E' la seconda delle mostre minimalanimal : " leggera retrospettiva - studio out " durante le quali l'artista incontra giovani e studenti per un confronto sulle tematiche dell'arte contemporanea. In particolare "il bisogno di acqua" (olio di motore usato che galleggia su acqua in plexiglass) affronta la tematica sociale dell'utilizzo sostenibile delle risorse in rapporto ai cambiamenti climatici.
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Minimalanimal. La
personale di Elio Franceschelli a Palazzo Orlando
Si è inaugurata il 5 marzo presso
la prestigiosa sede di Palazzo Orlando la mostra Minimalanimal del’artista
isernino Elio Franceschelli. L’esposizione, che ha come sottotitolo “studio out
leggera retrospettiva 1990-2010”, è l’omaggio dell’artista alla sua città e
momento di riflessione, e di ricapitolazione, sugli ultimi suoi vent’anni di
carriera. In questo senso va recepito un allestimento che non punta tanto allo
schematismo tematico, ma cerca la sorpresa, lo stupore che deriva
dall’abbondanza di opere esposte sui tre piani del palazzo. Un vero e proprio
“studio fuori”, con quella sensazione di work in progress che solo i famosi
loft newyorkesi sanno trasmettere ma che Elio, che tra l’altro in un loft a New
York ha vissuto e lavorato, è riuscito a restituire. Effetto spaesante, dunque,
ma anche tanta concretezza poiché, di parete in parete, riusciamo a renderci
conto del lavoro dell’artista e della sua evoluzione attraverso l’ultimo ventennio.
Il risultato è un’autentica sorpresa, o una scoperta per chi non conoscesse
ancora le sue opere. Elio è, probabilmente, tra i più innovativi artisti della
regione e le sue ricerche nel campo dell’arte contemporanea non hanno nulla da
invidiare al panorama internazionale.
Tra i primissimi studi segnalo la serie
“estensioni”, riflessione sul concetto di spazio e di luogo, con le opere che
diventano filtro tra reale e percepito. L’uso di molle, diversamente tese,
permette infatti giochi ottici ed effetti di luci ed ombre dalla spiccata
valenza pittorica, nonché simbolica in quanto le tensioni possono essere intese
come reali o metaforiche. Seguono i lavori sui sacchi e sulle tele che, oltre a
richiamare naturalmente le ricerche di Burri, sono originali in quanto indagano
la “mediterraneità” della materia e del supporto che, essendo materiale umile e
legato al lavoro e alla fatica, si presta a rendere, per analogia, l’immagine
di un sud vitale e caldo. Anche quando sui sacchi compaiono delle scritte,
lontanamente pop, il gesto e la parola sono sempre in relazione con l’uomo e il
suo vissuto. Nei sacchi l’artista lavora con coscienza critica elaborando la
propria esperienza in una povertà materica che non si traduce mai in povertà
spirituale, anzi l’idea viene esaltata proprio dalla precarietà del supporto
che diventa palinsesto di memorie. Si arriva così alla sua ricerca può
originale e personale, quella sui cosiddetti olii combusti, intrapresa a
partire dal 1994. Oil on water, ovvero l’unione-scontro tra tecnologia e
natura, nord e sud del mondo, freddo-caldo. In queste vere e proprie
installazioni, a volte serializzate altre volte isolate, in recipienti di
plexiglass viene inserito dell’olio di motore usato e dell’acqua colorata;
l’olio tende a salire creando di fatto una divisione netta con l’elemento
dell’acqua. Abbiamo così dei neri profondissimi e dei colori “acquatici” e
caldi che vi si contrappongono, poiché ciò che tenta l’artista è la ricerca di
quell’equilibrio che l’uomo tecnologico ha interrotto. L’olio, inteso come
prodotto di utilizzo, è sottratto alla polluzione e adoperato come materiale
artistico di un discorso minimale e sentito. Anche qui ritorna il concetto di
resistenza, in quanto l’acqua resiste, col suo diverso peso specifico,
all’invadenza del liquido nero e, così facendo, preserva, colorata, la
dimensione umana della gioia, tipicamente meridionale. Il linguaggio dell’olio,
però, non è così serializzato come potrebbe apparire.
Nelle teche di
plexiglass, infatti, assistiamo a diverse modalità di unione tra i due elementi
che diventano differenti rese grafiche: c’è la netta e speculare separazione
tra nero e colore, oppure il nero prende il sopravvento (o viceversa); a volte
si formano delle linee quasi ad evocare forme sensuali di paesaggi collinari;
altre volte, infine, l’olio macchia il colore, penetra dentro sporcandone la
purezza e creando striature e venature dense e materiche. In questa linea di
ricerca vanno collocati anche gli “Oblò”, i “Collettori” e le “Mask” che di
fatto è la sua ultima ricerca in perfetta continuità con il discorso sull’olio,
in quanto le mascherine sono intese come ultima forma di resistenza alla sua combustione.
Intere pareti in mostra, colorate esplicitamente per l’occasione, accolgono teorie di mascherine che da un lato
guardano al design e dall’altro all’attualità. Icone di una civiltà
tecnocratica che annulla l’individuo relegandolo al ruolo di passivo “fruitore”
di veleni con pochi mezzi da opporre. In antitesi a tali opere, però, troviamo
il mondo del colore, quello che Elio chiama il “Festival del Sud”, dove non è
più la linea, minima, a farla da padrone, ma la superficie. Campiture
cromatiche che nascondono lo spazio ma ci parlano di un ottimismo di fondo che,
pur nella fine, non viene mai a mancare. Serie quasi ininterrotte di riquadri
colorati ci fanno dimenticare la pratica della bruciatura che ha come effetto
esclusivamente il nero e, anche nel rigore dell’impaginazione, ci riportano ad
una passionalità che vuole superare il presente e l’incapacità dell’uomo di
guardare oltre il profitto. Arte sociale, quindi, in un discorso concettuale ed
elegantissimo, dove per una volta il rapporto squilibrato dell’essere umano con
il mondo sembra essere invertito a favore di un’unità di fondo e di una
speranza. La bruciatura e combustione dell’olio permette il progresso ma genera
scompenso e danno in quanto il progresso punta sempre in una direzione,
marginalizzando il resto del mondo; l’olio è metafora di tutto ciò ma, nelle
mani dell’artista, diventa elemento di ri-equilibrio, denso di significati. Minimale
e immediata la mostra, ricchissima di opere, presenta tanti altri spunti: il
tema del riuso e del riciclaggio degli scarti, il tentativo dell’artista contro
l’annichilimento tecnocratico, la ricerca della meditterraneità e del colore
del sud, l’analisi quasi scientifica della materia, il prodotto-merce-scarto
inserito in un’ottica estetica, la ricerca di un equilibrio di fondo che sa
tanto di design ma che si esprime con un’arte pura e autentica.
La mostra,
patrocinata dal comune di Isernia e dall’assessorato alla cultura, vista
l’affluenza di pubblico e il successo, è stata prolungata anche per il mese di
arile e resterà aperta tutti i giorni dalle 11 alle 13 e dalle 17 alle 20. Sono
previsti inoltre convegni e incontri-visite con le scolaresche che avranno modo
di fruire, per una volta, di una mostra dal respiro internazionale e con tanti
contenuti sui quali riflettere. Minimalanimal non è, pertanto, solo il
soprannome, curioso, che l’artista ha ricevuto negli Stati Uniti, ma anche il
tentativo di un legame tra arte e istinto, occasione per una relazione non
banale tra la creatività e il presente nel segno di un ottimismo di fondo.
Tommaso Evangelista su Il Bene Comune Aprile 2011
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