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venerdì 9 novembre 2012

Street Gallery - Collettiva di street art all'Officina Solare di Termoli



STREET GALLERY 

Galleria Officina Solare 
10/29 Novembre 2012 
Ingresso libero, tutti i giorni 18.30-20.30 
Termoli, Via Marconi 2 

Artisti partecipanti: 

Zero (milano)
Bedo (milano)
Skan (sardegna)
Ricro (italia)
9likenave (termoli)
Raba (sardegna)
Icks (termoli)
Mess2( termoli)
2neko (lanciano)
Keno (vasto)
Kunos (pescara)
Pop (rocchetta)
Carotì(silvi)
sBAFE (como)
BE (termoli) 
 
STREET Gallery/CITY Gallery 

Una mostra di street art in una galleria, seppur underground come l’Officina Solare, può risultare una forzatura in quanto parliamo di un linguaggio nato nella e per la strada, un linguaggio però meno sconveniente e fuori luogo di quanto si pensi poiché, senza tornare anacronisticamente al graffitismo preistorico, basta sfogliare un testo come il Trattato dell’arte della Pittura (1584) di Giovanni Paolo Lomazzo per scoprire interessanti spunti. Lomazzo, nell’indicare le diverse tipologie di pitture adatte a differenti spazi, spazi che pone sotto le influenze dei pianeti e delle sfere celesti, indica come «le strade pubbliche sono riputati luochi della Luna; e però secondo i vari e diversi capricci dei pittori, tutte quelle istorie, fantasia invenzioni, chiribizzi che si vengono a cuore vi si possono dipingere all’aperta». Le strade, con facciate e superfici esterne, sono reputate “luoghi lunari” adatte ad accogliere gli interventi degli artisti che una volta potevano essere decorazioni a monocromo con scene mitologiche mentre oggi possono essere decorazioni a spray. Cambia il mezzo e il contenuto ma il supporto resta uguale, come forse anche l’intenzione di fondo. Tra le tanti correnti dell’arte contemporanea la street art oggi è di certo la più attiva e vitale, forse la più rappresentativa, poiché con la fine delle avanguardie e un’infinita riproposizione del già visto, di correnti consumate fino alla negazione, si pone al di fuori di logiche di mercato, o curatoriali, per sperimentare un intero mondo di sensazioni e di forme, in maniera estemporanea, con l’artista che ritorna ad una dimensione personale, quasi artigianale, del dipingere. L’artista, non addomesticato da gallerie e critici, è effettivamente solo con se stesso e con l’opera che ha in mente e muovendo esclusivamente i circuiti della sua creatività è in grado di riscattare spazi di mondo (luoghi della Luna) dal degrado o dal non-senso in cui giacciono. Insieme alla net art, inoltre, la street è quella corrente della quale possiamo percepire un’evoluzione in atto nel senso che, seguendola, possiamo dire di essere inseriti in quel processo storico di mutazione e cambiamento che altre espressioni artistiche, oggi immobili, hanno già sperimentato. Con la street art, quindi, siamo ancora pienamente nella storia dell’arte e non nella “storia” del sistema artistico o dell’industria culturale. Per esempio è riconosciuto da tutti che il lavoro di Banksy ha segnato una tappa importante per la street tanto che possiamo parlare di un prima e un dopo Banksy che diventa pertanto un artista significativo proprio nella misura in cui è andato a rompere e sfalsare i rapporti di forza con il post-graffitismo americano proponendo opere dalla forte carica satirico-politica ma, soprattutto, contestuali e in relazione di senso con l’ambiente circostante che viene reinterpretato quando non risemantizzato. Ma la scena artistica è molto più complessa tanto che oggi, ancor più che nel passato, è possibile rivenire nelle opere richiami alla Pop art, al surrealismo, all’art brut di Dubuffet o all’espressionismo astratto di Willem de Koonig oltre che alle altre arti “minori” come la fotografia, l’editoria, il fumetto, la grafica, il cinema. A sottolineare questo mutamento genetico, inoltre, possiamo notare sempre più spesso come tale corrente espressiva da semplicemente urbana diventa Pubblica, ovvero da pura manifestazione spontanea diviene comunicazione e riqualificazione urbanistica. In un mondo così complesso e dinamico, quindi, presentare delle opere in uno spazio espositivo non significa tanto rendere i lavori “accessibili” e commerciali bensì il contrario, presentare la galleria come una porzione di mondo e di strada. La città-evento, piena di incongruenze e grovigli, dove lo street artist si muove, entra nei suoi luoghi per spiazzare e mostrare, aggiungere e imporre segni, falsare i piani della visione-presentazione per proporre quello sfondato prospettico capace di proiettare il fruitore sul limite dell’urbano, poiché è pur vero che i graffiti senza la città, con la sua iconosfera, non avrebbero senso. Contro il totalitarismo ottico dell’esterno e le strategie pubblicitarie insite in ogni immagine che ci viene proposta lo scopo della street art è quello di evitare il controllo e l’omologazione visiva, evitare l’eccesso del messaggio e del simbolo e richiamare l’attenzione sulla bellezza e la decorazione intesa come ritualità simbolica collettiva. Anche quando si esprime su una tela o su un supporto mobile l’artista quindi guarda al contesto e all’impatto dell’opera in un tentativo di condivisione che va ben oltre lo spento cameratismo. Trasportare la personale idea grafica e formale su un dipinto, ridurla partendo dagli infiniti confini dei muri, significa inoltre prendere coscienza del proprio stile e delle peculiari forme espressive, significa darsi un elemento distintivo, una formula, una struttura, un personaggio capace di sintetizzare sull’istante l’idea. Manifesta il porsi in una dimensione critica circa il proprio lavoro. Per non parlare delle tecniche che negli ultimi anni sono letteralmente esplose per cui non ci si relaziona più solo con le bombolette (e con la relativa aerosol art) ma anche e soprattutto con l’arte tipografica, le stampe, gli stencil, la fotografia, l’impronta, in una varietà di espressioni che sono autentici segni di vitalità. Cosa si raffigura? Difficile rinvenire una traccia comune ma, pensando anche agli artisti in collettiva, possiamo individuare quattro articolazioni funzionali proprie della pittura murale ma rinvenibili anche su opere di dimensioni ridotte: decorativo-ornamentale, allegorico-narrativa, pedagogico-sociale, celebrativo-promozionale alle quali aggiungerei interattivo-relazionale. Nella dimensione decorativo-ornamentale l’immagine è pura raffigurazione di forme che si differenziano per tutta una serie di stili e di scuole; l’idea è quella dell’horror vacui con il tentativo di saturare di colore ogni spazio per riqualificare gli “spazi”. Il lettering ne è l’espressione migliore. La prospettiva allegorico-narrativa prevede la realizzazione di una “storia” o comunque una relazione tra eventi e figure raffigurate; non è difficile in ciò riscoprire il metodo paranoico-critico dei surrealisti poiché nella street ogni elemento (figura, sfondo, architettura, corpo) emerge per ibridazione e concatenazione. Si guardi ai tanti murales di carattere discorsivo-visuale. La funzione pedagogico-sociale implica l’immediatezza della lettura e la pervasività del messaggio che deve essere chiaro, anche provocatorio o spiazzante, per arrivare subito allo spettatore. In questo caso possiamo includere le gigantografie fotografiche che vanno ad incidere sulle forme della città. L’aspetto celebrativo-promozionale, marginale in tale esposizione, riguarda invece la pratica più basilare dello street artist, quella di affermare la propria presenza attraverso la moltiplicazione e l’estensione del proprio tag. Circa la prospettiva interattivo-relazionale dobbiamo dire che è la scelta, oggi, più interessante e innovativa poiché l’artista non lavora solo con e attraverso la propria opera ma si relaziona col contesto urbano chiamando spesse volte il fruitore ignaro e inconsapevole a interagire e reagire. Ciò segna, se vogliamo, la dissoluzione del supporto murario per strategie che si avvicinano maggiormente alla guerrilla art. Possiamo concludere affermando come tale forma espressiva è il tentativo di assolutizzare la creatività personale attraverso l’espulsione di forme di immaginario sociale e di segni significanti, è lo sforzo di raggiungere nuovi fonti espressive da adoperare poi nell’urbano, nell’utopia di esprimere e trasfigurare, tramite la propria visione, anche una seppur piccola porzione di mondo. Tanti scarti nel corso degli anni hanno creato una diversità biologica all’interno del movimento ma la poliedrica varietà di linguaggi rappresentati dai diversi percorsi degli artisti presenti in mostra ci permette di considerare l’arte urbana tra le più innovative realtà artistiche del contemporaneo. Dopo questo lungo sforzo di definire il fenomeno e la sua percezione, tra utopia di risemantizzazione dello spazio pubblico e desiderio di affermazione personale, ci piace allora chiudere con questa consapevole e spiazzante frase di Jean Michel Basquiat: «Io non penso all’arte quando lavoro. Io tento di pensare alla vita». 

Tommaso Evangelista



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