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martedì 2 agosto 2011

Ferhat Ozgur e il Molise

"Un'Espressione Geografica" è una mostra prodotta dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e curata da Bonami. La formula, per i 150 anni della nazione, è quella di inviare un artista internazionale in ogni regione, sotto la guida di un curatore locale, e poi esporre i lavori frutto di quell'esperienza. Al Molise è toccato il turco Ferhat Ozgur e questi sono i suoi lavori ispirati ai Misteri.




ITALIA 2011

arte e paesaggi Frammenti di presente, pezzi di passato. Venti artisti raccontano anarchicamente il nostro paese, regione per regione. Risultato? Una grande mostra di opere personalissime, instabili e irriverenti (dal 19 maggio a Torino) 
Foto courtesy degli artisti
Ricordate la cartina politica dello stivale divisa in quelle forme colorate in rosa, verdino, giallo, azzurro, sempre appesa dietro le foto di classe? Era un'Italia bidimensionale e semplice, divisa in venti regioni, una vicina all'altra, separate da una sottile linea tratteggiata e perfettamente coincidenti come le tessere di un puzzle: è così che ce l'hanno insegnata a scuola e noi davamo per scontato che sarebbe sempre stata così, piana e comprensibile. Eppure oggi che l'identità italiana è tornata a essere una questione spinosa, ci ricordiamo che lo è sempre stata: forse perché dall'altra parte della mappa tutte quelle montagne, fiumi, vallate, isole e penisole, quelle coste frastagliate e scoscese hanno reso il nostro paese poco incline alla semplicità. Il primo a sottolinearlo fu il ministro austriaco Metternich, che nel 1847 definì l'Italia "un'espressione geografica": a dire che per fare un nazione ci vuole ben altro che un collage di pezzi di terra e qualche poeta sparso qua e là. Se la presero in molti, a quei tempi: tanto che la frase incriminata divenne uno degli slogan delle rivoluzioni del '48. Oggi invece, a dribblare nazionalismi, idelogismi e federalismi un po' cialtroni, ma anche quelle celebrazioni centocinquantenarie sbiadite come il compleanno di una vecchia zia, ci pensa un curatore fiorentino globalizzato nel museo di una signora torinese che al posto dello zerbino usa il tappeto di Cattelan a forma di Formaggio Bel Paese: Francesco Bonami porta infatti alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, una mostra intitolata proprio come la famosa e vituperata frase di Metternich, "Un'Espressione Geografica". "Sono partito dall'idea che la disunità e la diversità, quella linguistica e quella culturale, quella territoriale e quella umana, sono la nostra principale ricchezza", dice mentre si sposta tra New York, Firenze e chissà dove. "Anche sulle monete americane, in fondo, c'è scritto E Pluribus Unum, dalla moltitudine una cosa unica. Così ho invitato venti artisti che vivono e lavorano in Europa a fare un viaggio alla scoperta dell'Italia che non esportiamo all'estero: più sconosciuta, meno modaiola ma più interessante. E loro, senza pregiudizi e senza snobismi intellettuali, sono andati a scovare uno zoccolo duro dell'Italia regionale fatto di persone, usi, tradizioni, dettagli che noi per primi non conosciamo o che abbiamo incautamente dimenticato. Per poi magari andare fino in America a cercare il mito dell'on the road". Concepita come una specie di lotteria - a ciascun artista è stata assegnata, a sorteggio, una delle venti regioni d'Italia - ma anche come un viaggio goethiano contemporaneo, questo progetto iniziato quasi un anno fa ha portato i nostri venti in giro per l'Italia con l'autorizzazione a uscire dalle rotte e a perdere tempo, a soffermarsi sui dettagli anziché sul disegno d'insieme, a seguire le tracce del territorio, del proprio immaginario, di quella parte di sé che si ritrova quando si vedono cose nuove e inaspettate. E loro hanno eseguito il compito con anarchica determinazione, riportando frammenti di presente e pezzi di passato, dettagli nascosti o meraviglie sotto gli occhi di tutti, trasformati in opere personalissime, instabili, irriverenti. I graffiti sui muri dell'università occupata e i vecchi banchi di una scuola romana degli anni Quaranta; l'ultimo ristorante dove Pasolini cenò e i segni misteriosi della civiltà camuna; una villa palladiana e il gradino del santuario di Loreto dove i pellegrini hanno lasciato traccia del loro passato; i tetti di paglia delle case altoatesine e gli occhi scavati nella pietra che guardano dai muri di un palazzo torinese; il giardino botanico di Napoli e le lavagnette con i numeri della smorfia: i lampi di visioni dei venti viaggiatori che hanno prima immaginato, poi guardato, poi raccontato l'Italia non si incastreranno mai nel puzzle rassicurante di una cartina geografica. Piuttosto in un mosaico fatto di innumerevoli tessere dove l'Italia è al tempo stesso più locale e più globale di come siamo abituati a figurarcela, uno stratificarsi di storie, di passaggi, di fili rossi intrecciati con l'Europa e col mondo: un affascinante, quasi illeggibile enigma che gli artisti sintetitizzano in simboli e immagini potenti. Ferhat Ozgur arriva dalla Turchia: e non si aspettava che Campobasso somigliasse così tanto ad Ankara. Ma soprattutto che in Molise esistessero viadotti come quelli di una megalopoli americana che portano a villaggi sperduti di pastori e stradine che si inerpicano su per i monti, che le pale eoliche futuristiche potessero convivere con le celebrazioni di misteri religiosi ancora medioevali: e porterà a Torino un coltello lungo 9 metri preso a prestito da un museo locale, simbolo di un geniale artigianato che sta per scomparire. Poi c'è la Campania vista con gli occhi di chi, come Gabriel Kuri, la trova più caotica di Città del Messico (la sua città d'origine): e pensa che "l'ossessione per la lotteria, i codici linguistici della smorfia e quelli della camorra nascano dal desiderio di controllare il caos". Un caos che domina tutto: la storia, le istituzioni, il linguaggio, e che lui sintetizza in foto di numeri scritti ossessivamente e di piante classificate con certosina dedizione nel giardino botanico di Napoli. Della Valle d'Aosta la fotografa coreana Sunah Choi non guarda le strepitose montagne: bensì l'invisibile lavoro per rette e orizzontali che l'uomo ha messo nel costruire muri di case che potessero opporre con la loro simmetria il senso di un'ordine come contraltare all'incombenza di una natura estrema. Mentre l'inviato in Lombardia Ibon Aranberri ignora felicemente città, industrie e design. E va alla ricerca delle tracce preistoriche dei graffiti della Val Camonica: per scoprire che la rosa camuna è stato il primo segno grafico lombardo, diventato poi quello della Regione grazie alla mente geniale di Munari e soci. Johanna Billing, dalla Svezia, descrive un'Italia inintelleggibile come una macchia di Rorshack. Quando sbarca a Fiumicino le cose che la colpiscono sono "la scarsità di bambini e il fatto che i docenti universitari non vengono pagati". Perciò si chiede cosa significa da noi educare e lo fa in un percorso a ritroso nella storia dei quartieri popolari di Roma attraverso gli occhi di cinque bambini: da una vecchia scuola degli anni Quaranta fino a una rete da calcio abbandonata sulla spiaggia dove Pasolini morì. È lui - con buona pace di Garibaldi e Mazzini - l'unico vero eroe nazionale per molti di questi artisti, che ancora oggi lo interrogano per capire qualcosa di noi e di se stessi: Nathaniel Mellors, inglese, sceglie per il suo lavoro Villa Pisani a Padova, dove Pasolini gira nel 1968 Porcile, inquietante metafora in cui il cannibalismo faceva rima con il capitalismo vorace che stava trasformando il paese. Le cartoline dall'Italia che costituiscono questa mostra non le troverete negli uffici del turismo: e infatti arrivano dai territori dell'arte, ambigui e inaspettati quanto basta per provare a dare tante soluzioni possibili, di cui nessuna definitiva, a questo nostro amato e odiato enigma italiano. - "Un'Espressione Geografica" è prodotta dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e da Banca Fideuram e sarà aperta dal 19 maggio al 27 novembre 2011 in via Modane 16 a Torino. www.fsrr.org









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