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lunedì 14 maggio 2012

Elio Franceschelli - Minimal-Animal al liceo Romita



E' la seconda delle mostre minimalanimal : " leggera retrospettiva - studio out " durante le quali l'artista incontra giovani e studenti per un confronto sulle tematiche dell'arte contemporanea. In particolare "il bisogno di acqua" (olio di motore usato che galleggia su acqua in plexiglass) affronta la tematica sociale dell'utilizzo sostenibile delle risorse in rapporto ai cambiamenti climatici.

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Minimalanimal. La personale di Elio Franceschelli a Palazzo Orlando

Si è inaugurata il 5 marzo presso la prestigiosa sede di Palazzo Orlando la mostra Minimalanimal del’artista isernino Elio Franceschelli. L’esposizione, che ha come sottotitolo “studio out leggera retrospettiva 1990-2010”, è l’omaggio dell’artista alla sua città e momento di riflessione, e di ricapitolazione, sugli ultimi suoi vent’anni di carriera. In questo senso va recepito un allestimento che non punta tanto allo schematismo tematico, ma cerca la sorpresa, lo stupore che deriva dall’abbondanza di opere esposte sui tre piani del palazzo. Un vero e proprio “studio fuori”, con quella sensazione di work in progress che solo i famosi loft newyorkesi sanno trasmettere ma che Elio, che tra l’altro in un loft a New York ha vissuto e lavorato, è riuscito a restituire. Effetto spaesante, dunque, ma anche tanta concretezza poiché, di parete in parete, riusciamo a renderci conto del lavoro dell’artista e della sua evoluzione attraverso l’ultimo ventennio. Il risultato è un’autentica sorpresa, o una scoperta per chi non conoscesse ancora le sue opere. Elio è, probabilmente, tra i più innovativi artisti della regione e le sue ricerche nel campo dell’arte contemporanea non hanno nulla da invidiare al panorama internazionale. 
Tra i primissimi studi segnalo la serie “estensioni”, riflessione sul concetto di spazio e di luogo, con le opere che diventano filtro tra reale e percepito. L’uso di molle, diversamente tese, permette infatti giochi ottici ed effetti di luci ed ombre dalla spiccata valenza pittorica, nonché simbolica in quanto le tensioni possono essere intese come reali o metaforiche. Seguono i lavori sui sacchi e sulle tele che, oltre a richiamare naturalmente le ricerche di Burri, sono originali in quanto indagano la “mediterraneità” della materia e del supporto che, essendo materiale umile e legato al lavoro e alla fatica, si presta a rendere, per analogia, l’immagine di un sud vitale e caldo. Anche quando sui sacchi compaiono delle scritte, lontanamente pop, il gesto e la parola sono sempre in relazione con l’uomo e il suo vissuto. Nei sacchi l’artista lavora con coscienza critica elaborando la propria esperienza in una povertà materica che non si traduce mai in povertà spirituale, anzi l’idea viene esaltata proprio dalla precarietà del supporto che diventa palinsesto di memorie. Si arriva così alla sua ricerca può originale e personale, quella sui cosiddetti olii combusti, intrapresa a partire dal 1994. Oil on water, ovvero l’unione-scontro tra tecnologia e natura, nord e sud del mondo, freddo-caldo. In queste vere e proprie installazioni, a volte serializzate altre volte isolate, in recipienti di plexiglass viene inserito dell’olio di motore usato e dell’acqua colorata; l’olio tende a salire creando di fatto una divisione netta con l’elemento dell’acqua. Abbiamo così dei neri profondissimi e dei colori “acquatici” e caldi che vi si contrappongono, poiché ciò che tenta l’artista è la ricerca di quell’equilibrio che l’uomo tecnologico ha interrotto. L’olio, inteso come prodotto di utilizzo, è sottratto alla polluzione e adoperato come materiale artistico di un discorso minimale e sentito. Anche qui ritorna il concetto di resistenza, in quanto l’acqua resiste, col suo diverso peso specifico, all’invadenza del liquido nero e, così facendo, preserva, colorata, la dimensione umana della gioia, tipicamente meridionale. Il linguaggio dell’olio, però, non è così serializzato come potrebbe apparire. 
Nelle teche di plexiglass, infatti, assistiamo a diverse modalità di unione tra i due elementi che diventano differenti rese grafiche: c’è la netta e speculare separazione tra nero e colore, oppure il nero prende il sopravvento (o viceversa); a volte si formano delle linee quasi ad evocare forme sensuali di paesaggi collinari; altre volte, infine, l’olio macchia il colore, penetra dentro sporcandone la purezza e creando striature e venature dense e materiche. In questa linea di ricerca vanno collocati anche gli “Oblò”, i “Collettori” e le “Mask” che di fatto è la sua ultima ricerca in perfetta continuità con il discorso sull’olio, in quanto le mascherine sono intese come ultima forma di resistenza alla sua combustione. Intere pareti in mostra, colorate esplicitamente per l’occasione,  accolgono teorie di mascherine che da un lato guardano al design e dall’altro all’attualità. Icone di una civiltà tecnocratica che annulla l’individuo relegandolo al ruolo di passivo “fruitore” di veleni con pochi mezzi da opporre. In antitesi a tali opere, però, troviamo il mondo del colore, quello che Elio chiama il “Festival del Sud”, dove non è più la linea, minima, a farla da padrone, ma la superficie. Campiture cromatiche che nascondono lo spazio ma ci parlano di un ottimismo di fondo che, pur nella fine, non viene mai a mancare. Serie quasi ininterrotte di riquadri colorati ci fanno dimenticare la pratica della bruciatura che ha come effetto esclusivamente il nero e, anche nel rigore dell’impaginazione, ci riportano ad una passionalità che vuole superare il presente e l’incapacità dell’uomo di guardare oltre il profitto. Arte sociale, quindi, in un discorso concettuale ed elegantissimo, dove per una volta il rapporto squilibrato dell’essere umano con il mondo sembra essere invertito a favore di un’unità di fondo e di una speranza. La bruciatura e combustione dell’olio permette il progresso ma genera scompenso e danno in quanto il progresso punta sempre in una direzione, marginalizzando il resto del mondo; l’olio è metafora di tutto ciò ma, nelle mani dell’artista, diventa elemento di ri-equilibrio, denso di significati. Minimale e immediata la mostra, ricchissima di opere, presenta tanti altri spunti: il tema del riuso e del riciclaggio degli scarti, il tentativo dell’artista contro l’annichilimento tecnocratico, la ricerca della meditterraneità e del colore del sud, l’analisi quasi scientifica della materia, il prodotto-merce-scarto inserito in un’ottica estetica, la ricerca di un equilibrio di fondo che sa tanto di design ma che si esprime con un’arte pura e autentica. 
La mostra, patrocinata dal comune di Isernia e dall’assessorato alla cultura, vista l’affluenza di pubblico e il successo, è stata prolungata anche per il mese di arile e resterà aperta tutti i giorni dalle 11 alle 13 e dalle 17 alle 20. Sono previsti inoltre convegni e incontri-visite con le scolaresche che avranno modo di fruire, per una volta, di una mostra dal respiro internazionale e con tanti contenuti sui quali riflettere. Minimalanimal non è, pertanto, solo il soprannome, curioso, che l’artista ha ricevuto negli Stati Uniti, ma anche il tentativo di un legame tra arte e istinto, occasione per una relazione non banale tra la creatività e il presente nel segno di un ottimismo di fondo.

Tommaso Evangelista su Il Bene Comune Aprile 2011


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