di Marilena Rodi su L'INDRO
Intervista con il curatore Tommaso Evangelista. "La nostra regione, un laboratorio trascurato"
“Märchen è il racconto fantastico e irreale, la fiaba, tratta dal ricco patrimonio orale e scritto della fiaba popolare tedesca che pone le basi della fioritura del Märchen quale genere letterario, prediletto, del Romanticismo”. È quello che si legge nel catalogo della mostra’Märchen’ dal Molise a cura di Tommaso Evangelista, conclusa da poco a Termoli, una cittadina della ’periferia molisana’ con la serena ambizione di offrire una proposta culturale che si collochi nei principali itinerari da praticare. Quelli della rivoluzione concettuale. Infatti si legge ancora: “Cercarono il riscatto dei popoli oppressi, la funzione formativa della storia, l’eterna irrequietezza, la vera poesia che viene dal popolo il quale ignorava estetiche e letterature. Il nostro Märchen vuole essere questo, riproposto in chiave di Arti figurative con tutti i limiti e la necessaria modestia, nel rispetto delle predisposizioni di ciascun operatore delle arti visive”.
A mostra conclusa, abbiamo approfondito la proposta-sfida con il curatore, Tommaso Evangelista (le opere esposte sono di Cristina Valerio e Nazzareno Serricchio).
Il Molise è una regione tutta da scoprire. Che tipo di realtà affronta l’arte contemporanea?
L’ambiente artistico molisano è incredibilmente vario e sfaccettato anche se pochissimo conosciuto; molti valenti giovani si stanno affermando a livello nazionale mentre continuano a operare gli artisti “storici” che tanto si sono battuti, dagli anni Sessanta, per svecchiare un’arte legata ancora ai ’pittori della domenica’. Pesa la mancanza di gallerie d’arte (e galleristi) e centri per l’arte contemporanea che spingano sulle riviste specializzate e sulla stampa di settore, pertanto la regione si colloca alla periferia di un sistema, quello italiano, che è già periferia del sistema anglo-americano. Questa è stata la risposta di Politi a una mia mail nella quale mi offrivo come collaboratore dal Molise per Flashart: “Riteniamo che nella tua regione non ci siano eventi che possano rientrare nel nostro interesse”. Ma naturalmente è una risposta che ci può stare in quanto l’arte contemporanea punta quasi esclusivamente sul mercato e non sulle declinazioni regionali. Pesa naturalmente l’endemica mancanza di fondi per la cultura, l’assenza di politiche culturali che vadano oltre le sagre e le fiere e lo scarso riconoscimento professionale della figura del critico. L’evento più significativo è il Premio Termoli, giunto quest’anno alla 56° edizione, ma ci sono altre piccole realtà di indubbio spessore: il museo diffuso diCasacalenda, le collettive Fuoriluogo nello spazio Limiti Inchiusi di Campobasso, le attività dell’Aratro, un piccolo spazio ricavato nella Facoltà di Lettere dell’Università del Molise e gestito dal prof. LorenzoCanova insieme agli studenti del suo corso di arte contemporanea, le attività dell’Officina Solare, una galleria gestita da un’associazione che, senza alcun finanziamento pubblico, è attiva sul territorio con un ricco programma di eventi, e poi le tante collettive e personali organizzate nei vari paesi dove si cerca, con quattro soldi, di restituire un minimo di serietà all’evento. Detto questo vedo delle grandi potenzialità e margini di sviluppo anche per la presenza, sul territorio, di tanti giovani studiosi.
Prolifera in Italia la produzione di opere ’site specific’: è un po’ un modo per riportare alla territorialità della conoscenza anche l’investimento intellettuale dei giovani artisti (e non), in sostanza, per non disperdere il patrimonio culturale di un luogo?
Una delle caratteristiche dell’arte contemporanea in Molise è che gli artisti ’storici’ sono sempre stati legati al territorio e ciò lo si intuisce dalle loro opere, opere realizzate con materiali poveri, della “terra”, legate a un inconscio collettivo magico e rurale, con una forte carica di denuncia sociale o documentazione. Oggi va molto di moda il termine glocale e a riguardo si sono realizzati in regione eventi che andavano in questa direzione, verso un recupero delle origini e del passato con un occhio al mondo; è una tendenza che ritrovo, tra l’altro, in molti settori della cultura dove, dopo l’ubriacatura per una globalizzazione cieca e spietata, si cerca di correre al riparo ritornando al locale e preservando le specificità dei luoghi. Questa tendenza, in arte, è più sfaccettata perché i linguaggi sono molteplici e non sempre comprensibili a una prima lettura. Le opere ’site specific’ non dovrebbero essere realizzate per il territorio ma in accordo con esso altrimenti si corre il rischio di cadere nella maniera e nel fraintendimento. Del resto l’autenticità che trovo nelle opere degli artisti ’storici’ non riesco a trovarla nei giovani, come se si fosse persa quella sincera voglia di seguire la propria ’ingenuità’; ma la colpa non è certo loro quanto di un sistema che non ha saputo investire su di loro costringendoli a scappare e a rinnegare le proprie origini.
Parliamo della mostra Märchen dal Molise inaugurata il 23 luglio. Il märchen, un genere letterario tradotto in proposta figurativa. Perché?
L’idea nasce dal maestro Nazzareno Serricchio e dal suo amore per la letteratura; nasce in particolare da un testo, una raccolta di racconti romantici tedeschi. In queste pagine viene rielaborata, da scrittori del calibro di Hoffmann e Schlegel, la lunga tradizione delle favole germaniche tanto legata al fantastico e all’irrazionale. Nella letteratura cominciano a entrare i temi del sogno, dell’inconscio, del mistero, della donna come figura seducente e fatale. Si è tentato allora di tradurre questi stimoli in arte lavorando quasi esclusivamente sul segno. Le opere, più che raccontare, trasferiscono in figura delle impressioni che prendono forza e consistenza grazie al rigoroso lavoro del maestro capace di creare oggetti materici e tridimensionali. Tali enigmatiche forme, che debbono molto all’architettura della modernità, decostruiscono le parole per ricomporle in tracce. Come i romantici hanno ripudiato la fredda ragione degli illuministi cercando la genuina poesia del popolo e il riscatto degli oppressi con autentica irrequietezza e voglia di ribellione, così l’artista, avendo in mente il Molise e le sue vicissitudini, anche attuali, ha cercato di rendere il malessere e il disagio di una terra sottoforma di racconto, non smarrendo i valori etici e morali comuni a molta arte del passato. Per contrasto nella mostra trovano una loro dimensione anche i lavori di Cristina Valerio pieni di poeticità, romanticismo, umanità in cerca di desiderio e liberazione.
Ritiene che l’arte contemporanea oggi sia contaminata da una volontà egemonica in qualche modo di parte? Oppure semplicemente non ha gli spazi giusti per poter esprimere l’indagine sociale, e che quindi cerca di imporsi scavalcando i ’riti consueti’?
Con la fine delle avanguardie l’arte ha ceduto buona parte dello spazio culturale che si era andata cercando. Tutte le teorie dell’arte, prodotte dalla fine dell’Ottocento fino a oggi, hanno reclamato il diritto sacrosanto dell’artista di autodeterminarsi; tale libertà, però, è stata fagocitata dal mercato sempre pronto ad appoggiare linguaggi settoriali che non aprono orizzonti di senso ma giocano su “trovate” più o meno efficaci. L’idea che l’arte debba attuare un’azione di indagine sociale, poi, è un falso mito che risale al romanticismo; l’arte deve veicolare il bello attraverso l’utile e in questo modo agire sull’individuo. Il sistema della cosiddetta “produzione culturale” è incapace di creare valori che non siano meramente economici pertanto si avverte la mancanza non tanto degli spazi giusti quanto dell’onestà intellettuale di cercare la qualità e non il mercato, di lavorare in accordo con gli artisti e non con i galleristi, di puntare alla Storia e non al presente. In regione, poi, mancano anche gli spazi e ogni manifestazione diventa ancor più difficile in quanto è come se ogni volta si dovesse ripartire da zero.
Assistiamo un po’ al tutto e contrario di tutto, come è la nostra società attuale del resto. Lei cita ’Lo spirito del mondo’ di Hegel: come si relaziona al nostro mondo contingente?
Non a caso Danto parla di “fine dell’arte” collocando questa fine nel momento in cui l’arte cessa di essere qualcosa di definito, inserito in una cornice narrativa e storica, per diventare un fenomeno “liquido” e non classificabile. Oggi infatti, nell’assenza di ogni riferimento e struttura, tutti i linguaggi sono uguali e pertanto tutti sono relativi e consumabili all’infinito e non c’è più differenza tra sostanza e idea. Hegel parla di “spirito del mondo” nell’ambito della filosofia della storia ma è già inserito nella modernità, ovvero nell’esaltare lo Spirito non fa che celebrare la coscienza di sé che si esprime nella libertà. In quest’ottica lo Spirito del mondo diviene Spirito del popolo con tutte le conseguenze viste nel Novecento. Anche l’arte che si trasforma in coscienza di sé diventa filosofia in quanto non più rivolta alla realtà ma all’indagine dei suoi meccanismi eall’autodefinizione. Proprio da Hegel, infatti, nascono molte teorie critiche del Novecento che tentano di definire cosa sia oggi l’arte o se alcune opere siano o meno arte. Il ’tutto e contrario di tutto’ deriva appunto dalla tale relativizzazione che, se vogliamo, rispecchia pianamente le dinamiche di una società ’orizzontale’.
L’artista è un po’ la sonda intelligente della società. Lei scrive nella presentazione: “Tocca agli artisti farsi promotori di un ritorno all’uomo, pur con le dovute difficoltà. D’altronde la vista è per i romantici l’organo più facile da illudere”..
La figura dell’artista è stata per secoli una figura essenziale nella società in quanto si faceva garante della diffusione, attraverso la bellezza delle immagini, dei suoi valori. Naturalmente non agiva da solo ma aveva alle spalle uomini di cultura (i committenti) capaci di riflettere per il bene della società (polis o comune). Oggi, mi pare, tutto questo si sia perso nell’eccessiva ed egoistica voglia dell’artista di apparire attraverso la novità o la sensazione, attuando quindi sempre più violente azioni di rottura e non ponendosi mai in continuità con la Storia e la tradizione. A riguardo vorrei consigliare ai lettori una rubrica che il prof. Rodolfo Papa tiene su ’Zenit’ e che si intitola ’Riflessioni sull’arte’, dove vengono sviscerate molte dinamiche dell’arte contemporanea. Basti del resto prendere il caso delle Archistars che non lavorano più sul contesto ma realizzano spazi totalmente alieni alle città e che non sono altro che l’esaltazione smisurata del loro ego. Appunto perché la vista è l’organo principale della fruizione, e quindi il più facile da illudere, bisognerebbe cercare di coltivarlo e nondistruggerlo. La perdita dell’ingenuità (visiva) e della possibilità di essere sorpresi è del resto tra gli eventi più gravi della società del consumo.
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