pagine

giovedì 26 settembre 2013

Vincenzo e Angiolino Palombo - Una famiglia di pittori del Novecento termolese



Vincenzo e Angiolino Palombo
Una famiglia di pittori nel Novecento termolese

A cura di Tommaso Evangelista

28 settembre / 10 ottobre 2013
Evento inserito nella Nona Giornata Nazionale del Contemporaneo organizzata dall'AMACI

Inaugurazione sabato 28 settembre 2013 ore 18.30
Officina Solare Gallery
Via Marconi, 2 Termoli (Italy)


L’esposizione dei lavori di Vincenzo e Angiolino Palombo segna per la galleria Officina Solare un’apertura verso la città di Termoli e la sua storia artistica poiché va ad indagare le opere di due pittori, padre e figlio, che hanno segnato quasi un secolo di storia locale. In assenza di approfonditi studi specifici, se si escludono gli atti del convegno Vincenzo Palombo, pittore svoltosi a San Martino in Pensilis il 19 Agosto 2004 e la “traccia di presenza” riportata dallo studioso Dante Gentile Lorusso nel suo fondamentale testo Attraversamenti. Sulla cultura artistica nell’Ottocento molisano[1], l’analisi non può che vertere su dati stilistici e formali, ovvero su una lettura puntuale delle opere in relazione alle limitate note biografiche. 

Vincenzo Arturo Palombo nasce a Campobasso il 18 agosto 1883 da Francesco, di professione calzolaio, e Rosa Troilo. Dopo una prima formazione artistica, probabilmente in botteghe artigiane della città, si stabilisce a San Martino in Pensilis dove il 21 settembre 1903 sposa Rosina Zuppone. Giovanissimo emigra negli Stati Uniti e si stabilisce a New York rimanendovi per ben sette anni e lavorando nella carpenteria delle case di legno; in tale periodo entra in contatto con maestri artigiani, provenienti in particolare da Catania (sue sculture sono presenti nel giardino botanico della città), dai quali apprende uno spiccato gusto per la decorazione di ascendenza post-rococò e per certe raffinatezze compositive. Tornato nel paese bassomolisano, in quel periodo tra i centri più ricchi e fiorenti della zona, comincia a ricevere una serie di commissioni pubbliche e private che lo porteranno a decorare diverse chiese e abitazioni borghesi. La prima grande prova artistica la porta a termine nel 1913 per la chiesa di San Giuseppe di San Martino in Pensilis; nella navata centrale realizza quattro episodi della vita di Gesù: l’Ultima Cena, il Bacio di Giuda, l’Ecce Homo, la Deposizione. Compie diversi viaggi a Roma, Napoli e Milano che accrescono le sue capacità artistiche e il bagaglio figurativo. Sono documentati in tali anni lavori nelle chiese di Guglionesi, Rotello, Colletorto e Monaciglioni e dipinti affrescati in diverse dimore gentilizie di San Martino e Termoli, dove si legge uno spiccato gusto per l’ornamento e l’utilizzo di soggetti tratti da un eterogeneo repertorio iconografico (putti, scene allegoriche, episodi di genere, vedute, festoni). Nel 1945 Vincenzo si trasferisce con la moglie e i suoi quattro figli, Domenico, Angiolino, Arturo e Aldo, a Termoli dove continua il lavoro di decoratore e intagliatore. La sua opera pubblica più significativa è di certo la decorazione nel 1947 della cupola di San Pietro Apostolo, a San Martino in Pensilis, la quale accoglie quattro storie della vita di San Pietro ripartite da una splendida cornice polilobata che reca al centro la colomba dello Spirito Santo. Le scene, la Chiamata, la Confessione, la Tempesta sedata, il Primato, si caratterizzano per le riuscite ambientazioni storiche, che ricordano certe sperimentazioni di stampo storicista di Amedeo Trivisonno, la salda padronanza della composizione, che rivela un artista estremamente maturo dal punto di vista dell’impostazione e costruzione dell’episodio, e un suggestivo uso del colore con una varietà di effetti atmosferici di grande suggestione (si veda la scena con la Tempesta sedata). Interessanti anche le decorazioni allegoriche per alcuni soffitti della sede della Società Operaia di San Martino in Pensilis, fondata nel 1879 da Nicola Ringoli. Vincenzo Palombo si è inoltre cimentato in altri campi artistici, dimostrando una maestria e una capacità realizzativa di certo rare per un artista che non aveva seguito corsi accademici ma che doveva la sua abilità esclusivamente a conoscenze personali. Il raffinato talento lo ritroviamo nella scultura (magistrale la tomba della figlia Rosina nel cimitero di San Martino in Pensilis) e soprattutto nell’intaglio e nella realizzazione dei mobili e cornici, campo dove rivela maggiormente l’influsso dell’intaglio siciliano. Riguardo alla produzione pittorica, “da cavalletto”, si segnala una predisposizione per scene con animali e per le vedute nelle quali la componente cromatica sembra prevalere sul disegno conferendo all’ambiente un sapore decisamente post-impressionista. Muore a San Martino in Pensilis nel 1957. Pregevole, in mostra, una veduta del Vesuvio in eruzione, dalla splendida cornice lignea intagliata con motivi geometrici e vegetali (ciliegie e ghiande), che sembra richiamare per l’impostazione scenografica e l’uso acceso del colore e delle luci alcune tarde vedute di Armando De Lisio con il medesimo soggetto. Il dipinto raffigurante la Carrese tenta di rendere il movimento in corsa degli animali, con la scena che viene quasi bloccata, nei gesti misurati degli uomini, dalla luce diffusa del cielo, mentre la scena con i cavalli, maestosa e austera, pare richiamare alcuni soggetti con animali e praterie tanto cari al mondo figurativo americano. Autentico brano di bravura, che dimostra tutte le capacità tecniche dell’artista, è il frammento di disegno con testa di bovino colto nell’atto di muggire, probabilmente uno studio per una tela con animali. 

Dei quattro figli, tutti educati alla nobile arte della pittura, Angiolino è stato quello che più di altri ha portato avanti la pratica artistica del padre. Angelo Palumbo, nato a San Martino nel 1915 e morto a Termoli nel 2002, si è distinto nella pittura di genere con alcuni sconfinamenti anche nell’arte sacra: l’enorme affresco sulla parete di fronte al battistero, nella chiesa di San Pietro Apostolo di San Martino in Pensilis, raffigurante il Battesimo di Cristo, del 1965, oltre a dialogare con le scene di Vincenzo si qualifica per uno stile semplice e spontaneo, quasi naif nella semplificazione delle figure, ma suggestivo nell’ambientazione e nella costruzione dell’evento. Le tele presentate in mostra declinano tutti i diversi sviluppi dei generi per cui si passa dalle vedute pittoresche alle marine, dalle nature morte ai soggetti floreali alle scene con animali, mentre si fanno apprezzare per un uso emozionale del colore, per la naturalezza delle composizioni, per una certa atmosfera senza tempo e priva di turbamenti. Notevole la veduta del borgo antico di Termoli per l’impiego di una pennellata dissolta in frammenti e tessere di colore, e la natura morta con insalata per una perfetta messa in posa degli oggetti in relazione alla luce. Rimane molto forte l’impronta del padre sia nella scelta dei soggetti che nell’uso del colore, mentre il disegno appare maggiormente messo in evidenza e fatto trasparire sulla tela. Di certo però Vincenzo Palombo è stato un grande maestro la cui figura dovrebbe essere oltremodo riscoperta sia perché si tratta di un pittore quasi del tutto autodidatta, e che raggiunge in breve tempo un ottimo livello esecutivo, sia perché è l’unico artista molisano, operante per importanti commissioni pubbliche, attestato nel basso Molise nella prima metà del Novecento e che porta avanti la linea figurativa difesa in quegli anni da Trivisonno, e caratterizzante la cosiddetta “scuola di Campobasso”. Dante Gentile Lorusso così descrive i suoi lavori: «opere caratterizzate per le buone capacità di ripresa della realtà, nella sua dimensione più immediata e spesso aneddotica, ma per questo più intima. I suoi soggetti sono tratti soprattutto dal vissuto, con uno stile giocato su tonalità chiare, teso a una vivace luminosa rappresentazione della realtà»[2], mentre a tratteggiare la sua singolare figura valgono le parole di Domenico Lanese, riprese dagli atti del convegno del 2004: «Il suo talento raffinato ed espressivo, frutto di una genialità intrinseca di indiscusso valore oggettivo, in assoluto emerge autorevolmente e si impone con suggestiva e incantevole attrazione, in un’ampia dimensione di capacità, di pregio, di competenza, nelle sue numerose opere di pittura, di scultura e di intaglio che si trovano sparse in diversi luoghi di culto e, maggiormente, nelle case private e nelle collezioni private di appassionati ed estimatori d’arte. Ha lasciato le tracce della sua autorevole presenza umana con umiltà, quasi con riservata timidezza e discrezione, mentre le sue opere sono, in effetti, gigantesche, indimenticabili e imperiture». 


[1] Cfr. D. G. Lorusso, Attraversamenti. Sulla cultura artistica nell’Ottocento molisano, Campobasso 2010, p. 341. Il convegno su Vincenzo Palombo, pittore, svoltosi a San Martino in Pensilis, presso la Società Operaia, il 19 Agosto 2004 ha visto gli interventi di Domenico Lanese, Michele Mancini e Giuseppe Zio. 
[2] D. G. Lorusso, op. cit., p. 341.


martedì 24 settembre 2013

Appello per salvare il fondo Lefra

Leonardo Remo Tartaglia (più noto come LEFRA) nasce il 27 ottobre 1933 a Ripalimosani. Nel giorno della sua prima comunione si fa regalare dalla mamma, per esaudire il suo piccolo-grande sogno, una macchina fotografica marchiata Agfa Silette. Si racconta che il piccolo Leonardo cominciò ad usarla subito scattando fotografie sui convitati, dimenticando il suo ruolo di festeggiato, ma un particolare tralasciò: si era dimenticato di inserire il rullino!
Nel 1958 Leonardo decise di intraprendere la carriera di fotografo: allestisce un piccolo studio nella centrale Via Mazzini a Campobasso. Nel 1960 collabora già con Momento Sera e col Messaggero ed in quegli anni nasce il nome magico che porterà fortuna e successo a Leonardo Tartaglia: insieme all'amico Franco De Lisio inventa "Lefra", unendo le prime iniziali di Leonardo e Franco. In quello stesso anno inizia la sua collaborazione con la più importante agenzia fotografica italiana, l'Ansa. Si può dire che qualunque avvenimento molisano, da quel momento, sarà seguito e documentato dalle immagini di Lefra. Dalla cronaca, agli avvenimenti sportivi; dai matrimoni, ai concorsi fotografici, che fanno di Lefra un fotografo e un personaggio stimato ed apprezzato.
Contemporaneamente in lui nasce la necessità di effettuare una ricerca più specifica e qualificante: diventa, infatti, un documentarista e comincia ad archiviare tantissime immagini di paesi molisani, corredate da costumi, usi, feste popolari, scorci suggestivi, immagini di un Molise che comincia a sparire, travolto dalla civiltà dei consumi.

In ogni bella giornata, Lefra si alza, di buon ora, si arma di tre o quattro macchine fotografiche, tutte spaventosamente costosissime e professionali, per rendere il lavoro con la più alta qualità possibile, ed alla cinghia mette le sue munizioni composte da decine di rullini di ogni tipo, dal colore al bianco e nero, dal 6x9 alla diapositiva, per ogni tipo di esigenza ed uso.
Si reca nelle campagne o nei paesi anche più nascosti del Molise, per immortalare ogni volto, ogni casa ed ogni panorama naturale, facendo rientro a casa solo in tarda serata riportando il suo bottino personale che gli costa non un dolore alle spalle per la pesantezza delle diverse apparecchiature.
Racconta che quando era più giovinetto, nel momento del rientro a casa, il padre gli diceva sempre: "Come ti sei guadagnato la pagnotta oggi? Scattando le foto? Vuol dire che adesso mangerai i tuoi rullini!"
Ma quegli scatti gli fruttarono ben più di ogni possibile immaginazione del padre. Difatti al suo studio ogni giorno arrivano editori molisani e nazionali. Tanto per fare un nome, De Agostini o Fabbri, per chiedere foto da abbinare a libri o enciclopedie. Diversi sono infatti le pubblicazioni sia a livello regionale che nazionale, con immagini che portano la firma: "Foto Lefra".
Contemporaneamente partecipa a numerosi concorsi fotografici sia in Italia che all'estero, a ricevere coppe e riconoscimenti per questa sua attività, frutto di passione e sacrifici. Fra i concorsi più rinomati in cui ha partecipato ricordiamo: - Seattle photographic society, a Washington; - Fotoclub Vittoria (RA); - Concorso Trofeo Circolo Italsider (Taranto 1970); - Rettet-Das-Kind, Landerband della Carinzia; - Concorso Internazionale di fotografia sull'arte lombarda (1970); ed altre serie di mostre sue personali in città come Rosario, Caracas, Toronto, New York, Montreal, Buenos-Aires. Da ricordare le mostre tenute in Argentina dedicate unicamente al suo paese nativo, dal titolo: "Ripalimosani: un pais, una provincia, un pueblo". Oltre, ovviamente, a decine di mostre nei Comuni molisani, dal titolo: "Ieri, Oggi e Domani".

Si è impegnato, inoltre, anche nel campo dell'editoria, pubblicando quattro monografie su Ripalimosani, Castropignano, Torella e Vinchiaturo, che hanno riscosso notevole successo per la loro documentazione fotografica preziosa e fedele. Lefra: un nome che oggi è sinonimo di fotografia nel Molise. Dietro quel nome, un uomo con la sua passione che è tutta la sua vita.

L'archivio fotografico Lefra
L'archivio fotografico LEFRA comprende una vasta rassegna di negativi, positivi e diapositive. Nel vasto archivio troviamo di tutto: dal paesaggio all'archeologia, Cattedrali, Parrocchiali, Chiese, Conventi, Arte Sacra, sculture, affreschi, dipinti su tela, su tavola, feste popolari, tradizioni popolari processioni. Vi è il reparto per l'agricoltura, l'industria, i castelli, i fiumi molisani, le case rustiche, la gastronomia, la politica, la sanità, lo sport e la paleontologia. Esso è dotato anche di una grande collezione di circa 5.000 fotografie dell'Ottocento ed inizio Novecento, di fotografi molisani. Tutta questa ricchezza fotografica è il frutto di 35 anni di esperienza professionale. Si può constatare che studenti prossimi alla laurea, ricercatori, studiosi, editori, ricorrono all'archivio LEFRA, come valido aiuto nei loro lavori intellettuali. Ad oggi l'intero archivio, oggetto di desiderio di alcune società a livello nazionale, è riuscito a rimanere nel Molise con l'acquisto da parte della Provincia di Campobasso. (Fonte: Ripalimosani Online)





Appello

Il fondo Lefra, venduto alla Provincia di Campobasso, attualmente si trova presso la Biblioteca Albino non inventariato, non catalogato, senza le dovute misure preventive di conservazione e CHIARAMENTE SENZA POTER ESSER CONSULTATO...Perchè??? Alla Provincia (ho parlato personalmente con De Matteis) dicono che non ci sono soldi. Adesso, certo!!! Ma il fondo è stato acquistato ben 11 anni fa! Consta di migliaia e migliaia di fotografie storiche della nostra regione (compresi monumenti), scattate dalla metà del Novecento da Leonardo Tartaglia più altre 5.000 foto storiche (anche ottocentesche)che lo stesso fotografo ripese aveva acquisito nel corso del tempo. E' UNA VERGOGNA NON POTERVI ACCEDERE COME CITTADINO MOLISANO E COME STUDIOSO! E' UNA VERGOGNA LASCIAR MORIRE UNO DEGLI ARCHIVI FOTOGRAFICI STORICI PIU' RICCHI (insieme a quello Trombetta) DELLA NOSTRA REGIONE! E' UNA VERGOGNA LASCIARLO LI' DEPERIRE SENZA LE CORRETTE MISURE DI CONSERVAZIONE. Mi sto muovendo, perchè ho preso a cuore la questione, affinchè il fondo possa essere quanto meno inventariato e consultato. Ritenevo, però, giusto informarvi della questione.

Francesca Della Ventura

Nuovo allestimento per il Museo Archeologico di Venafro


Sabato 28 settembre si inaugura il nuovo suggestivo allestimento del Museo di Santa Chiara, il Museo archeologico di Venafro. Per l'occasione nel chiostro saranno organizzati,  dal Comune di Venafro e dal Ministero per i Beni culturali, un concerto di musica popolare, laboratori didattici ed altri eventi. Il Museo archeologico di Venafro è ospitato all'interno del monastero seicentesco di Santa Chiara, in cui aveva trovato sede il piccolo museo civico istituito nel 1931 in seguito ai ritrovamenti archeologici del 1919 in località Terme di S. Aniello. Oltre all'antica raccolta il museo conserva anche i ritrovamenti provenienti dai recenti scavi archeologici che hanno permesso di conoscere meglio l'insediamento sannitico e la Venafro di età imperiale. L'esposizione museale si articola in due piani (piano terra e primo piano) secondo criteri cronologici e tematici, e mostra i diversi aspetti e le diverse realtà della vita quotidiana, pubblica e privata.

Scudo Blu alla Pineta di Isernia


lunedì 16 settembre 2013

Ipotesi di unione - Opere scultoree di Antonio Natale di Maria


Ipotesi di Unione 
Personale di Antonio Natale di Maria 


21 settembre - 20 ottobre 2013

Inaugurazione sabato 21 settembre ore 18.30

Viale Elena 60, Campobasso

Tentativi di unione
(estratto dal testo critico di Tommaso Evangelista)

"Le sculture di Antonio Di Maria vivono sul sottile equilibrio della forma, nel tentativo di dare consistenza (tattile) a visioni frammentarie che vengono a fondersi nella materia viva della struttura. Il tentativo di unione sottolineato nel titolo è proprio questo sforzo dell’artista da una parte di mettere ordine nella concezione di opera e dall’altra di sommare le idee per presentarle come intimamente combinate e armonizzate. Lo stile, pur influenzato da certe tendenze primitiviste e naif, non rompe mai con i canoni classici tradizionali preservando figuratività e narratività pertanto ogni lavoro è di per se una storia da leggere in divenire, nella somma dei tempi che solo la statuaria riesce a presentare in simultanea. Il linguaggio, invece, spaziando dalla figurazione oggettiva alla rappresentazione simbolica all’astrazione, somma l’organico e il materico producendo un effetto piacevolmente distonico, ovvero per nulla dissonante (Eco). Il centro dell’intervento di Di Maria è l’immaginario archetipico delle forme mai chiuse in se stesse, nell’incomunicabilità dell’emblema e del sintomo, bensì sempre capaci di rivelare un racconto e pertanto di aprirsi al senso e alla lettura. Le virtù mitopoietiche del materiale plastico permettono un sottile scavo nell’inconscio per cui la materia oltre ad avere una forma, plasmata abilmente e con grande perizia tecnica, si costituisce anche in una storia...."
Eros

Guardiani del tempo
primavera

domenica 15 settembre 2013

Immagine del Vespro - Arte sacra al Santuario dell'Addolorata


IMMAGINE DEL VESPRO
Il dolore e la speranza: arte sacra al Santuario dell’Addolorata


Centro don Nicola Lombardi, Santuario dell’Addolorata,
via Santuario 40, Castelpetroso (IS)
20 settembre – 26 ottobre 2013

Orari di apertura
da Lunedì a Venerdì 9.30-13.00 15.30-18.00
Sabato e Domenica 9.30-13.00 15.30-19.00

Con il patrocinio della
Regione Molise
Diocesi Campobasso-Bojano

Organizzazione mostra
Don Massimo Muccillo, Vicario Episcopale per il Santuario

Direzione artistica e curatela
Tommaso Evangelista, storico e critico d’arte

Organizzazione e coordinamento
Giovanni Antonioli, artista

Mostra fotografica Santuario dell’Addolorata
a cura di Officine Cromatiche fotoamatori Isernia

In occasione dell'inaugurazione della mostra IMMAGINE DEL VESPRO - arte sacra al Santuario di Maria Addolorata Di Castelpetroso - all'interno del Santuario Rodolfo Papa, pittore, teorico e storico dell’arte, rifletterà sulla specificità e l'identità dell'arte sacra. Interverranno Don Massimo Muccillo, Vicario Espiscopale per il Santuario, Tommaso Evangelista, storico dell’arte e curatore dell'esposizione. Rodolfo Papa è esperto del Sinodo, docente di Storia delle teorie estetiche presso la Pontificia Università Urbaniana, artista e Accademico Pontificio.

Programma:

ore 15.30 Conferenza Riflessioni sull’arte sacra
Prof. Rodolfo Papa
Docente di storia delle teorie estetiche, Università Urbaniana di Roma

Ore 17.00 Santa Messa

Ore 18.00 Saluti delle autorità
Apertura mostra

Evento della mostra su FB https://www.facebook.com/events/156024607939250/

La mostra Immagine del Vespro, organizzata da Don Massimo Muccillo, Vicario Espiscopale per il Santuario, e curata dallo storico dell’arte Tommaso Evangelista, prende il titolo dalle cosiddette Vesperbild, le piccole sculture in legno, nate in area tedesca nel 1300, che rappresentano la Pietà e il cui nome si riferisce all’uso, all’ora dei Vespri del Venerdì Santo, di meditare sulle cinque piaghe di Cristo morto che giace sulle ginocchia della Madre. Il legame, naturalmente, è con l’immagine dell’Addolorata come si è mostrata tante volte durante le apparizioni promuovendo anche un’iconografia del tutto nuova nell’emblematico gesto “sacerdotale” di offerta. Tale rappresentazione fu fissata sulla tela, per la prima volta, nel 1889 dal pittore romano Giovanni Battista Gagliardi e questa immagine, oggi in mostra, è diventata la riproduzione canonica degli eventi di Castelpetroso. Nell’esposizione si è voluto affrontare, allora, proprio il problema legato all’origine della prima immagine presentando tutte le opere presenti in Santuario che potessero ricostruire il percorso dell’icona. Parimenti si è voluto dare all’evento un taglio storico allestendo, per la prima volta, un percorso documentario sull’arte nel Santuario. Le opere di Amedeo Trivisonno (verrà presentata anche una pala d’altare, la Deposizione, tolta da una cappella per essere fruita in maniera più ravvicinata), di Marcello Scarano, di Alessandro Caetani (bozzetti della via Matris), della Famiglia Marinelli (calchi delle formelle del portale di sinistra), spesso bozzetti o studi preparatori o lavori fruiti per la prima volta lontano dal contesto liturgico, ci aiutano a ricostruire l’intera vicenda artistica del complesso monumentale che è stato l’ultima costruzione in stile neo-gotico ad essere completata in Italia. Anche i bozzetti della famiglia Chiocchio, di Oratino, che si occupò della lavorazione di tutte le decorazioni in pietra della chiesa, ci aiutano a focalizzare l’attenzione sull’importanza e la difficoltà dell’impresa, aprendo una parentesi su un settore, quello artigianale, spesse volte ignorato dalla critica. Unitamente alle opere legate al Santuario si è voluta arricchire l’esposizione presentando altri lavori dei maggiori artisti che vi hanno lavorato. Di Scarano, autore della Via Crucis del Santuario (in esposizione anch’essa), è stato esposto un inedito polittico con le storie di Cristo e altri soggetti sacri, tra i quali una splendida Deposizione; di Trivisonno, autore delle otto pale d’altare, è presentato invece un pregevole quadro sulla Sacra Famiglia e un’inedita opera giovanile, proveniente dalla chiesa di San Rocco di Carpinone, del 1927, probabilmente tra i primi lavori a tema sacro su tela e recentemente attribuita al pittore da Evangelista. Le opere di Rodolfo Papa, infine, oltre a testimoniare la continuità, in territorio molisano, della linea figurativa a soggetto sacro portata avanti prima da Trivisonno e poi dal suo allievo Leo Paglione, anch’egli in mostra, segnano un’apertura al futuro sia nell’iconografia (si veda la tela con l’Addolorata) sia nel patrimonio artistico della chiesa dato che lo splendido bozzetto per la decorazione della cupola va proprio nella direzione di un arricchimento, di bellezza e di teologia, del complesso. Infine, poiché deve rimanere sempre forte il legame tra la storia e il presente, si è dedicata una sezione alla collettiva d’arte. Una selezione dei migliori artisti molisani, pittori, scultori, ebanisti, che si sono confrontati con tematiche religiose o con la stessa immagine dell’Addolorata, ci aiuta a comprendere come il legame con le forme e la rappresentazione non deve essere mai smarrito se si vuol comunicare i messaggi dell’arte sacra autentica. Proprio la presenza di opere di grandi maestri locali, favorendo un interessante confronto di carattere storico e formale, conferisce autorevolezza e senso alle opere presenti in collettiva. I lavori selezionati, degni per l’indagine di un senso intimo che coinvolge la stessa idea del ruolo dell’artista nella società, ci raccontano del tentativo, con tutte le difficoltà legate al collasso del sistema artistico, di riappropriazione della struttura e del senso e, in linea generale, del “corpo” della pittura e dell’arte. L’esposizione di fotografie delle Officine Cromatiche, inoltre, dimostra come l’immagine del Santuario non perda mai il suo fascino e continui sempre, con la sua forma significante e le sue bellezze artistiche, a ispirare chi, per propria inclinazione, è alla perenne ricerca dell’aspetto, della luce e del colore. Lo studio nato in preparazione della mostra ha tentato di legare gli eventi delle apparizioni all’idea stessa di forma, analizzando l’iconografia (con i suoi modelli) e la fortuna critica dell’immagine dell’Addolorata; parimenti è stata fatta una ricerca mirata di fonti e documenti per ricostruire la storia artistica del Santuario, le tante testimonianze presenti nella chiesa e i diversi artisti che vi hanno operato, per dare una visione quanto più possibile organica dell’arte sacra in Molise come sintetizzata in questo luogo di fede. A conclusione l’idea di fondo dell’intera mostra, e degli studi, è stata quella di aver voluto creare, visivamente e concettualmente, una linea di continuità tra tutte le esperienze artistiche legate al Santuario per restituire una volta per tutte, alla critica e al fruitore, un fondamentale e purtroppo poco conosciuto frammento di storia artistica molisana.

giovedì 12 settembre 2013

Mimi, Coco e Co - Personale di Danielle Villicana D'Annibale


DANIELLE VILLICANA D'ANNIBALE
"MIMI, COCO & CO."
a cura di
MATILDE PULEO, ANGELO ANDRIUOLO,
FRANCESCO GIULIO FARACHI
ìn collaborazione con
ARS IMAGO DEI & VILLICANA D'ANNIBALE GALLERIA D'ARTE
14 / 26 settembre 2013
Inaugurazione sabato 14 settembre 2013 ore 18.30
apertura tutti i giorni ore 18.30 / 20.30
INGRESSO LIBERO
OFFICINA SOLARE GALLERY
Via Marconi, 2 Termoli (Italy)


La personale presenta il percorso astratto dell’artista californiana che da anni vive ad Arezzo, nell’ultimo decennio di attività e ospiterà una selezione di circa trenta opere dal 2003 al 2013, di cui venti inediti assimilabili al linguaggio artistico “ready-made Dada Pop”.

Presentazione

A volte la ricerca artistica cerca di accedere alle cose con strumenti di facile comprensione. S’identifica nella conoscenza dei fatti attraverso il canale più immediato e facile della vista, lasciando che l’aspetto esteriore sia l’elemento distintivo di un oggetto. C’è una componente ludica, spesso accompagnata da una discreta dose d’ironia, in quasi tutte le scelte pop e nel ready made storico, di cui molto si è parlato in passato, ma che forse – e specie in Europa - andrebbe ribadita con maggiore enfasi. Se non altro perché la cultura pop ci appartiene ancora, segna il nostro panorama visivo e vive cercando di creare valori nuovi, più densi di significati, più abbondanti. In alcuni casi perfino esagerati. Del pop si rivendica non soltanto la naturale vocazione al divertimento spettacolare, ma proprio la sua funzione evolutiva e paradigmatica.Vocazione sperimentale ed energetica che anche Danielle Villicana ha deciso di avere, assecondando in questo modo numerose sue convinzioni e caratteristiche. Si tratta in sostanza di una questione di scelta stilistica, di sfida e di tentativo personale di superare parametri passati. Si commisura col dato di fatto di non essere un’artista europea e sopratutto con la scarsa spinta al proselitismo, al reclutamento e dunque all’insegnamento morale. Ciò detto, resta innegabile che l’intera operazione di questa mostra e la spiccata attenzione verso sigarette, medicine e bustine di zucchero bianco siano molto di più di strumenti di facile comprensione. Sono ingombri decisi, strutture matematiche, giochi di pieni e di vuoti, composizioni geometriche, uso deciso del colore e presenza forte dell’oggetto che entra a far parte del lavoro. Ma non sono soltanto questo. I pacchetti vuoti e in alcuni casi coloratissimi, di sigarette americane o europee e i dispenser plastificati di pillole che si presumono essere espressione del carattere fortemente medicalizzato di ogni momento della nostra vita, si alternano nello spazio della tela all’altro elemento che di fatto, si relaziona con il problema della dipendenza: la bustina di zucchero bianco, oggi considerata altrettanto nociva e pericolosa. Espressione di una dipendenza che coinvolge ogni momento della nostra vita.

Fumo, medicine e zuccheri, all’interno di una battaglia che non vuole però mai essere quella di un’attivista quanto quella di un’osservatrice dell’ambiguità della vita e del carattere doppio e spesso contraddittorio delle nostre scelte. Tra l’altro, proprio questo recente lavoro di Danielle Villicana, americana d’origine e toscana d’adozione, dimostra con forza quanto una biografia non sia affatto una sequenza di dati o di avvenimenti a cui dare una progressione. Una biografia è piuttosto una questione complessa che molto esige dall’espressione artistica: le chiede di dipanare e d’interpretare ciò che di più oscuro si nasconde in essa col tramite della libertà e della ricerca di verità. Le chiede di rispondere e di manifestare con chiarezza il cosa sta per succedere. Nel tentativo dunque, di analizzare solo qualcuno dei suoi temi, si potrebbe partire da quello che cerca di dare senso alle pratiche quotidiane. Abitudini che, fortunatamente – nel caso di Danielle non sono più nel loro farsi. Non sarebbe stato possibile credo, studiarle dalla parte dei praticanti fumatori, così come del resto, non sarebbe stato possibile farlo al contrario: partendo dal punto di vista del curioso voyeur. Ciò che realizza Danielle è piuttosto un lavoro empatico e di comprensione verso un’umanità che non sa più sciogliere l’ambiguità o capire il doppio senso. Un’umanità soggiogata dalle opposizioni che sembrano caratterizzare la nostra società, fatta di compartecipazione verso il concetto di salute e malattia, vizio e piacere, verità e menzogna, controllo del volere altrui e libertà personale di scegliere. Composta cioè, da uomini sottomessi alla contrapposizione più oscura e complessa come quella tra bene e male.

Si tratta di opere dai toni sgargianti, dalle composizioni ora rigorosamente geometriche ora più scomposte che lasciano correre tra le righe una leggerezza che parrebbe essere una critica alla società dei consumi, ma che in realtà, lascia spazio all'ottimismo un po’ disincantato di Mimì, Cocò & C. Personaggi creati dalla cultura popolare per dare un nome alla doppiezza delle nostre convinzioni, sempre a metà strada tra l’incertezza paralizzante e la presunzione di essere noi il furbo di turno. 

(Matilde Puleo)

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...