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mercoledì 25 gennaio 2012

Cromosafari - Nino Barone all'ARATRO


L’ARATRO presenta una mostra personale di Nino Barone (nato a Termoli nel 1955 dove vive), artista che conduce da molti anni una ricerca su un’astrazione attraversata da un rigoroso senso della geometria e da un sentimento lirico del colore e del movimento delle forme.
La mostra comprende una breve selezione antologica di lavori dal 2005 al 2010 e l’ultimissimo ciclo di opere realizzate negli ultimi mesi dal pittore appositamente per questa mostra.
Il progetto espositivo vuole infatti mettere in risalto il percorso di sublimazione e di rarefazione del colore che Barone ha compiuto negli ultimi anni fino ad approdare ai risultati più recenti, dove, in una sorta di ironico e simbolico safari pittorico di caccia al colore, che dà il titolo alla mostra, le geometrie si condensano in pochi elementi diagonali che attraversano lo spazio bianco del supporto come presenze dinamiche di grande intensità visiva.
In questo senso, Barone ha condensato e reso quasi monumentale l’alfabeto segnico della sua pittura precedente ampliando le dimensioni e la forza delle forme geometrizzanti colorate e delle linee nere che s’intrecciano nello spazio pulsante di queste opere che costituiscono un approdo di grande severità formale e di vibrante felicità cromatica. 

A cura di Lorenzo Canova
Inaugurazione mostra 26 gennaio 2012 ore 18

CROMOSAFARI all'Officina Solare agosto 2011

Cromosafari. Già dal titolo si intuisce come questa mostra non sia altro che un viaggio: viaggio nel colore e, per riflesso, anche nella forma. Viaggio nella poetica degli artisti che, quando non si limitano a proporre maniere standardizzate ed affermate, sono sempre persi nella rielaborazione delle loro idee di fondo, idee che generano poi mutamenti nella struttura delle opere le quali, se osservate da lontano e tutte insieme, rivelano poi i vari passaggi o transiti dell’anima sulle tele in un determinato momento. Cromosafari implica inoltre anche un che di esotico ed avventuroso. Potrei accostare così le tempere di Marini ai paesaggi africani di Klee, realizzati nel 1914, riguardo ai quali scriveva “Il colore mi possiede. Non ho più bisogno di rincorrerlo. Questo è il senso dell’ora felice: io e il colore siamo tutt’uno. Io sono pittore” o le opere di Barone a piste segnate nel deserto, con l’ora più calda che annulla i colori mentre dal bianco emergono solamente oasi variopinte. Potremmo allora sintetizzare il titolo come “viaggio avventuroso nel colore” e ciò basterebbe a dare una chiave di lettura all’esposizione. Andando più nel particolare, invece, gli spunti da evidenziare sono diversi. Nino Barone compie un altro passo avanti nella sua personale ricerca artistica. Dalle Y dei primi anni ’90, tracce serializzate in bilico tra informale segnico e comunicazione, ai Geocartoon, archetipiche scarnificazioni dell’urbano ridotto a traccia e mappa su fondi ambientali e vitali, fino alle ultime decostruzioni con le linee che, ormai disgregate, proseguono per frammenti di spazio modulato in maniera disorganica, con queste ultime opere ritorna all’interno del supporto anche se qualcosa è cambiato. E’ mutato lo sfondo, diventato ormai neutro e monocromatico, si sono modificati gli inserti cromatici che fungono da scena, diventati geometriche e piatte figure colorate, si sono diradate le linee che organizzavano le mappe. Si avverte pertanto il senso di una perdita ed un certo pessimismo di fondo poiché i lavori, pur impostati su solidi segni linguistici (cifra stilistica personale ormai acclarata) che scavando nell’essenza di un sistema globale veicolano tracce intime sottoforma di comunicazioni, più che aprirsi alla vitalità del colore, unico elemento capace di liberare l’uomo dalla pesantezza dei luoghi, sembrano retrocedere. Il colore è confinato in sporadici moduli geometrici mentre intorno domina un bianco il quale più che purezza appare vuoto, e quindi privazione di spazio. Le poche linee rizomatiche ci raccontano di strade ormai abbandonate, attraversamenti in disuso, sentieri ricavati a forza sulla tela nei quali non viaggia più nessuno. E poiché la comunicazione, e anche il progresso, avviene soprattutto attraverso il viaggio che mette in contatto nuclei (o insiemi) diversi, questa rarefazione del segno e del colore non può che apparire come una sconfitta, paradigma di un’illusione ormai diventata interruzione. Ma siamo pur sempre qui a commentare una traccia e questo è pur sempre un evento positivo. 

Tommaso Evangelista



lunedì 23 gennaio 2012

Intervista a Lorenzo Canova

Intervista allo storico e critico d'arte Lorenzo Canova dalla redazione de Il Bene Comune. Tra gli argomenti affrontati anche il ruolo di Molise Cultura e l'ipotesi della creazione di un museo d'arte contemporanea.

Splendori dal Medioevo

La Soprintendenza per i Beni Archeologici del Molise ha ritenuto particolarmente importante illustrare, in una mostra nel Museo Archeologico di Venafro, l’arte, la vita e gli elevati valori spirituali che attraverso il cenobio benedettino di San Vincenzo al Volturno si sono diffusi nel Medioevo in vasti territori dell’Italia centro-meridionale. Si è voluta fissare l’inaugurazione, in modo simbolico, il 22 gennaio 2012 data coincidente con la festività di San Vincenzo martire di Saragozza. 
La mostra si articola in sei sezioni nelle quali viene ripercorso il cammino storico dell’Abbazia attraverso i reperti e le fonti storiche, iniziando dalle fasi più antiche (La fondazione del monastero e il luogo sacro), che ha tra i reperti più importanti l’altare affrescato di tardo VIII secolo proveniente dalla Chiesa Sud. Si prosegue con La rinascita carolingia, che presenta l’abbazia al massimo del suo splendore: già celebre in età longobarda; il monastero di San Vincenzo, alla fine dell’VIII secolo, si trovò al confine delle terre italiane conquistate da Carlo Magno e, in virtù di ciò, venne incluso dal sovrano franco nel novero delle abbazie direttamente poste sotto la sua protezione. 
Durante il IX secolo il monastero raggiunge la sua massima espansione: gli abati Giosué, Talarico ed Epifanio trasformano il cenobio in una vera e propria città monastica avviando imponenti progetti di costruzione. L’abate Giosuè (792-817) che, secondo il Chronicon Vulturnense (XII secolo d.C.), era imparentato con la famiglia regnante carolingia, trasformò San Vincenzo in uno dei più grandi monasteri d’Europa. Le ingenti risorse economiche a disposizione accrebbero lo splendore dell’abbazia, che giunse ad annoverare, a metà del IX secolo, ben nove chiese, tra cui la basilica maior, una colossale costruzione di oltre sessanta metri di lunghezza e quasi trenta di larghezza, con trenta colonne di granito egizio, in grado di gareggiare con le più splendide chiese abbaziali dell’Europa carolingia. Di questa fase verranno esposte le vetrate multicolori, le suppellettili in vetro di cui si illustreranno le tecniche di produzione. 
Degli splendidi affreschi originali sarà esposta la sequenza dei profeti, dei santi, degli abati. Si prosegue con l’illustrazione dei modelli pittorici e delle scuole di provenienza degli artisti, con le sculture e con i pavimenti in opus sectile. L’epilogo: dopo il saccheggio dell’abbazia da parte di predoni arabi nell’881, la comunità dei monaci fu costretta a trasferirsi ma alla fine del X secolo il monastero ebbe una fase di rinascita, con la ricostruzione della basilica maggiore e il recupero di altri edifici del grande chiostro carolingio. Alla fine dell’XI secolo però, di fronte alla comparsa dei Normanni, la comunità decise di trasferirsi a poche centinaia di metri di distanza, sulla riva opposta del Volturno, per edificare un monastero interamente nuovo e fortificato. 
Si conclude con la VI sezione: La presenza araba a Venafro e in Molise tra IX e X secolo. Il gioco degli scacchi e la simbologia, che approfondisce la fase tra IX e XI secolo nel territorio dell’Alto Volturno. Testimonianza significativa del periodo sono gli scacchi rinvenuti nel 1932 in una sepoltura di Venafro. Saranno esposti per la prima volta in Molise, prestati per l’occasione dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli.





Data Inizio:22 gennaio 2012 
Data Fine: 04 novembre 2012 
Costo del biglietto: € 2,00; Riduzioni: come da normativa vigente; Per informazioni 0865 900742 
Prenotazione: Nessuna 
Luogo: Venafro, Museo Archeologico, ex Convento di Santa Chiara 
Orario: 9,00-19,00; domenica: 13,30-19,30; chiuso il lunedì 
Telefono: 0865 900742 
Fax: 0865 900742 
E-mail: sba-mol@beniculturali.it

Dictators di Michele Boccamazzo

Fino al 4 febbraio la galleria Articks di Amsterdam presenta i lavori dell'artista isernino Michele Boccamazzo dalla serie Dictators. La mostra, dal titolo Dictators - Golpe guys, spoilt boys and revolutionaries, riflette sulle dinamiche dell'immagine e sul ruolo dell'icona nella civiltà contemporanea e, attraverso la riproducibilità dei ritratti e l'alterazione cromatica dei volti, tende a trasfigurare le figure controverse dei dittatori per presentarli come mute figure del quotidiano perse nell'assurdità del mondo.



"L’artista isernino Michele Boccamazzo espone in Olanda con la mostra intitolata ‘I dittatori’. Nelle suo opere vengono immortalati, come se si trattasse di un quadro del passato, dittatori emergenti, di lungo corso e altri che, di recente, hanno passato la mano. Tra loro ci sono quello libico, quello della Corea del Nord, quello dello Yemen, quello dello Zimbawe, e altri ventidue, per un totale di ventisei dipinti. I quadri sono stati realizzati con una serie di tecniche miste penna-inchiostro e acquerello. Boccamazzo esplora il fascino della dittatura che viene fuori dal culto della personalità, dalla mitologia e dal rispetto da parte dei paesi democratici. Alcuni di questi dittatori sono appena nati, alcuni credono nella loro visione di un mondo migliore, altri sono solo degli arrampicatori sociali e altri sperano di crearsi una carriera politica che possa apparire ‘intelligente’. Nei dipinti di Boccamazzo le facce dei dittatori appaiono ‘normali’. Normali come il ragazzo della porta accanto o il dipendente dell’ufficio postale che incontriamo ogni giorno. È possibile visitare la mostra presso la galleria ‘Articks Gallery’, in via Singel 88, ad Amsterdam dal 22 gennaio al 4 febbraio dalle ore 17 alle 21. Michele Boccamazzo, 28enne di Isernia, ha studiato arte presso l’Università di Firenze e ha conseguito un master in produzione video presso l’Università Cattolica di Milano. Ha lavorato come direttore creativo di pubblicità e agenzie di media in Olanda". (Isernianews)

mercoledì 4 gennaio 2012

iGALLERY


Artisti partecipanti: Nino BARONE, Michele BOCCAMAZZO, Alberto BURGO, Fabio CANOSA, Angela CAPOSIENA, Gianmaria DE LISIO, Lucia DI MICELI, Vincenzo MEROLA, Antonio PALLOTTA, Luca POP

Luogo: Officina Solare Gallery Via Marconi, 2 Termoli (CB)

Data: 7/25 Gennaio 2012

Apertura: tutti i giorni compreso i festivi dalle ore 18:30 alle ore 20:00

A cura di: Tommaso Evangelista

Inaugurazione: sabato 7 gennaio 2011, ore 19:00

Info: 329.4217383

Collettiva d’arte partecipativa che si pone come linea guida quella dell’interazione del fruitore con le opere presentate. Partendo dall’idea, archetipica, del toccare (touch) ormai comune a molti strumenti tecnologici comunicativi si è cercato, evitando il virtuale, di proporre dei lavori “aperti” da completare con il coinvolgimento del pubblico inteso come una sorta di artista capace, con la sua azione, di dar nuova vitalità alle opere. Una mostra dove è vietato non toccare poiché il senso è in divenire. Gli artisti invitati hanno realizzato opere ed installazioni appositamente per l’evento che si pone come innovativa esperienza estetica e percettiva.


Intervista mostra Berlino

Intervista fattami dalla giornalista Sandra Fiore inerente la trasferta berlinese della mostra sui 150 anni realizzata a Rocchetta, e uscita su La Voce del Molise sabato 31 dicembre.

1) Da Rocchetta al Volturno a Berlino, com'è andata innanzitutto?

E’ stata un’esperienza significativa ed intensa. Il Palazzo Italia, dove era ospitata la mostra, è un bellissimo spazio nel cuore di Berlino, a pochi passi dalla porta di Brandeburgo, e per l’occasione dell’evento Cibo e…dintorni, evento nel quale era compresa anche l’esposizione, ha richiamato moltissimi visitatori catturati dal made in Italy. Con me c’era il sindaco di Rocchetta, Antonio Izzi, al quale va dato il merito di aver creduto fino dall’inizio nel progetto, e Michele Peri, artista nonché ideatore della rassegna. Vedere in una così importante realtà anche un “pezzo” di Molise è stata una grande soddisfazione e lo stesso sindaco ha sottolineato l’importanza dell’evento, una vera e propria vetrina internazionale, per una piccola realtà come il comune di Rocchetta; a sottolineare come le idee anche se nascono in realtà periferiche possono avere poi la forza per imporsi.


2) Che emozione lascia sulla pelle ad un giovane critico d'arte come te curare una mostre oltre i confini nazionali e che cosa porterai sempre nel tuo bagaglio professionale?

E’ sempre una sfida confrontarsi con realtà nuove. Da questo punto di vista l’ambiente di Palazzo Italia è stato molto stimolante in quanto ospitava anche altre due interessanti esposizioni, una riguardante il design del cibo e un’altra le trasformazioni del paesaggio italiano. E’ la prova che i progetti giusti prima o poi trovano i loro spazi. Riporto a casa, forse, una maggior consapevolezza dell’importanza dell’umiltà in questo mestiere. Dopo aver visitato a Berlino quel capolavoro che è l’altare di Pergamo ti accorgi di quanto l’arte possa essere fondamentale per la crescita morale di un popolo e quindi della responsabilità del critico nella società contemporanea.


3)Come queste 150 opere hanno raccontato l'Unità d'Italia ai visitatori tedeschi?

Sin dall’inizio ho pensato che queste opere potessero offrire al fruitore una visione diversa sullo stato della Nazione. Il tema del tricolore, infatti, è stato preso molto alla larga e tanti artisti si sono focalizzati maggiormente sulla condizione (sociale, politica, culturale) dell’Italia. In questo senso diversi lavori, realizzati verso il mese di aprile, sono stati profetici sull’attuale situazione di crisi (economica e morale). Questa è del resto la particolare natura dell’Arte che, attraverso la sensibilità degli artisti, è capace di offrire una lettura diversa del mondo in cui viviamo, anticipandone anche i fenomeni.


4)La Germania ha accolto moltissimi emigranti italiani: quanti di loro hanno visitato l'esposizione che sensazione hanno esternato nel vedere la storia della loro unità cristallizzata in diverse forme artistiche?

La mostra, e l’intera manifestazione, ha attratto moltissimi visitatori tedeschi ma anche italiani. Sono convinto che molti di loro si siano rivisti nei messaggi contenuti nelle opere proprio per il fatto che l’esposizione, sin dall’inizio, non è voluta essere un evento retorico e celebrativo bensì ha tentato la strada della critica offrendo una visione “problematica” dell’idea di Italia.


5) Volendo mettere a confronto le due esperienze- quella nella nostra regione e quella in trasferta- che differenza c'è nell'approccio con l'arte? E che ruolo ha in entrambe le culture?

L’arte che si realizza in regione è un’arte di “confine” essendo il Molise completamente fuori dai circuiti nazionali ed internazionali per diversi motivi: assenza di gallerie e di musei (o fondazioni) permanenti, scarsità di investimenti, mancanza di strutture adeguate e scarsa ricezione turistica. Ogni evento artistico, che ha la pretesa di essere anche progetto culturale, deve scontrarsi con mille difficoltà e pertanto si ha sempre la sensazione di ricominciare ogni volta da zero. Nell’assenza di certezze la perenne percezione di precarietà non favorisce di certo il lavoro anche quando le idee sono buone. Basta spostarsi un poco fuori dai confini regionali e la situazione cambia. Questa mostra, per esempio, è arrivata a Berlino grazie alla mediazione della Tamarin Art Gallery di Caserta la quale ha creduto molto nel progetto. La prossima tappa della mostra sarà proprio in questa galleria. A Berlino, per quel poco che ho potuto notare, c’è più consapevolezza del valore dell’arte percepita come elemento normale in un contesto urbano. Le opere arricchiscono veramente la quotidianità e il fruitore, pertanto, è molto più predisposto ad accogliere e comprendere il dato artistico. Ma questa diversa mentalità ha le proprie radici nella cultura: mentre l’Italia è sempre stata legata, giustamente, al concetto di tutela dell’opera, in Germania si è sempre cercato di problematizzare l’approccio estetico.


6) L'arte in Molise fatica a ritagliarsi i giusti spazi e la giusta attenzione. Su cosa si dovrebbe puntare per rompere questa "superficialità"?

Parlavo prima della difficoltà in regione ma c’è anche da aggiungere che proprio tale isolamento permette un agire svincolato da logiche “mercantili” e quindi autentiche sperimentazioni curatoriali. Gli esempi sono molti: dal museo all’aperto di Casacalenda ai programmi di Limiti Inchiusi, dalle mostre dell’Officina Solare alle tante esperienze di collettive che nascono e arricchiscono i paesi, esperienze che spesso si traducono anche in collezioni permanenti e piccoli musei. Quello che manca è il coordinamento tra i vari operatori culturali che dovrebbero far sentire il loro peso sulla politica, sempre pronta a riempirsi la bocca con la parola “cultura” ma poi inadeguata nel proporre programmi culturali di un certo respiro. Si dovrebbe puntare sui giovani (critici ed artisti) e lavorare affinché si realizzi una galleria regionale d’arte moderna e contemporanea, un luogo stabile dove esporre finalmente il nostro ricchissimo patrimonio e coinvolgere, attraverso la didattica, ragazzi e scolaresche. Si parla da troppo tempo dell’ex GIL a Campobasso come sede adatta, sono maturi ormai i tempi per lavorarci e per investire in cultura. Giustamente l’amico Paolo Giordano mi scriveva “sono scarsi mecenatismo e lungimiranza nella classe politica, che non comprende la risorsa rappresentata dalla Conoscenza….O peggio teme che un popolo “evoluto”, ed educato al Bello, possa pretendere una migliore gestione della cosa pubblica”.
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