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martedì 30 luglio 2013

Sentieri Emozionali


Dal 5 al 20 agosto 2013
Caffè letterario - Corso Santa Lucia - Montemitro (CB)
"Sentieri emozionali"
A cura di Silvia Valente
Inaugurazione e convegno lunedì 5 agosto - ore 18.00
Artisti in mostra:
Paolo Borrelli, Cristiana Califano, Fausto Colavecchia, Barbara Esposito, Dante Gentile Lorusso, Luigi Grandillo, Cinzia Laurelli, Vincenzo Merola.


Comune di Montemitro
Limiti inchiusi arte contemporanea

"Sentieri Emozionali" è una mostra provocatoria al contrario, perché ha il coraggio di essere, appunto, fraintesa, è lo strumento dialettico per innescare il dibattito prima tra gli artisti e poi con il pubblico. Il tentativo è quello di raggiungere immediatamente il cuore del problema. Parlare dei lavori esposti/allestiti e del perché e del "come" li si è immaginati/realizzati. Il "manufatto" di un'opera non è esclusivamente il materiale che lo compone ma la struttura del pensiero, dove pensiero non è solo "gesto" intellettuale ma anche percorso emotivo e esperienza poetica. Queste le tracce che un evento, per quanto periferico, deve lasciare in vista o almeno deve tentare di far diventare "discutibili".

lunedì 15 luglio 2013

E.T. Enfants Terribles


Limiti Inchiusi arte contemporanea (Campobasso)
StudioventunoTattoo& Art Gallery (Salerno)
SoupyRecords (Campobasso)

presentano

E. T.enfants terribles

un progetto dedicato ai "Bambini terribili",

Pop Surrealism, Magic Realism, Tattoo Art per la prima volta a Campobasso, ospiti di Limiti Inchiusi arte contemporanea. La collettiva, in collaborazione con Mondo Bizzarro (Roma) e Mondo Pop (Roma), sarà ospitata da Limiti Inchiusidal 19 al 29 luglio 2013. 

Vernissage venerdì 19 luglio ore 18:00 – via Muricchio 1 (ex Onmi) - Campobasso. 

L'infanzia è un tema universale, un'età che tutti noi abbiamo attraversato, un passaggio fondamentale che ha segnato le nostre vite. Per molti adulti l'infanzia è quasi uno stato mentale ostentato: vi si resta aggrappati ad ogni costo, per non far scivolare via la naturalezza, per sfuggire alle sovrastrutture che l'età adulta spesso impone. L'infanzia è un tema ricorrente nell'ambito del Pop Surrealism, tanto che potrebbe esserne l'emblema. È esaltata, accolta. Bambini terribili, temibili, quasi extraterrestri. Osservano il mondo da un altro tempo, da un altro spazio, con sguardo enigmatico o sperduto. Accusatorio o polemico. Spesso disincantato. Al loro cospetto, ci interroghiamo, muti, come dinanzi a uno specchio. Cosa provoca la visione nello spettatore? Il riflesso di un'infanzia perduta, sognata, ricreata è un invito a riflettere. Una possibile riflessione viene da una selezione di artisti internazionali:


ALBERTO CORRADI (courtesy of Mondo Pop)

ANIA TOMICKA

DIAVU' (courtesy of Mondo Pop)

ERICA CALARDO

FABIO MORO (MOROF)

GERLANDA DI FRANCIA

GROZDANA TILOTTA

LUISA MONTALTO

MATTEW PRICE (courtesy of Mondo Pop)

MARK RYDEN (courtesy of Mondo Bizzarro)

MERY SINATRA

OHMYDOLLS

PELIN SANTILLI

RON ENGLISH (courtesy of Mondo Bizzarro)

SASHA PROSPERI

VALENTINA ZUMMO

YARI DG

Un evento in collaborazione con (AL)LAGO Festival:
(AL)LAGO Festival
19 e 20 Luglio 2013
Arte e musica live per il primo festival organizzato interamente dalla SoupyRecords!

sabato 13 luglio 2013

Rivista20 - luglio-agosto

Sul nuovo numero della Rivista20, rivista online di arte che si occupa di tutte le regioni italiane, si parla anche dell'Officina Solare, di Renato Marini e Vincenzo Mascia

La processione di Carletto Attraversare l'Italia a piedi dal Molise al Friuli


Un detto africano recita "Ciò che non hai mai visto lo trovi dove non sei mai stato". Niente meglio di questo aforisma per descrivere la performance che gli artisti Michele Mariano e Simona Bramati inizieranno il prossimo 15 luglio: attraversare l'Italia a piedi dal Molise al Friuli con due asine. Una processione che è un perenne inizio e un tentativo estremo di cercare nella condizione precaria del viaggio e del cammino quell'esperienza che non si ritrova restando fermi. Viaggio simbolico e reale, surreale e spiazzante, vuol riscoprire prima di tutto la Lentezza e con essa la forma interiore del percorso. L'asino come animale simbolico, ormai dimenticato dalla società contemporanea, e due artisti come garanti dell'inviolabilità dell'azione.

Come si trova scritto sul sito laprocessionedicarletto.blogspot.it

PROCESSIO-ONIS
Un'impresa di "Disertori in avanti"
Un ciclo dell'arte contemporanea si è chiuso. E' ora di mettersi in movimento!
Un po’ "Armata Brancaleone", un po’ "Don Chisciotte", un po’ "Spedizione dei Mille" e un po' "Marcia su Fiume", la processione di Carletto risalirà la penisola per denotare l’”infimo inizio”.
“L’infimo è l’impercettibile inizio del movimento, il primo segno visibile di ciò che è fausto. L’uomo di valore non appena vede l’infimo passa all’azione, senza attendere la fine della giornata” (Confucio, Classico dei Mutamenti)

Il blog oltre a condividere e appoggiare questa interessante performance cercherà di seguire le tappe di questo lungo viaggio. Per sostenere il viaggio si rimanda a questo link mentre qui è possibile vedere l'intero itinerario.

Il Quotidiano del Molise invece seguirà l'intero evento con uno speciale sul giornale e sul sito.


LA PROCESSIONE DI CARLETTO
DUE ASINI DUE ARTISTI UN CANE E L’INFIMO INIZIO
ATTRAVERSARE L’ITALIA A PIEDI DAL MOLISE AL FRIULI
DAL 15 LUGLIO AL 13 SETTEMBRE
Partenza alle ore 8 da FAIFOLI(Montagano (CB))
Arrivo a Polcenigo (Pordenone)

PROCESSIO-ONIS

Un’impresa di “Disertori in avanti”

Un ciclo dell’arte contemporanea si è chiuso. E’ ora di mettersi in movimento!

Un po’ “Armata Brancaleone”, un po’ “Don Chisciotte”, un po’ “Spedizione dei Mille” e un po’ “Marcia su Fiume”, la processione di Carletto risalirà la penisola per denotare l’”infimo inizio”.

Due artisti, due asini e un cane dal 15 luglio daranno vita ad una performance lunga 1000 kilometri.

Non un Viaggio ma una processione, perché nella processione la meta è il viaggio stesso. Storicamente ma ancor più culturalmente la processione è un atto di avvio, di partenza verso un altrove ed ha sempre uno scopo che parte da una forte determinazione e convinzione. La processione culturalmente però non è mai un semplice viaggio da un luogo ad un altro, ma è una esperienza ed una testimonianza: da una esperienza ad un’altra, in cui chi vi partecipa raccoglie di tappa in tappa le esperienze che porta e raccoglie le esperienze che trova, in uno scambio continuo con i luoghi che attraversa. Le processioni sono atti di cultura, di incontro e di ricerca per portare una voce e raccoglierne, sono quindi al tempo stesso momenti di festa e di fede.

Oggi, al tempo della crisi, come comunemente viene definito, annunciamo al mondo la nostra presenza (quella degli artisti), e affermiamo che in realtà viviamo nell’infimo Inizio.

La comunicazione, l’economia ed un certo modello culturale hanno vinto, sono diventate egemoniche. Ma proprio perchè un modello è diventato egemonico si apre la possibilità di un movimento che va in direzione opposta e contraria, il quale si presenta sotto l’aspetto dell’infimo inizio.

Come è noto, gli opposti dello Yin e dello Yang stanno tra loro in un rapporto di alternanza, per cui quando uno dei due ha raggiunto la massima espansione al suo interno si manifesta sotto forma germinale il principio opposto che comincia a crescere. Per Confucio: “L’infimo è l’impercettibile inizio del movimento, il primo segno visibile di ciò che è fausto. L’uomo di valore non appena vede l’infimo passa all’azione, senza attendere la fine della giornata”

Gli artisti e l’arte incarnano quell’”Uomo di Valore” e senza attendere che la “giornata finisca” si mettono in cammino un cammino in direzione opposta e contraria ai metodi e pratiche egemoni.

E la cultura? Oramai comodamente “seduta”, non deve forse essere l’innesco di un percorso verso un altrove?

Ed ecco quindi quale è l’idea di fondo della Processione di Carletto: due artisti si incamminano a piedi, attraversando l’Italia, incontrando genti e luoghi portando con se le genti e i luoghi che hanno incontrato, portando la voce dell’arte come momento di crescita, di uscita, per liberare le idee, i sogni e le speranze e per fare questo, come in ogni processione che si rispetti si usano mezzi semplici, essenziali, senza artifici, il camminare a piedi con l’aiuto di due asini, simbolo di sacrificio ed impegno, un cane simbolo di fedeltà e vicinanza e due artisti, simbolo di idee e di futuro.

Noi siamo pienamente consapevoli che un ciclo si sia esaurito, sia giunto alla fine. E quando la fine è sopraggiunta allora si può dare un nuovo inizio.

Un rapporto complesso e problematico lega l’idea della fine a quella del senso. Ne La fine di tutte le cose (1794) Kant, vi è l’idea che non si possa cogliere il senso di checchessia se non pensando alla sua fine: il momento diacronico e storico risulterebbe inseparabile da quello estetico e teleologico. In un’altra opera Kant scrive: “Infine deve pur cadere il sipario. Perché alla lunga diverrebbe una farsa; e se gli attori non se ne stancano perché sono pazzi se ne stanca lo spettatore, che a un atto o all’altro finisce per averne abbastanza se ha ragione di presumere che l’opera, non giungendo mai alla fine, sia eternamente la stessa”.

Per il filosofo americano John Dewey, ogni esperienza può diventare estetica se essa, invece di essere interrotta e abbandonata (come continuamente accade), viene proseguita e portata a compimento. Ciò che caratterizza l’esperienza estetica è dunque il compimento: l’ azione diviene “bella” nella misura in cui io mi impegno in essa, mi dedico ad essa, combatto per la sua piena estrinsecazione. Il contrario di una esistenza estetica è una vita che va alla deriva, che non ha né capo né coda, né inizio né termine; oppure è un’esperienza che ha un cominciamento, ma che viene abbandonata per ignavia, viltà, inclinazione al compromesso, desiderio di “quieto vivere”, ossequio alle convenzioni. L’importante è sottolineare che per Dewey si può cominciare una nuova esperienza solo a condizione che quella precedente sia conclusa. La fine dunque costituisce la premessa indispensabile dell’inizio di qualcosa di differente. Cosa avviene se non si ha il coraggio di porre fine ad un’esperienza, ad una fase della vita privata o collettiva, ad una istituzione che non ha più ragione di esistere? È probabile che essa ad un certo punto da un giorno all’altro collassi. Diceva Edward Gibbon, il famoso storico inglese autore di Il declino e la caduta dell’Impero Romano “Ci vuole molto tempo perché un mondo perisca – ma niente di più”.

Simona Bramati e Michele Mariano con Carletto e Agalma

"La Processione di Carletto”, ovvero due artisti, due asine e un cane. E comincia un "viaggio”, che porta dal Sud verso il Nord della penisola, dal Molise al Friuli, in un "infimo inizio”. Un'impresa di "Disertori in avanti", per raccontare un ciclo dell'arte contemporanea che si è chiuso. E per spiegare che è di nuovo ora di mettersi in movimento. Sono Michele Mariano e Simona Bramati i due "temerari” che percorreranno mille chilometri, da Montagano, in provincia di Campobasso, sede della Koma Gallery, con l'arrivo dopo due mesi a Polcenigo, in provincia di Pordenone. Ci raccontano di questa avventura "d'altri tempi, di tutti i tempi” proprio i due artisti.

La processione di Carletto". Sembra un progetto d'altri tempi, un film quasi pasoliniano, una scrittura da "Uccellacci e Uccellini". Com'è nato, e perché, il progetto di questo "pellegrinaggio-processione"?
«Si in effetti molte cose accomunano la nostra processione a Uccellacci Uccellini, in questo risulta un progetto d‘altri tempi e aggiungiamo di tutti i tempi! Il corvo che viene zittito alla fine del film, nella nostra processione invece viene zittito all’inizio: non si può dare il via ad un qualcosa se prima non si è conclusa la precedente tappa. L’idea è stata suggerita direttamente da Carletto, l’asina mamma che è la protagonista della scultura postuma di Michele www.trigger.es. Insieme con Simona si è iniziato a lavorare sulla reale fattibilità dell’impresa. La motivazione: viviamo in un periodo storico di mutamento; siamo nell’"infimo inizio", non si può stare alla finestra a guardare, bisogna mettersi in movimento e a chi se non agli artisti spetta il compito di fare il primo passo?
Mettersi in movimento non significa spostarsi da un luogo ad un altro, mettersi in movimento significa rivedere totalmente se stessi, ripensarsi, e senza legami col passato predisporsi al futuro senza timori. Ecco perché si chiama processione e non viaggio, nella processione la meta è il viaggio stesso».

C'è qualcosa che volete "dimostrare" con questo "Infimo Inizio"? Un ritorno e una ripartenza che interrompa il "normale" svolgimento velocizzato delle azioni contemporanee, anche dell'arte?
«Stiamo vivendo uno dei periodi più belli e interessanti, quello del cambiamento, siamo nell’infimo inizio. L’infimo è l’impercettibile inizio del movimento del principio opposto e contrario all’egemonia che ha raggiunto la sua massima espansione. Pochi vedono questo impercettibile movimento, questo segno visibile di ciò che è fausto. Meno che meno lo vede l’ArtWorld, troppo impegnato a trovare l’ultimo affare prima dell’ora di chiusura. Invece l’Uomo di valore non appena vede l’infimo passa all’azione, senza attendere la fine della giornata.
L’artista è quell’uomo di valore? Noi pensiamo di sì, a patto che riprenda quel cammino dove l’arte è pensata come percorso evolutivo del pensiero umano e il cui obiettivo sia quello di aprire un nuovo livello superiore, cominciando dalla ridefinizione della parola artista e del suo ruolo.
In realtà l’artworld non è veloce, ma completamente fermo, da più di 20 anni, e anche qui si continua a pronunciare la parola crisi invece di salutare un fallimento e una fine. Per noi non si tratta quindi di crisi ma di "fine naturale”, che va salutata con un Finalmente!! 
Mettersi in movimento quindi non per interrompere, ma per sancire la fine di una cosa che come dice Kant ne "La fine di tutte le cose" «infine deve pur cadere il sipario. Perché alla lunga diverrebbe una farsa; e se gli attori non se ne stancano perché sono pazzi, se ne stanca lo spettatore, che a un atto o all’altro finisce per averne abbastanza se ha ragione di presumere che l’opera, non giungendo mai alla fine, sia eternamente la stessa».
La fine dunque costituisce la premessa indispensabile dell’inizio di qualcosa di differente. Cosa avviene se non si ha il coraggio di porre fine ad un’esperienza, ad una fase della vita privata o collettiva, ad una istituzione che non ha più ragione di esistere? È probabile che essa ad un certo punto da un giorno all’altro collassi.
Ciò che caratterizza l’esperienza estetica è dunque il compimento: l’azione diviene "bella” nella misura in cui io mi impegno in essa, mi dedico ad essa, combatto per la sua piena estrinsecazione. Il contrario di un’esistenza estetica è una vita che va alla deriva, che non ha né capo né coda, né inizio né termine; oppure è un’esperienza che ha un cominciamento, ma che viene abbandonata per ignavia, viltà, inclinazione al compromesso, desiderio di "quieto vivere”, ossequio alle convenzioni»

Come sarà organizzato il viaggio? Vi saranno tappe simboliche e soste programmate? Che spazio sarà dato al caso?
«La Processione è organizzata per l’incontro di genti e luoghi, portando la voce dell'arte come momento di crescita, per liberare le idee, i sogni e le speranze. Come in ogni processione che si rispetti si usano mezzi semplici, essenziali, senza artifici: il camminare a piedi con l'aiuto di due asini, simbolo di sacrificio ed impegno, un cane simbolo di fedeltà e vicinanza e due artisti, simbolo di idee e di futuro.
La processione è strutturata in "stazioni” così come nella Via Crucis, le tappe assumono valore per il fatto di viverle, quindi saranno tutte simboliche. Per ora possiamo segnalare la prima stazione ovvero la partenza, quella del 15 luglio, come dicevamo prima, non si può dare inizio a un qualcosa se prima non si è conclusa quella precedente. Partiremo da Faifoli, un’abazzia nei pressi di Montagano in Molise, dove studiò e prese i voti Papa Celestino V, il Papa del Gran rifiuto, uno di quelli che ha saputo mettere finire ad una cosa. Per noi quel luogo è un luogo del no, da cui tutto può nascere. Lungo il tragitto abbiamo stabilito degli incontri, ma il resto sarà dettato dal caso, che non è mai un caso essendo noi convinti di vivere la condizione di Amletizzazione dell’eroe, cioè quella condizione per cui la tragedia non dipende da un’azione compiuta ma da un’azione da compiere».

giovedì 11 luglio 2013

PlusUltra - Premio Termoli 2013


PlusUltra 
A cura di Francesco Gallo Mazzeo

Il confronto dell’arte con la luce assume un carattere del tutto speciale, in quanto entrambe sono imprescindibili nel creare una spettacolarità che altro non è, se non il trionfo dei colori e delle forme, che nella trasparenza e nella chiarezza trovano la loro vitalità e la loro essenza.
Proprio nell’orizzonte avviene un incontro che dal punto di vista della profondità, rappresenta il limite necessario perché le forme possano nascere e non perdersi in un infinito buio e tetro, che è tutto il contrario di quanto noi immaginiamo, l’essere delle lontananze spropositate. Come nel limite sta quel quid per recuperare la bellezza che viene sottratta alla voracità del sublime che sembra volere inghiottire le stesse radici di questa nostra età post moderna in cui tutto è grande e tende a divenire sempre più grande, ma per specularità il piccolo tende a diventare sempre più piccolo, invisibile, quasi impercettibile.
Guardare l’ultra rappresenta, nella storia di una metafora individuale e collettiva, del tendersi e del ritrovarsi, un modo di guardare in un grande specchio, a volte calmo e piatto a volte adirato e spigoloso, come lo è ogni umore umano che in esso si riflette. Si tratta del grande agguato teso al nostro narcisismo, ma ad esso non possiamo né vogliamo sottrarci, forse perché ci ricorda la nostra origine liquida ancestrale, proprio come il nostro presente futuro.
Posto tra prendibile e imprendibile, dunque come limite, come confusione dell’azzurro con il blu, dell’acqua con l’aria, ma anche come antico e nuovo schermo mediatico in cui proiettiamo noi stessi, travestiti da altri, come se nel mischiamento delle identità potesse avvenire, con più forza e con più freschezza, un inno alla gioia, tra la forza irresistibile del mito, tutto sirene e nettuni e il solcare inesorabile delle grandi arche, nel cui cuore batte un cuore di diesel, dall’alito acre del petrolio.

Artisti 

Paolo Baratella Fabrizio Plessi Alessandro Bazan
Piero Guccione Mimmo Germanà Luca Pace
Marco Tirelli Claudio Bianchi Nora Lux
Felice Levini Giovanni Frangi Teresa Coratella
Maurizio Mochetti Claudio Abate Giovanni Iudice
Carlo Bertocci Giancarlino Corcos Vasco Bendini 
Cesare Galluzzo Tommaso Cascella Matteo Basilè
Vincenzo Marsiglia Giacomo Rizzo Michele Welke
Santolo De Luca Bruno Ceccobelli Franco Politano
Gianfranco Notargiacomo Baldo Diodato Andrea Lanzafame
Thorsten Kirchoff Giuseppe Modica Antonio Taschini
Dino Pedriali Mark Kostaby

Achille Pace Anteprima di 20 grandi opere della grande antologica che si terrà il prossimo anno.

Inaugurazione 1 agosto 2013

La sindrome di Lilliput - per una visione trasversale del piccolo formato


La sindrome di Lilliput

Per una visione trasversale del “piccolo formato”

Note a margine della Quinta Biennale del Piccolo Formato a cura di Rino Cardone presso la galleria Officina Solare di Termoli

La grandezza dell’arte non dipende dalle dimensioni dell’opera. E’ una frase scontata, quasi banale nella sua evidenza, ma oggi sembra vacillare. Il caso più famoso è quello della Gioconda. Il visitatore “tipo” del Louvre subisce file chilometriche per vedere anche solo per un secondo l’opera di Leonardo e, abituato all’utilizzo “pop” dell’immagine presentata su ogni supporto e in ogni grandezza, rimane irrimediabilmente deluso dagli appena 77 x 35 centimetri. Non coglie la profondità della ricerca pittorica, lo studio della prospettiva, la teoria degli “affetti” e la dinamica dei moti dell’animo: avvezzo a pensare in termini quantitativi, e non qualitativi, considera una beffa, quasi un affronto, quel piccolo formato perché impedisce la fruizione consumistica. In mezzo a tanti turisti l’opera, protetta da uno spesso vetro e isolata nella parete, non si vede, è un francobollo, e per fotografarla occorre sgomitare. Una volta realizzato uno scatto che non rivedrà mai il compito del visitatore “tipo” è terminato, e potrà andare alla ricerca di altre banalità turistiche; ma questo è un altro discorso che riguarda la storia del gusto. Per rimanere con l’esempio di Leonardo, pensando al suo Uomo vitruviano, si può affermare come l’arte sia un microcosmo che ci rimanda al macrocosmo, e che questo concetto sia raffigurato in un disegno di appena trenta centimetri ci fa riflettere sull’importanza del messaggio e del pensiero. Oggi l’arte contemporanea gioca molto sull’eccesso dimensionale, sull’esagerazione delle misure, sull’ingrandimento a dismisura di un particolare, sulla banalizzazione dell’invisibile e del celato col risultato che il messaggio principale, e unico, è dato esclusivamente dalla forma dell’emittente. Il messaggio dell’opera è l’opera stessa, o meglio la sua dimensione. C’è anche un altro problema. Più grande e titanica è l’opera, minore è il nostro grado di attenzione, poiché l’eccesso della visione, in mancanza di un sostrato teorico e tecnico sul quale ragionare, viene a decadere in un attimo. L’esasperazione del visibile contemporaneo non richiama il sublime bensì l’immondo. Le opere di piccole dimensioni, invece, ci obbligano ad avere una maggiore cautela, ci costringono a focalizzare lo sguardo e l’attenzione, ma anche ad affinare l’immaginazione e ad ampliare la nostra capacità di fruizione. Per il pensiero classico e rinascimentale la categoria di piccolo, ovvero equilibrato nella misura e nelle dimensioni, veniva a legarsi con l’armonia, il rigore, l’eleganza stilistica e la forza morale, in quanto era una sfida intellettuale col quale il pittore doveva cimentarsi. E nel cimento l’artista che risolveva la sfida con pregnanza di sintesi era ritenuto un maestro. Anche perché sostanzialmente il valore del piccolo formato, della “piccolezza” e minuzia della pittura, è dato sopratutto dall’abilità dell’artista come ci ricorda il famoso aneddoto narrato da Plinio il Vecchio.Apelle volle conoscere personalmente Protogene recandosi presso la sua casa a Rodi. Giunto a destinazione vi trovò un’anziana che l'avvertì della momentanea assenza del pittore. Apelle si diresse allora al cavalletto e prese un pennello con il quale dipinse una linea colorata estremamente fine; quando Protogene ritornò esaminando la linea capì che soltanto Apelle avrebbe potuto fare un lavoro così perfetto; disegnò una linea ancora più fine sopra la prima e chiese alla sua serva di mostrarla all'ospite se fosse ritornato. Quando Apelle tornò e gli fu mostrata la risposta di Protogene, dipinse con un terzo colore una linea ancora più fine fra le prime due, non lasciando posto per un'altra. Nel vedere questo, Protogene ammise la sconfitta e uscì per incontrare Apelle. «L’arte non riproduce il visibile, crea il visibile» diceva Klee: l’arte è effettivamente un microcosmo che trova giustificazione esclusivamente in se stesso e non dipende dalla grandezza e dalla misura. Se l’uomo è misura di tutte le cose, anche l’arte è tale? E’ qual è la misura dell’arte? Può l’infinito condensarsi in una forma e una sintesi dischiudere un mondo? Claudio Magris scrivendo dell’incredibile raccolta di Leopoldo Kostoris, che nel corso della vita aveva accumulato una collezione di più di 300 opere di piccolissimo formato (massimo 15 x 18 centimetri) di tutti i più grandi pittori contemporanei, utilizzava l’espressione «universo tascabile». In effetti un’opera di limitate dimensioni è proprio un universo in espansione, nella nostra mente, è un illogico dimensionale e un paradosso. E’ un qualcosa di simile alla meraviglia di Gulliver che si risveglia prigioniero di una razza di uomini alti sei pollici, i lillipuziani, in un mondo che gli si stringe attorno obbligandolo ad acuire la vista e a sviluppare i sensi. L’arte è una specie di sindrome di Lilliput che richiede la più alta forma di concentrazione per cogliere le infinite varianti e variabili interne. Come Micromega, il filosofo di Sirio, che utilizzando un diamante come microscopio con molta fatica si accorse sulla Terra dell’esistenza degli uomini, creature tanto piccole ma in grado di comunicare e produrre pensieri profondi, così per comprendere lo spessore di queste opere bisogna affinare lo sguardo, purificarlo, renderlo limpido come la superficie di un diamante. Solo abbandonando usurate categorie spaziali e temporali si può comprendere quel «processo di riduzione della realtà immaginifica» che non significa vuota sintesi bensì eccesso creativo. Del resto la virtù si cela sempre nei dettagli minimi, come ci ricorda, da La galeria, il buon vecchio Giambattista Marino: «Il buon è sempre poco per destino, / sempre nel poco gran valor si serra. / E quali in sé maggior virtù consepe, / un stronzo di somaro o un gran di pepe?».

 (Tommaso Evangelista)

Quinta Biennale del Piccolo Formato


QUINTA BIENNALE
DEL PICCOLO FORMATO

organizzazione: OFFICINA SOLARE GALLERY / CENTRO CULTURALE IL CAMPO

A CURA DI RINO CARDONE

con una testimonianza di TOMMASO EVANGELISTA

ARTISTI
Luca Alinari, Gianfranco Baruchello, Gastone Biggi, Ennio Calabria, Gaetano Carboni, Karmil Cardone, Nicola Carrino, Tommaso Cascella, Francesco Casorati, Christo, Michele Cossyro, Danilo De Mitri, Giulio De Mitri, Chiara De Iuliis, Cosmo Di Florio, Fabio Di Giannantonio, Pablo Ehaurren, ElleplusElle, Paolo Laudisa, Ettore Le Donne, Donato Linzalata, Sergio Lombardo, Carlo Lorenzetti, Lughia, Nguenya Valente Malangatana, Pompilio Mandelli, Gino Marotta, Vincenzo Mascia, Luigi Mastrangelo, Fabiola Mignogna, Ugo Nespolo, Hugo Orlando, Michele Peri, Luigi Petrosino, Lorenzo Piemonti, Concetto Pozzati, Renzogallo, Ernesto Saquella, Mario Sasso, Mario Serra, Salvatore Sebaste, Nazzareno Serricchio, Giacomo Soffiantino, Maria Teresa Sorbara, Mauro Staccioli, Antonio Tramontano, Valeriano Trubbiani, Wladimiro Tulli, Aldo Turchiaro.



13 / 25 luglio 2013

Inaugurazione sabato 13 luglio 2013 ore 22.00

OFFICINA SOLARE GALLERY
VIA MARCONI, 2 TERMOLI (ITALY)

apertura tutti i giorni 22.00 / 23.30



Rino Cardone. 

DINAMICHE DELL’”IPERSPAZIO AUTOPOIETICO” NELLE DIMENSIONI DEL “PICCOLO FORMATO”

La quinta edizione della “Biennale del piccolo formato” organizzata dell’Officina Solare Gallery di Termoli e dal Centro Culturale “Il Campo” di Campomarino si presta a una riflessione: sull’iperspazio delle opere di “ridotte dimensioni”, sulla contemporaneità artistica e sulle avanguardie creative, al tempo d’oggi. Essa si presta a questo genere di valutazione, non solo per l’attualità e la qualità delle opere esposte, ma anche per la piena rappresentatività degli artisti proposti e per il “processo di riduzione” della realtà immaginifica, attuato presentando, al pubblico, lavori di ridotte dimensioni.

In mostra sono opere di autori vari: ciascuno con un suo linguaggio, con una propria tecnica e con una specifica personalità artistica. Si passa dal figurativismo, all’informale, all’arte povera, abbracciando pure l’espressionismo astratto, il lirismo pittorico, l’astrattismo materico, la surrealtà magica e appariscente, la sensorialità visiva dei new media e il sinergismo, oggi, esistente tra la fotografia d’autore e i nuovi linguaggi creativi. I lavori proposti sono portatori di messaggi immaginari e immateriali, interfaccia tra il mondo chimerico, di sempre, che appartiene al pensiero dell’artista e quella realtà – tipica dell’arte contemporanea e delle avanguardie – divisa tra: una sempre più persistente applicazione della tecnologia, la riproducibilità tecnica, lo sbalordimento immaginifico, lametanarrazione linguistica e l’intertestualità creativa.

Quelle proposte sono delle opere d’arte molto stimolanti (sviluppate sulla “molteplicità espressiva” di un postmodernismo sempre più imperante, a livello di forme estetiche e di cultura di massa) che ben si prestano (sempreché si estendano le leggi universali della fisica, alle regole specifiche dell’estetica) a una riflessione: sui processi entropici (determinati dalla “semantica visiva”), sulle forze dissipative (indotte dal “messaggio immaginifico”) e sulle dinamiche autopoietiche (provocate da una “esperienza estetica” che, nell’epoca della svolta multimediale, si presenta in continuo movimento).

Per dimostrare questo teorema, occorre partire dall’assunto che nell’arte - come nella vita e nella storia - gli sviluppi si basano sulle “gestazioni”, profonde, ripetute, della realtà e, quindi, sulle lente “incubazioni” che subiscono le microenergie (intellettuali e materiali) che alimentano il mondo sensibile. Tali “gestazioni” del normale sviluppo della storia, si alimentano, in particolare, delle idee e dei fenomeni correnti, che a un dato momento, del tempo presente, subiscono una “impennata” profonda, violenta, capace di rinnovare verità, forma e sostanza, secondo la teoria espressa dal filosofo cileno Humberto Maturana.

Studi analoghi sono stati, pure, compiuti dal filosofo e pianista ungherese Ervin László (teorizzatore del punto di svolta della storia, da lui denominato come punto del caos) e poi, anche dallo zoologo e scrittore britannico Mark Ridley. I loro studi si pongono sull’onda lunga delle ricerche effettuate in origine (alla fine dell’Ottocento) dal naturalista britannico Charles Robert Darwin, i cui studi hanno impressionato, in maniera decisa e positiva, numerosi filosofi e studiosi di arte e letteratura, tra XVIII e XX secolo. E tra questi vi fu - tra i primi - il massimo esponente italiano della critica letteraria romantica Francesco De Sànctis, per il quale noi “concepiamo le cose, nel loro divenire, in relazione con le loro origini e con l’ambiente ove sono nate” e sempre per il quale “col progredire della civiltà, si moltiplicano gl’istrumenti dell’arte”.

Ne è un’interessante conferma, di queste due teorie del De Sànctis, la “Biennale del piccolo formato” - che si svolge nel Molise - dove la scelta delle opere, da parte dei curatori, è indirizzata verso lavori che esaltano la forma e la sostanza, all'interno di produzioni creative che (per le loro ristrette dimensioni) fungono da “accumulatori” di tensione estetica ed espansione stilistica. L’idea di fondo che ci piace perseguire - nell’illustrazione di questa mostra - è che tutto ciò che nell’arte si riconduce al senso del minuscolo e al valore dell’intimo, assume un aspetto amplificato di “meraviglia” e di “stupore” (nel senso dell’attribuzione del significato, dato al segno) e di “incanto” e di “stupefazione” (nel senso dello sviluppo espressivo dato alla figura, eseguita nel tempo e nello spazio). Tutto ciò si deve alle ridotte dimensioni di questi lavori, che non sono (ripetiamo: non sono) da interpretare come delle “opere preparatorie”, di altre ben più grandi, ma come “pezzi unici”, autonomi, esclusivi, destinati a essere fruiti per quel che sono, senza rimandi ad altre, possibili, “evenienze interpretative”.

Queste opere vivono – nella loro “assolutezza semantica” - in una sorta d’iperspazio estetico e di topos espressivo e significante, che rappresenta la bellezza tout court: la quale supera, a sua volta, il cronotopo della realtà (quello che s’identifica nella dimensionespaziotempo) concepito, quest’ultimo, tutt’intorno alle “estensioni geometriche” dellalunghezza, della larghezza e della profondità, cui si aggiunge (dal punto di vista estetico) la concezione di tempo assoluto e di tempo relativo (intesi, in questo caso, come “palcoscenico intellettuale” della proposta artistica). Possiamo riassumere, brevemente, questa idea nel pensiero del filosofo e scrittore tedesco Ernst Friedrich Schumacher, per il quale: “l’uomo è piccolo, e, pertanto, piccolo è bello”.

Ed è in questo concetto di alto valore umanistico dell’”uomo misura di tutte le cose”(volendo adottare la visione del filosofo greco Protagora) che sta il senso di un’arte non sviluppata per grandi dimensioni e che – esprimendosi intorno al “senso del ridotto” - sollecita lo spettatore a riflettere su un altro, altrettanto importante, teorema estetico, quello espresso dallo scrittore, storico dell'arte e psicologo tedesco Rudolf Arnheim, secondo il quale "qualunque cosa la mente umana si trovi a dover comprendere, l'ordine ne è un’indispensabile condizione". E la parola “ordine” – com’è noto - è sinonimo di equilibrio, compostezza, armonia e precisione, che riscontriamo nelle opere d’arte che sono presenti in questa quinta edizione della Biennale, molisana, del “piccolo formato”.

Questa stessa parola, ordine, fa il paio (dal punto di vista semantico e per quanto attiene le “espressioni creative” più in generale) con altri tre termini: stile, tecnica eformato, che sono, poi, le tre variabili dipendenti che contraddistinguono un’opera d’arte. Queste tre variabili dipendenti rispondono, a loro volta, alle leggi dell’estetica e alle modificazioni che subiscono, a mano a mano, le norme espressive, nel dipanarsi dei linguaggi creativi, all’interno della storia dell’arte. Quest’aspetto conferma che nell’evoluzione dei registri creativi e delle linee immaginifiche delle arti visive (pittura, disegno, fotografia, multipli d’autore ed espressioni multimediali e digitali) si passa, di continuo, da delle condizioni di stile già acclarate e formalizzate, a delle nuove espressioni di eleganza e di bellezza: che poi otterranno, in un secondo momento, una loro piena ufficializzazione nel campo della storia dell’arte.

E lo stesso accade in quei “percorsi evolutivi” che contraddistinguono la realtà etnoantropologica: nella quale si passa da una situazione di ordine prestabilito, a una dimensione di apparente confusione e disordine che prelude, a sua volta, a una condizione di trasformazione e cambiamento. Questo è ciò che accade, non solo nella società e nell’arte (sosteneva, al riguardo, lo storico dell’arte Ernst Hans Josef Gombrich che “l'arte nasce dall'arte e si sviluppa in alcune situazioni problematiche, alle quali l'inconscio dell'artista si adegua e contribuisce”) ma anche in natura, dove questo “fenomeno evolutivo” è spiegato con la teoria dell’entropia delle sorgenti, che governa lo sviluppo di un universo in continua trasformazione. Si passa, cioè, da stadi precedenti acondizioni conseguenti, di sempre maggiore stabilità, sfruttando lo “sconvolgimento” che si crea ogni qualvolta, si passa da una precedente condizione di equilibrio a uno stadio evolutivo superiore. Il passaggio intermedio - di tutto ciò - è una situazione di “scompiglio” transitorio che genera, di conseguenza, quelli che saranno gli assetti futuri e le nuove armonie della rinnovata condizione dell’essere.

Nel campo dell’arte, l’entropia - cui è sottoposto tutto il “sistema dell’effimero” - risponde a tre “gradi esperienziali”: l’estetica, la semantica e la pragmatica, che sono anche i tre codici valoriali che ritroviamo – tutti quanti - nelle opere degli artisti che espongono a questa quinta edizione della Biennale, molisana, del “piccolo formato” (guidata, da anni, dall’artista Renato Marini, cui si è affiancato - per l’edizione di quest’anno - un altro artista, Nino Barone).

A margine di queste considerazioni ricordiamo, anche, che all’estero, si svolgono due iniziative similari a quella del Molise: una a Maracay, in Venezuela e un’altra a Chamalieres, in Francia, dov’è rivolta una specifica attenzione alla tecnica dell’incisione. A Couvin, nel Belgio, è stato allestito, invece, un Museo, dedicato al “piccolo formato”.

Mentre in Italia crescono, di anno in anno, le attenzioni e le manifestazioni dedicate alle “ridotte dimensioni” delle opere d’arte. Va senz’altro ricordata, a questo proposito, la manifestazione intitolata “13 x 17: 1000 artisti per un'indagine eccentrica sull'arte in Italia”che si è svolta a latere della 51^ Biennale di Venezia (del 2005) a cura del critico d’arte Philippe Daverio e del gallerista Jean Blanchaert (che è entrata, ora, a far parte delleCollezioni d'Arte della Fondazione della Cassa di Risparmio di Bologna).

Di grande interesse risultano, anche, essere altre due iniziative dedicate, in questo caso, alla mail art. La prima si svolge a Morgano (in provincia di Treviso) in collaborazione con la Bienal Internacional Guarulhos do Pequeño (Brasile) e con l’Associazione Culturale Art Gallery Museum “NabilaFluxus” di Treviso. L’altra iniziativa - sempre indirizzata a proporre il linguaggio della mail art - si svolge a Montalbano Jonico (in provincia di Matera) dove a fare da modello di un Museo internazionale d’arte contemporanea, è stato costituito (sotto la guida dell’artista Giuseppe Filardi) uno Spazio Permanente, dedicato a “Melchiorre da Montalbano”: architetto e scultore, attivo nell’Italia meridionale dalla metà del Duecento.

Sempre dedicata al “piccolo formato”, è la proposta “partorita” - nella primavera del 2003 - dallo Spazio Zero di Gallarate (in provincia di Varese) dove l’Associazione Liberi Artisti ha realizzato un’interessante esposizione di opere 25x25. Ricordiamo che quest’associazione è stata fondata, nel 1977, dal pittore Silvio Zanella, al cui nome si riconduce la “Fondazione-Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea” che ha dato luogo al Museo del MAGA di Gallarate. Dopo la morte di Silvio Zanella (avvenuta nel 2003) l’Associazione Liberi Artisti è stata guidata dall’artista Marcello Morandini, cui si è affiancato, di recente, un altro operatore estetico, Ettore Ceriani.

Dal 1999 opera, invece, a Bologna l’Associazione culturale, no profit, “Piccolo Formato” che, negli anni, ha sviluppato numerosi progetti artistici e culturali, collaborando con artisti e fotografi impegnati in diversi ambiti creativi, avvalendosi del supporto di enti e istituzioni pubbliche.

mercoledì 10 luglio 2013

Eppure mi sento molisano - di Adelchi Battista


Giorni fa, una bella rivista molisana che si chiama ‘Il Bene Comune’, ha organizzato una registrazione televisiva in un teatro, nel quale alcuni esponenti della società civile hanno raccontato il loro sentirsi e il loro non sentirsi ‘molisani’. Questo, più o meno, il testo del mio intervento.

Io non mi sento molisano. Io lo sono, per diritto di nascita e per eredità storica. Mio padre è albanese, mia madre è vòlgare, nel senso che viene dal Volga, Volgàre o Bùlgara, mio nonno Longobardo, mia nonna Normanna, e i miei zii sono Svevi e Albanesi.

Il molisano non esiste, perché è la somma di decine di popoli, e io sono quella somma e quel risultato.

Io non mi sento molisano perché il mio paese, come gran parte dei paesi non sanniti e non romani del Molise è stato fondato dai monaci. I monaci vi hanno stanziato le famiglie che lavoravano in schiavitù, che si chiamasse conduma o livellaria, ovvero la decima parte del raccolto da donare sempre e comunque al monastero o all’istituzione religiosa, poi diventata una chiesa, una confraternita, un seminario, un partito, un vescovo. Io non mi sento molisano perché sono un laico in una terra posseduta dai preti.

Eppure mi sento molisano perché da laico so riconoscere la tradizione. Riconosco la possente e millenaria cultura che la religione ha portato nei borghi medioevali rimasti intatti e poi abbandonati, il culto dei santi che pesca a piene mani dal paganesimo romano, normanno, svevo e longobardo. Riconosco i culti celtici, vichinghi, slavi, saraceni e spagnoli, riconosco l’eco dell’intera Europa e del bacino Mediterraneo, e mi riconosco in questa tradizione perché essa mi ha formato ed educato, e mi ha fatto stare al mondo, lontano dal Molise ma orgoglioso della mia origine.

Ma come si fa a sentirsi molisani quando la statura storica della nostra terra è stata calpestata da ogni sorta di padrone, padrone del feudo, del latifondo, conte, duca, capo di famiglia potente? Laddove finì la schiavitù dei monaci, incominciò quella dei balivi, dei nobili, dei feudatari e dei prepotenti. Ancora adesso le famiglie potenti e prepotenti mi governano e impediscono la mia emancipazione, impediscono lo sviluppo della mia cultura millenaria, distruggono le mie bellezze naturali, devastano con ogni sorta di ammennicolo leguleio le mie terre, i miei pascoli, le mie antichissime strade, i miei castelli e le mie cattedrali, riducendo persino la bellezza dell’agone politico a uno squallido gioco di potere tra studi legali.

Perciò mi sento molisano, come molisani furono coloro che si ribellarono alla prepotenza romana, i molisani che si ribellarono alle scorrerie dei Saraceni, a quelle degli Svevi, ai borboni nel 1647 e nel 1799, i molisani che si ribellarono ai Savoia nel 1860 e agli angloamericani nel 1943-44.

Mi sento molisano, unico popolo dell’Italia repubblicana ad essersi autodeterminato 50 anni fa, e ancora capace di ribellarsi contro le belle parole del positivismo razionalista, contro lo sviluppo, l’industria, l’europa, il turismo di massa e tutte le stupidaggini che ogni volta ci vengono a raccontare, che sono la parte peggiore e deteriore della civiltà occidentale, quella che vorrebbe segarci in due con un’autostrada, i suoi tir, i suoi autogrill, il suo combustibile fossile e suoi fast food.

Quando tutto questo sarà una realtà nessuno di noi si sentirà più molisano, perché tutti saremo cittadini del mondo, ogni nostro dialetto sarà spazzato via dalla lingua dei computer e dei televisori, e noi saremo i perfetti consumatori del nulla, sudditi, morti ammazzati nel nome di un progresso finto che ci avrà azzerato nel Pensiero Unico. Saremo allora non molisani, ma annientati componenti del Villaggio Globale.

Ebbene io invece sono, mi sento e voglio essere molisano, cioè ribelle, refrattario, testardo e conservatore, non del privilegio di pochi o del potere del re, ma conservatore del bene e dei beni comuni, di tutti, perché il molisano vero lascia intatto il mondo, così come lo ha trovato.



mercoledì 3 luglio 2013

Pittura in Molise: luoghi e personaggi - Il nuovo numero di Archeomolise

Il numero 16 di Archeomolise, presto in distribuzione per gli abbonati, sarà un numero monografico, imperdibile, dedicato alla pittura in Molise. Curato da Dora Catalano e Roberta Venditto presenta una serie di articoli che ripercorrono la storia artistica molisana dal medioevo fino al contemporaneo.Come è scritto nella prefazione: "Si è scelto di offrire una rappresentazione della storia della pittura in Molise attraverso alcuni quadri scenici, di indagare alcuni momenti che abbiamo ritenuto esemplificativi. Ne è scaturita una rappresentazione in più atti, ognuno con il suo luogo ed il suo tempo".


Indice:

La pittura "in frammenti" a S. Vincenzo al Volturno, di Serena La Mantia e Pasquale Raimo
Donato a Gambatesa: uno speculum principis di maniera romana, di Roberta Venditto
Ciriaco Brunetti di Oratino, di Valentina Marino
Pietro Saja, di Dante Gentile Lorusso
Charles Moulin. Un'impressione critica, di Tommaso Evangelista
Intervista ad Achille Pace, di Vincenzo Merola

Oltre il Ponte - catalogo della mostra

Ho messo finalmente online il catalogo della mostra Oltre il Ponte. Omaggio a Giaime Pintor e ai caduti della Resistenza, collettiva d'arte al Museo delle Memorie di Rocchetta al Volturno, col patrocinio del comune, per la ricorrenza del 25 aprile 2010. E' una mostra alla quale sono particolarmente legato essendo stata la prima da me curata ed essendo tra le più belle e significative, con opere di grande qualità, e naturalmente con la presenza di Charles Moulin.


martedì 2 luglio 2013

Intervista a Franco Cappellari

Specializzato in reportage geografico e particolarmente attento al colore, Franco Cappellari, fotografo di Venafro, località molisana della provincia di Isernia, collabora con diverse riviste di viaggi ed enti ufficiali del turismo (Argentina, Venezuela, Sudafrica, Cina e così via). Dal suo racconto traspare l'importanza che sia il viaggio sia la fotografia rivestono nella sua vita professionale e non solo. Nikonista da sempre, si dedica anche alla fotografia sportiva, prediligendo gli sport d'azione, in particolare il rugby. Ama fare trekking, quindi lunghe passeggiate in montagna, andare in mountain bike e degustare vini (bianchi in estate, rossi in inverno). Autodidatta – l'interesse per il vino gli è stato tramandato dal padre – sarebbe probabilmente diventato un sommelier se non fosse stato definitivamente rapito dalla fotografia.

Sul tuo sito web si osservano bellissime fotografie aeree. Rientrano in un particolare progetto?
Più che di un solo progetto parlerei di progetti e committenti diversi. Delle immagini aeree che vedi pubblicate sul mio sito, alcune mi sono state per esempio commissionate dall'ente del turismo keniota per la realizzazione della campagna europea del Kenia.
Ho avuto qui la possibilità di sorvolare diverse aree, per quattro ore, a bordo dell'elicottero dei guardiaparco. Una esperienza indimenticabile anche perché la fotografia aerea è una delle mie più grandi passioni. Abbiamo quindi osservato dall'alto la Rift Valley e i laghi del Kenia, con milioni di fenicotteri che abbellivano ulteriormente il paesaggio. Oltre a questa esperienza, ne ho vissute altre simili in Venezuela, in Colombia e a Panama.

Ci si sposta sempre a bordo di un elicottero?
No, a volte si fotografa dall'aereo, altre volte dalla mongolfiera. In Venezuela ho volato a bordo di un Cessna.

Ci sono differenze fra un mezzo e l'altro? Dal punto di vista fotografico intendo...
Sì, qualche differenza c'è. La mongolfiera si sposta più lentamente, produce meno vibrazioni rispetto a un aereo o a un elicottero e soprattutto ti consente di lavorare in silenzio. Dal punto di vista tecnico quindi, cambiano le impostazioni della macchina da un mezzo di trasporto a un altro.


Tu quale preferisci?
L'elicottero, perché ti permette spostamenti rapidi e in ogni direzione, e di fotografare rimuovendo il portellone e utilizzando un'imbragatura. Si ha così un ampio raggio d'azione.

Hai in programma di fare altre fotografie aeree?
Assolutamente sì. Il progetto che ho in mente e per il quale ho già iniziato a lavorare, consiste nella pubblicazione di un libro composto di soli scatti aerei ripresi qui in Molise. Potrebbe chiamarsi “Molise from the Sky” ma non l'ho ancora deciso.

Dalle tue immagini traspare una grande passione per i viaggi. Esistono situazioni favorevoli e altre che lo sono meno?
Mi piace molto viaggiare, è vero. E mi ritengo fortunato perché durante i miei viaggi ho la possibilità di mettere in pratica l'altra mia passione, la fotografia. Due aspetti della mia vita, quindi, strettamente legati. Quanto alle situazioni più o meno favorevoli allo scatto, soprattutto quando sei lontano, direi che sono legate alla tranquillità del luogo, o al contrario, alle tensioni sociali o alla sua difficile situazione economica. Non ho mai vissuto per fortuna situazioni di grande disagio, forse perché, almeno in alcuni luoghi, come il Venezuela, faccio attenzione a muovermi con le dovute cautele.

Il Venezuela quindi richiede attenzione?
Sicuramente. Diciamo che se non hai alle spalle una scorta, diventa davvero difficile fotografare e soprattutto tornare sani e salvi a casa. Sai bene quanto Caracas, la capitale, sia pericolosa. Ricordo uno dei primi viaggi fatti per la Venetur, nel 2010, ente governativo del turismo venezuelano. Ci era proibito uscire dall'hotel senza la scorta, ci si muoveva in auto con i vetri oscurati e con mille precauzioni. Se consideri che lì si usa violenza per derubare il malcapitato di turno del telefonino o degli occhiali da sole, puoi immaginare cosa possa scatenare una fotocamera di valore.



Turisticamente parlando, potrebbe fare di più?
Molto, ma molto di più. Considerare enorme il potenziale turistico del Venezuela è riduttivo. Stiamo parlando di uno dei posti più belli del mondo, in termini paesaggistici e quindi fotografici. E non è solo lo splendido Mar dei Caraibi su cui si affaccia a renderlo tale: il Venezuela ha nella sua parte interna autentiche meraviglie naturali vedi la laguna delle cascate di Canaima nello stato del Bolivar. Senza considerare che sono i principali esportatori di petrolio al mondo: con la Fiesta da me affittata nell'ultimo viaggio, facevo il pieno con soli 50 centesimi.

Dove invece senti di esprimerti al meglio?
Mi sono trovato benissimo in Canada, in Argentina e in India. E anche in altri paesi come il Kenia e il Sudafrica. È importante ovunque usare il classico buon senso e svolgere il lavoro di fotografo con la giusta serenità.

Ho l'impressione che tu faccia poco uso del bianco e nero? Sbaglio?
No, non sbagli. A me piace il colore perché il mondo... lo vedo a colori! Credo che i colori siano quanto di più bello abbia creato il Padre Eterno. Ritengo che tanti posti meravigliosi della terra, ma anche tanti paesaggi italiani, perderebbero molto se fossero privati del colore. Certo esistono situazioni in cui si può rendere bene in bianco e nero, ma occorre trovare il soggetto giusto.

Del tipo?
Tipo i ritratti e alcuni paesaggi, semmai con cieli nuvolosi, quindi un po' drammatici. Ritrarre in bianco e nero un cielo terso, azzurro, ha veramente poco senso. 


Noto che da anni collabori con diverse riviste di viaggi? Quanto credi che sia cambiato nel tempo l'approccio alla fotografia da parte degli editori?
È cambiato molto e non sempre in meglio. Tra social network e siti web di confronto e condivisione fotografica – Flickr per farti un esempio -, diventa facile trovare fotografie on-line senza alcuna spesa o a fronte di costi molto bassi. Tutto ciò complica l'attività di noi fotografi che abbiamo sempre più difficoltà a vendere il nostro lavoro, seppur di alta qualità. Vanno inoltre scomparendo gli editori che commissionano lavori ben precisi per cui tocca a noi fotografi proporre e attendere una risposta positiva. Se consideriamo il segmento turistico, sono nate tante riviste di cui sinceramente non ricordo neanche i nomi, che non badano certo alla qualità, né dei testi, né delle immagini. È questo l'andazzo degli ultimi tempi.

Sembri un fotografo davvero versatile. Da quale genere fotografico ti senti particolarmente attratto e da quale meno?
Personalmente penso che un fotografo che voglia definirsi tale, debba essere in grado di fotografare, più o meno bene, in tutte le situazioni. Non metto in dubbio tuttavia che a ognuno resti la propria specializzazione, nel mio caso il reportage di viaggio e in seconda battuta lo sport, il rugby in particolare. Se dovessi citarti invece un genere di fotografia con la quale non mi cimento, è la fotografia di matrimonio. La fotografia devo sentirla dentro altrimenti preferisco non scattare. Ho fatto in tutto tre matrimoni in vita mia, di cui due di amici, senza compenso ma per puro piacere, e uno, a Roccamandolfi (comune del Molise, ndr), perché in costume d'epoca. È stata questa un'esperienza particolare, voluta dallo sposo, Tonino Scasserra, storico del costume, poiché tutti gli invitati erano vestiti secondo lo stile molisano antico.






Taccuini d'artista - I percorsi nascosti della creattività a Campobasso



TACCUINI D’ARTISTA"I PERCORSI NASCOSTI DELLA CREATTIVITA" Archivio Internazionale “Taccuini d'Artista” di Donato Di Poce ( 130 Artisti – in rappresentanza di 13 nazioni) MOSTRA INTERNAZIONALE ITINERANTE c/o Campobasso, AxA – Palladino Company Catalogo, Palladino Editore 07 Luglio al 28 Luglio , 2013 – Inaugurazione Domenica 07 Luglio ore 20,00 Con performance musicale di PEPPE RENNE Installazione LA STANZA DI ARLES e I Taccuini di Van Gogh di Mauro Rea 
A cura di Donato Di Poce e Mauro Rea.
Direttore artistico, Mauro Rea


ESTRATTO DELL'INTRODUZIONE DI DONATO DI POCE

"il "taccuino d'artista" e' tante cose: non solo e non piu' un diario, non sempre e non ancora un libro d'artista, non solo un insieme d'idee o una "poesia visiva", qualcosa di piu' di un "Carnet de voyage" o di uno "Cahier" delle intenzioni, poi potrei dire che e' una lavagna magica di memoria e di desiderio e un feticcio artistico, ma che e' soprattutto:

Una grammatica di icone, segni e scritture 
La genesi inconscia di un fondamentale e nuovo medium comunicativo
Un'azione creativa e un libro di sogni
Un esercizio di liberta', creativita' e d'intimita' con il mondo

Se, poi mi chiedessero: Qual e' l'importanza storica e la novita' estetica dei taccuini? Dovrei rispondere che il taccuino d'artista forse e' la piu' importante novita' stilistica contemporanea, ma e' allo stesso tempo una riscoperta di un medium che gia' nel Rinascimento con Leonardo da Vinci aveva trovato il suo piu' geniale interprete, in cui l'artista ascolta il suo respiro e inventa il suo linguaggio" (Continua...)
Elenco Artisti Partecipanti: Autore Nazionalità

Acquati Wallendorf Elena Germania
Ardau Barbara / Mimmo Di Caterino Italia
Angeli Sergio Italia
Antonucci Alessandro Italia
Apostolo Roberto Italia
Balena Vincenzo Italia
Beeme Josè Spagna
Bello Marisa/Spagnul Giuliano Italia
Bencini Ennio Italia
Blaiotta Gaetano Italia
Boschi Anna Italia
Briganti Catia Italia
Butte Aube Italia
Caremi Angela Italia
Carlotta Carmen Italia
Casiraghy Alberto Italia
Cerri Giovanni Italia
Cibaldi Silvia Italia
Cinini Ferdinando Italia
Classe III F Q.Di Vona (MI) Italia
Colantoni Domenico Italia
Colnaghi Franco Italia
Colucci Gerardo Italia
Conti Carlo Marcello Italia
Conti Paolo Italia
Costanzo Giancarlo Italia
Cotelessa Giuliano Italia
Crisanti Giulio Italia
D'Onofrio Sara Italia
Danelli Maria Elena Italia
De Santis Nico Italia
Di Poce Donato Italia
Di Poce/Fettolini/Mariani Italia
Donorà Luigi Italia
D'Orazio Paolo Italia
Dossi Fausta Italia
Dossi Roberto Italia
Epeo Italia
Falco Marina Italia
Fadini Luciano Italia
Fedi Fernanda Italia
Fehr Gretel Italia
Ferrario Anny Italia
Fettolini Armando Italia
Formenti Raffaella Italia
Franco Manuela Italia
Gallingani Alberto Italia
Gatto Agnese Italia
Gabriele Sergio Italia
Geranio Massimo Italia
Gini Gino Italia
Gismondi Federico Italia
Giunta Valeria Italia
Gregorovich Nevia Italia
Guaricci Enzo Italia
Izumi Oki Giappone
Korporal Maria Olanda
Korzekwa Cynthia America
Lauria Anna Italia
Lee Chen Cina
Lentini Alfonso Italia
Liuzzi Oronzo Italia
Lombardi Mara Italia
LOME ( Lorenzo Menguzzato) Italia
Lorandi Tania Belgio
Magnabosco Nadia Italia
Manzoni Gian Ruggero Italia
Mariani Luigi Italia
Martin Monica Italia
Mastropaolo Cinzia Italia
Massaro Pietro Italia
Medda Italo Italia
Mazzini Manuela Italia
Merini Alda Italia
Mesch Maria Germania
Micozzi Maria Italia
Miglietta Enza Italia
Milot Mirashi Alfred Albania
Minedi Gabi e Maria Patrizio Italia
Mitrano Annalisa Italia
Montenero Riccarda Italia
Taccuino della Mostra di Soncino Italia
Nasseredine Alì Libano
Orazio Gaetano Italia
Pace Achille Italia
Pagani Elisabetta Italia
Pecci Guido Italia
Pezzuco Francesco Italia
Picariello Antonio Italia
Piselli Mario Italia
Plevano Roberto Italia
Porzano Giacomo Italia
Porta Catherine Svizzera
Prota Giurleo Antonella Italia
Ragozzino Luciano Italia
Rea Mauro Italia
Rinaldi Franco Italia
Rizzi Alina Italia
Rosi Chiara Italia
Rossi Di San Polo Claudia Italia
Sacheli Enzo Italia
San Tina Italia
Sangermano Paolo Italia
Savoi Alba Italia
Sergi Stefania Italia
Sergio Gianfranco Italia
Serra Mario Italia
Sbarbati Stefania Italia
Schatz Evelina Russia
Selvetti Miriam Italia
Soddu Stefano Italia
Stradivarius Italia
Tamegaya Fumiyo Giappone
Ubaldi Roberta Italia
Vetrano Marzia Italia

Il taccuino di Achille Pace

lunedì 1 luglio 2013

Le pitture rupestri di Civitanova del Sannio

E così in Molise abbiamo anche una serie di pitture rupestri scoperte recentemente a Civitanova del Sannio


Promosso dal Comune di Civitanova del Sannio (IS), in collaborazione con la Direzione Regionale del Molise (MBC) e l’Università degli Studi di Ferrara, il 5 luglio 2013, a partire dalle ore 10, nell’Auditorium comunale, avrà luogo la presentazione delle risultanze della ricerca, coordinata dall’Università degli Studi di Ferrara e condotta in Località Morricone del Pesco di Civitanova del Sannio dalla Cooperativa archeologica “Le Orme dell’Uomo”, dal titolo “Pitture rupestri Preistoriche e Protostoriche nel Riparo Morricone del Pesco a Civitanova del Sannio”. Vi prenderanno parte il Sindaco Lidia Iocca, il Presidente della Provincia di Isernia Luigi Mazzuto, il Presidente del Consiglio regionale Vincenzo Niro ed il Direttore regionale dei Beni Culturali del Molise Gino Famiglietti. A relazionare saranno invece Gino Lastoria, civitanovese cui si deve la segnalazione nella primavera del 2011 di un’ampia parete rocciosa recante incisioni e pitture rupestri, appartenenti probabilmente al tardo Paleolitico, ed i professori Dario Sigari e Carlo Peretto dell’Università degli Studi di Ferrara. Media partner la Volturnia Edizioni di Cerro al Volturno (IS), alle 11.30 è prevista anche una escursione-visita al sito, raggiungendo, nelle adiacenze del Tratturo Lucera-Castel di Sangro e nella citata Località Morricone del Pesco, la parete rocciosa che funge da “riparo” (lunghezza 8 metri circa e profondità massima 2) per quattro raggruppamenti principali di pitture di colore nero ed incisioni, che sono state oggetto di indagine.

ALL’OMBRA DEL RIPARO (dalla relazione della Cooperativa archeologica “Le Orme dell’Uomo”, che ha condotto la ricerca)

Pur se in cattivo stato di conservazione, sulla parete rocciosa si riconoscono almeno quattro figure dipinte di animali, che consentono un confronto cronologico e culturale con altri ritrovamenti europei. Nello specifico è possibile ricondurre ad una probabile fase del tardo Paleolitico una figura zoomorfa, tracciata a linea di contorno di dimensioni ridotte (12x8 cm) con pigmento anche interno al dorso, che ne accentua il carattere naturalistico. Inoltre si annovera la traccia di una raffigurazione schematica ad andamento obliquo (4,5x5,5 cm), con un asse centrale da cui dipartono quattro coppie di segmenti tra loro subparalleli , il cui riferimento a contesti neolitici è possibile grazie al confronto con quanto rinvenuto nella Grotta dei Cervi di Porto Badisco in provincia di Lecce. Altre pitture, sempre su base stilistica, possono essere ricondotte all’Età del Ferro, in particolare, almeno tre figure di animali (mediamente di 20x20 cm), di cui una è palesemente un equide. Analisi spettroscopiche sui pigmenti consentono di affermare che la figura più arcaica è stata realizzata con ematite. Dunque […] il riparo Morricone del Pesco, oltre ad essere il primo con attestazioni di arte rupestre trovato in Molise, allargherebbe ulteriormente i confini delle manifestazioni artistiche dei nostri antenati nell’Italia centro-meridionale, segnalando testimonianze artistiche già in una fase del Paleolitico superiore.

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