoranza, l'essere ignorante. 

L'artista in questione, non di meno, si disinteressa del tutto alla possibilità che il suo lavoro possa non essere originale o possa non rispondere ai recenti approdi dell'arte, e disinteressarsi è una forma più o meno volontaria di ignoranza. In ogni caso anche questo è Punk. 

Dare dell'ignorante ad un Punk è forse il più bel complimento che gli si possa fare, se non altro il più coerente. 

Dopo mesi ed anni e decenni di smartellamento testicolare con questo rognosissimo "Pop Surrealismo" che i grandi canali artistici e giornalistici, in grandi centri urbani e con grandi flussi economici, hanno deciso di propinare senza tregua, ecco che emerge in un luogo a malapena registrato sulle mappe, all'interno di un piccolo circuito artistico, scrupolosamente evitando i giornalisti e con un budget che supera di poco la decina di euro, il primo ed ufficiale caso di PUNK REALISTA, espressione coniata dalla sottoscritta (con la complicità del coraggioso Michele Mariano), per impartire la seguente lezione: la libertà è nell'ignorare, non per ignoranza ma per volontà, ciò che vuole essere a tutti i costi conosciuto, riconosciuto e discusso. 

Il Pop Surrealismo a cui il PUNK REALISTA si oppone, non è chiaramente il nemico numero uno, ma è solo un esempio abbastanza calzante di come lì fuori si agita il mondo dell'arte, che però qui ci fa la figura dell'esercito romano che non riesce a piegare il piccolo villaggio di Asterix. 

D'altronde la vicenda storica del Molise è la medesima: il Sacro Romano Impero ricacciato a calci nel didietro da qualche centinaio di Sanniti. 

I Sanniti erano e sono dei veri Punk, realisti per giunta, poichè questo spirito si applica e manifesta giorno per giorno, nelle piccole e grandi cose, nella vita vera ("Reale" quindi) e in come uno decide di viverla e, in caso, di trasformarla in un'opera d'arte. 

Per poter farlo e o anche solo per capirlo, però, bisogna essere davvero un bel po' ignoranti. 

Helena Rusikova 


KomA’Corso Umberto I° n°52 86023 Montagano (CB) 
Aperta dal martedì al sabato dalle 19 alle 01 
tel: 347 5624436 mail: komagallery@gmail.com

sabato 4 maggio 2013

Sergio Lombardo a Termoli - Pitture stocastiche




Si è chiusa a Termoli l’esposizione di “pitture stocastiche” di Sergio Lombardo all’Officina Solare di Nino Barone. Diciamo che è proprio quel Sergio Lombardo famoso che, nel 1961, ha partecipato allo storico gruppo di Piazza del Popolo con Jannis Kounellis, Tano Festa, Franco Angeli, Renato Mambor, Cesare Tacchi e Mario Schifano. Una mostra che è in linea col movimento da lui fondato in seguito: l’eventualismo (1977-79). Attratto dalle nuove forme geometriche ottenute dalle rotazioni di “elementi” in uno spazio-tempo a più dimensioni, dal 1980 al 1996, Lombardo ha lavorato con l’intento di ottenere nell’arte una tecnica con cui mostrare in che modo si percepiscono le forme in movimento e come emerge una nuova organizzazione delle relazioni in un ambiente. Queste sue opere emergono come rapporto tra una rappresentazione, la percezione del movimento e la dimensione del tempo. Per ottenere queste relazioni e spostamenti spazio-temporali egli si è avvalso di algoritmi matematici che si riproducono utilizzando i programmi logici di randomizzazione [sviluppo casuale] del computer. Sicuramente per questo motivo egli ha definito le sue opere “pitture stocastiche” [cioè pitture dallo stato finito e dai tempi discreti]. 

Le opere di Lombardo subito proiettano in un ambiente percettivo di contestuali e logici spostamenti, che coinvolgono oggetti, o figure geometriche inusuali, che collegano più piani o stati di un’evoluzione. Rappresentare un’origine, oggi, è risalire a uno stimolo, anche dopo l’intervento della freccia temporale. Si possono perciò definire le figure che Lombardo ottiene come “rappresentazioni” di elementi casuali “complessi”, colti da più punti di vista, e che si spostano in un ambiente a più dimensioni — almeno una in più dopo le tre canoniche. 

Le sue pitture, sembra, contengano un espresso riferimento al principio d’indeterminazione di Heisenberg e, indirettamente, a FLUXUS. Il principio permette di osservare il fenomeno secondo l’analisi degli elementi, e non secondo un racconto fondato sul “senso” della “parola”, che rappresenta un’unica “verità”. Ogni evento indeterminato si può raccontare secondo uno dei due aspetti di una variabile. Se, ad esempio, ci si sofferma sulla determinazione esatta di un parametro, quale può essere la posizione di un fotone nel mondo subatomico, ciò comporta l’indeterminazione dell’altro parametro qual è la sua velocità di spostamento. FLUXUS e l’eventualismo di Lombardo, partendo da principi diversi, hanno applicato al mondo dell’arte il principio delle variabili di Heisenberg della materia-energia subatomica, di cui un aspetto sarà sempre indeterminato. 

In Lombardo, le sue opere sono prodotte su supporti bidimensionali — qual è considerato ancora il foglio di carta o la tela —, e cercano di farci percepire come le rappresentazioni nelle nuove dimensioni dello spazio-tempo provengono e da una nuova concezione di materia-energia inscindibile e da complessi calcoli, che sono possibili ottenere con il computer. Per questo motivo le colloco nel filone delle cosiddette dissoluzioni della geometria euclidea e della fine della rappresentazione del pensiero logico-lineare, che furono già sabotate dalle cosiddette avanguardie storiche (futurismo, dadaismo e surrealismo). 

Le sue opere fanno un esplicito riferimento alla filosofia dell’emergenza logico-percettiva-contestuale, con cui si manifesta un evento relativo in un osservatore. 

Le “pitture stocastiche” presentate da Lombardo aprono, con l’intervento di un osservatore, il campo dell’artistico alle nuove frontiere della percezione della materia-energia, che per questo si espande in irraggiamenti evolutivo-caotici in un ambiente relazionale a più dimensioni dello spazio-tempo. 

Giuseppe Siano su Juliet


Armando Ginesi – Achille Pace e il filo dell'anima

Il quesito ce lo dobbiamo porre: Achille Pace, dopo il superamento della fase pittorica informale, allorché inizia il processo di spoliazione formale, l’assunzione del minimalismo espressivo che giustamente Leo Strozzieri ha detto che si potrebbe definire “francescano” tanto è teso in direzione dell’essenzialità, può essere collocato nel contesto di quel fenomeno artistico che, con Germano Celant, ha assunto il nome di “Arte Povera”?


La domanda ce la poniamo perché nella pur nutritissima letteratura critica di qualità di cui l'artista dispone, non ci pare di aver rintracciato (in particolar modo tra i critici dell'ultimo trentennio o giù di lì) qualche autore che lo abbia asserito. Eppure a noi sembra che ragioni per sostenere che almeno forti tangenti con questa esperienza (i protagonisti della quale furono tanti e fra essi Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Mario Ceroli, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Michelangelo Pistoletto, Gilberto Zorio eccetera) la ricerca espressiva di Achille Pace le abbia avute, almeno fino a quando la linea pauperistica non è sfociata nell'area più vasta ed estremamente articolata dell'Arte Concettuale.
Questa convinzione la deriviamo dalla stessa esperienza dell'artista molisano, romano d'adozione, compiuta all'interno del "Gruppo Uno" e, ancora prima, del "Gruppo Forma", tesa ad orientarsi verso una riduzione degli strumenti semiologici, soprattutto al loro deciso richiamo all'elementarità formale e cromatica, in contrapposizione con ogni tipo di forma naturalistica ma, alla fine, anche geometrica. Sicché molti degli artisti aderenti alle due correnti artistiche – e Pace in particolar modo – scelgono il segno, quello primitivo e archetipico, per veicolare le sensazioni, le vibrazioni, le palpitazioni della propria vena poetico-visiva. Inoltre un secondo motivo di certezza che Achille Pace debba essere, magari in posizione anche un po' laterale e dunque originale, considerato uno dei tanti protagonisti dell'Arte Povera, scaturisce dal confronto tra i suoi esiti linguistici e le formulazioni teoriche della linea pauperista definite proprio dal suo principale teorico e cioè da Celant. "Arte Povera" – egli scrive in Arte Povera 1968, "Precronistoria" 1966-69 – " è un'arte che predilige l'essenzialità informazionale, il comporre teso a spogliare l'immagine della sua ambiguità e della convenzione che ha fatto dell'immagine la negazione di un concetto[…]. L'arte povera non è un operare illustrativo, non ha come obbiettivo il processo di neo-rappresentazione dell'idea, ma è indirizzata a presentare il senso emergente ed il significato fattuale dell'immagine, come azione cosciente; si presenta lontana da qualsiasi apologia oggettuale ed iconica; è un agire libero, quasi intuitivo, che relega la mimèsi a fatto funzionale e secondario, i nuclei focali risultando l'idea e la legge generale[…]. Un momento freschissimo che tende alla decultura, alla regressione dell'immagine allo stato preiconografico, un inno all'elemento banale e primario , alla natura intesa secondo le unità democritee e all'uomo come frammento fisiologico e mentale", aggiungendo che essa mira "a ridurre ai minimi termini, a impoverire i segni per ridurli ai loro archetipi". 

Né possiamo dimenticare che l'Arte Povera nasce in polemica con l'arte tradizionale della quale rifiuta tecniche e supporti per fare ricorso ai materiali "poveri". Non sembrano tutte queste affermazioni fatte apposta per riferirsi al "filo di cotone" che Pace – memore degli insegnamenti essenzialistici e minimalisti derivati dalle esperienze vissute nel "Gruppo Forma" e nel "Gruppo Uno" – inventa e trasforma in straordinario, poverissimo (sia dal punto di vista materiale che semiologico) segno veicolatore del suo mondo interiore offerto alle infinite possibilità ermeneutiche dei riguardanti? 

Del resto un'intelligenza critica lucida come quella di Giulio Carlo Argan già aveva parlato di "minimi di quantità, massimi di qualità", riferendosi ai connotati linguistici del nostro artista tesi all'essenziale, al pari di Cesare Vivaldi che, negli anni Sessanta, aveva fatto esplicito riferimento alla povertà del mezzo da usato. E non va dimenticato Vanni Scheiwiller che nel 1977 aveva scritto: "La poetica di Pace anticipa senza clamore i concettuali, la minimal, l'arte povera e, in genere, il post-informale come recupero del controllo, del rigore e della logica esistenziale nei confronti di un irrazionale esistenziale informale". Abbiamo citato critici attenti, acuti, capaci di individuare i prodromi lessicali e semantici a cui Achille Pace era pervenuto in anticipo in chiave pauperistica. Sì, in anticipo, perché si ricordi che egli ha usato il filo già a partire dal 1956, quindi oltre un decennio prima rispetto alla nascita ufficiale del movimento teorizzato da Celant. 
Certo non ci sono, in Pace, altre condizioni che l'evoluzione dell'Arte Povera assume su di sé (come, ad esempio, l'istallazione, l'azione performativa eccetera) e che l'artista in questione non fa proprie, ma questa evoluzione dell'arte pauperistica si manifesta allorché, esasperando il principio dell'essenzializzazione all'ennesima potenza, perviene ad essere un'altra cosa e si trasforma in esaltazione dell'idea pura, senza alcuna considerazione non solo per l'opera ma neppure per i materiali, ricchi o poveri che siano, vale a dire in Arte Concettuale. Le premesse di questo esito del processo si potevano , a ben guardare, già individuare nelle soluzioni pauperistiche di un Anselmo della "Scultura che mangia", di un Pistoletto nelle riflessioni degli specchi, di un Paolini di "Mimèsis", di un Boetti e così via. 

Quanto sopra ci è sembrato giusto affermarlo perché riteniamo che, soprattutto in ordine al principio fondante dell'uso del materiale povero (da cui deriva la denominazione della tendenza), non ci sia differenza fra gli stracci utilizzati da Pistoletto nella sua "Venere" e il filo di cotone di Pace, tanto per fare un esempio e per quanto afferisce agli intenti minimalisti ed essenzialistici , il filo dell'artista molisano sia un autentico abitante, a pieno titolo di cittadinanza, di quella rilevante comunità creativa che è andata sotto il nome di autori dell'Arte Povera. A meno che decidiamo che il problema non si ponga (o quanto meno si riduca molto d' importanza) se prendiamo per buone – e forse vale la pena di farlo – le parole di Dieter Schwarz, direttore del Kunstmuseum di Winterthur, in Svizzera, il quale ha saggiamente, a nostro parere, scritto che "la denominazione ‘Arte Povera' non descrive uno stile ma forse solo una generazione, degli artisti legati ad un momento e solo per caso, per intenzione di un curatore. Forse sarebbe meglio guardare questi artisti individualmente". Che è poi quello che sempre si dovrebbe fare, analizzando le poetiche dei vari autori perché, pur aderendo a questo o a quel gruppo, a questa o a quella tendenza di cui fanno proprie le formulazioni teoriche, essi restano sempre, nel momento creativo, dei "solitari", singolari elaboratori di esperienze linguistiche attraverso le quali tentano la ricreazione originale del mondo. 
Ciò detto, veniamo a quella che già altri autori hanno definito la "poetica del filo". Come non pensare al mito D'Arianna e alla semplicità arguta del metodo usato per risolvere un problema quasi insolubile come l'uscita di Teseo dal Labirinto mercé l'utilizzo di uno strumento elementare, primario, quale può essere un filo di cotone, di canapa o di lana? E ciò diventa estremamente importante perché indica una verità che è anche morale e dunque pratica, vale a dire che la semplicità a volte (vorremmo dire quasi sempre) può offrire soluzioni a fenomeni complessi, senza che categorie ad essa estranee rendano macchinose e difficili, quanto e più dei problemi stessi, anche le loro risoluzioni. 

Ma noi vorremmo richiamarci alle straordinarie poetiche segniche e a quel che di esse ha scritto Gillo Dorfles parlando dell'uso di "segni, del tutto astratti, del tutto sprovvisti di un "significato" concettuale (almeno evidente) e anche del tutto avulsi da ogni riferimento a figurazioni preesistenti, sia di carattere naturalistico che di carattere simbolico". Autosignificanti, li potremmo chiamare. A noi pare che questo sia il contesto più giusto nel quale collocare Achille Pace e la sua fenomenale poetica di quel filo che diventa segno: segno come percorso, come elemento dinamico trasportatore di energie fisiche e psichiche, spirituali; segno che misura lo spazio, lo fraziona determinando relazioni fra le parti, lo percorre e lo ripercorre, lo sollecita. Mai lo viola, perché esso si propone com'è, ovverosia essenza della levità. Un segno leggero, che si depura della propria materialità e si trasforma in traccia ideale ed esistenziale nel medesimo tempo. E che, in quanto traccia, si fa anche frammento della storia. 
Il riferimento al segno come tenuità ci induce a ricordare due gigantesche figure dell'espressione artistica europea e mondiale: un pittore e uno scultore che abbiamo avuto l'onore e la fortuna di conoscere, di frequentare, di studiare e sui cui linguaggi abbiamo scritto diverse pagine. Uno, il pittore, spagnolo, collocabile tra i protagonisti indiscussi del clima delle avanguardie storiche del XX secolo senza però che possa essere inquadrabile precisamente in alcuna di esse, tanto grande è stata la sua personalità, si chiamava Joan Mirò, pittore del segno e del sogno, come amiamo definirlo; l'altro, lo scultore, italiano, forse il più rappresentativo esponente dell'informale plastico europeo, Edgardo Mannucci, colui che, in altre circostanze, abbiamo chiamato "lo scultore dell'energia". La leggerezza dei loro segni magici (pittorici o scultorei poco importa), quanto a natura e intensità, ci inducono a dire che anche Achille Pace può acquisire, a pieno titolo, la denominazione di "maestro della levità" e ad essere agli altri due accostato. Non è poco in questo mondo di una modernità e contemporaneità "pesanti", dove tutto viene colto nella sua materialità e nella sua esistenzialità più ponderosa. La leggerezza di Pace – al pari di quella di Mirò e di Mannucci – è invece formidabile capacità di veloce elevazione, di tensione spirituale, di pensiero che corre, di energia (più liricamente composta in Mirò, guizzante in Mannucci e tracciabile e percorribile in Pace). In tutti e tre, inoltre, vive e palpita una componente ludica che, pur variamente espressa, trasforma i loro segni in strumenti di gioco (di quel gioco, per dirla con Han Georg Gadamer, in cui il giocatore viene giocato), a volte di fanciullezza quale pascoliana innocente percezione dell'esistenza. Il gioco come leggerezza dell'essere, come sdrammatizzazione delle problematicità della vita, come ottimistica e lieta elaborazione del pensiero. E Dio sa quanto, di tutto ciò, il mondo della modernità, con la pesantezza sempre più opprimente dei suoi bisogni crescenti, delle sue contraddizioni, dei suoi egoismi, della sua materialità arida diventata fardello insostenibile, abbia bisogno. 

Il segno di Achille Pace, infine, a noi pare che sia una traccia dello spirito. Che ognuno lo intenda come crede: in senso religioso o filosofico. Lo spirito quale componente non ponderosa dell'animo umano. Per chi, poi, vive in una prospettiva religiosa, il filo di Pace diventa anche traccia palese dell'anima, impressa nella realtà del mondo. E come potrebbe essere altrimenti per un autore il cui giovanile entusiasmo fu conquistato dalla ricerca pittorica (e non solo) di quel grandissimo Paul Klee che voleva rendere visibile l'invisibile sulla scia di quello che, secoli prima, aveva affermato il genio Leonardo da Vinci e cioè che, attraverso l'arte, "si renderanno visibili cose che non si vedeano e udibili cose che non si udiano".'



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