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domenica 6 marzo 2011

Circa la conclusione del ciclo pittorico della cattedrale di Bojano.

Stanno giungendo a conclusione i lavori previsti e finanziati per la cattedrale di Bojano. Tra pochi mesi sarà completata la decorazione dell’intera navata e, una volta tolti i ponteggi, si potrà ammirare il ciclo nel suo insieme. Gioia per gli occhi e per l’anima e impresa della quale andar fieri in quanto unica in Europa. Confortante è sapere il Molise culla di un rinnovamento delle arti sacre contro tendenze troppo progressiste che, volutamente ignare della liturgia, adottano l’informale e l’astratto come metro contemporaneo di bellezza. I primi a non esserne convinti sono i fedeli che si ritrovano chiese prive di forma e immagini prive di decoro. Cominciamo col dire che la cattedrale di Bojano è un unicum e che il suo ciclo pittorico, cominciato undici anni orsono, è un’impresa notevole: circa 170 figure, un’enorme superficie dipinta con storie dell’Antico e Nuovo Testamento, Profeti e Sibille, il Giudizio Universale, l’incredibile cupola col suo abisso di Luce. Ogni elemento rispecchia pienamente quel concetto di decorum tanto caro agli artisti rinascimentali ed è proprio a loro che bisogna guardare per apprezzare al meglio l’opera. Dalla forma alla configurazione delle storie, dall’attuazione di un “realismo moderato” all’organizzazione degli episodi, dalla messa in opera al recupero della tecnica, ogni impressione che ne possiamo ricavare ha i suoi riferimenti nell’arte antica pur configurandosi con lineamenti moderni. Non sarebbe allora eccessivo, pur con dovuti distinguo, paragonare il ciclo agli affreschi di Giotto agli Scrovegni o alle storie presenti nella Cappella Sistina. Ebbene, che sarebbe la Cappella senza il Giudizio? Forse perderebbe metà del suo fascino priva di quell’astrattezza spaziale del cielo sconfinato che sembra incombere sui fedeli. Proprio la conclusione (teologica e materiale) del ciclo, all’inizio non prevista, ha fatto si che la Cappella Sistina si configurasse come scrigno completo dell’arte e della fede. Quel senso di horror vacui e di spaesamento che si prova all’interno, infatti, è dato in particolare dall’incredibile scena del Giudizio e dall’illusione di uno spazio infinito che annulla la superficie, in perfetta unità con i restanti affreschi. Non si sarebbe avuto lo stesso effetto con una parete vuota. La completezza di un’opera o di un ciclo, oltre a presentare un discorso completo, è garanzia allora della sua fortuna; completezza, inoltre, è elemento di unicità poiché rari sono nella storia dell’arte cicli completi di uno stesso autore. In parole povere il ciclo della cattedrale di Bojano andrebbe portato completamente a termine poiché resterebbe al Molise un’opera unica e di grande valore, sulla quale puntare tra l’altro per incentivare il turismo sia religioso che culturale. E il ciclo andrebbe terminato in quanto sarebbe più facile e meno dispendioso aggiungere all’esistente quelle parti che mancano alla conclusione che realizzare, in un futuro, un nuovo ciclo. Non bisognerebbe, insomma, perdere l’opportunità di portare fino in fondo un’opera che difficilmente sarebbe ricreata altrove. Cosa aggiungere? In effetti visto così il ciclo appare completo ma ci sarebbero alcune parti che, se realizzate, eleverebbero un’impresa già di per se eccelsa. Parlo della decorazione del transetto e del catino absidale dove, una teoria di angeli sullo sfondo di un cielo azzurro oltre a ricollegarsi allo sfondato della cupola sarebbe la giusta conclusione, anche visiva, della navata. Ci sarebbero inoltre i due riquadri sotto l’Ultima Cena e, volendo osare, ci sarebbe la realizzazione in monocromo di una finta architettura che ingabbierebbe tutte le scene della volta. Quest’ultima impresa, un’utopia ai miei occhi, in fondo non sarebbe neanche troppo dispendiosa mentre donerebbe unità all’intero edificio, magnificenza agli occhi dei fedeli. E proprio col concetto di magnificenza vorrei concludere questa breve apologia della conclusione del ciclo. Con la rinascita delle arti nel Rinascimento la magnificenza, già teorizzata da Vitruvio per l’architettura classica, riaffiora quale elemento delle opere e assume, in virtù del fenomeno del mecenatismo, una forte valenza politica. La magnificenza è espressione della rinascita della cultura e caratteristica delle grandi opere. In un’epoca di spreco di denaro pubblico per opere faraoniche e irrealizzabili, allora, bisognerebbe riprendere il trattato di Giovanni Pontano, De magnificentia, circa l’utilizzo del denaro e la sua utilità per la realizzazione di opere che facciano grande la comunità. L’arte sacra si giova anche dell’etica civica dei suoi committenti.


Tommaso Evangelista su Il Quotidiano del Molise di Domenica 6 marzo 2011

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